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Configurazioni narrative: lo Scolastico

La conoscenza scientifica nel basso Medioevo: la Rinascita del XII secolo

V.3 Configurazioni narrative: lo Scolastico

Nel basso Medioevo, in Europa, avviene un grande cambiamento. Gradualmente l’identità tra realtà e irrealtà, che si era così vigorosamente affermata nel mondo cristiano-feudale, cominciò a dissolversi. L’area della realtà naturale sensibile acquisì lentamente una sua autonomia e cominciò a divincolarsi dal soprannaturale e dal sacro. Il mondo, la natura, assunsero una dimensione propria. Già con Abelardo (1079-1142), seppur in maniera pioneristica, comincia ad affermarsi una visione del mondo slegata dai modelli della tradizione e più centrata sulla possibilità di una conoscenza di tipo individuale. Fu però con Ockham e il suo nominalismo che si diede un’altra decisiva spallata alla concezione del “realismo epistemologico”252. Secondo Ockham infatti bisogna fare una distinzione tra le cose da una parte e i segni, le parole, gli universali dall’altra. Così, questo straordinario pensatore ha letteralmente invertito la direzione che ha seguito tutto il pensiero cristiano, da Agostino in poi. Invece di domandarsi in che modo l’individuo (così come le cose) derivino dalla loro natura universale, com’era sempre avvenuto e come i realisti ritenevano, pretese di spiegare come in un mondo composto da individui fosse possibile avere conoscenze che non siano individuali. Desideroso di restituire a Dio la sua principale caratteristica, l’onnipotenza253, affermò che in virtù di questa sua essenziale caratteristica niente dovesse limitare l’assoluta libertà della Sua volontà. Neanche il cosiddetto “ordine” del mondo. Perché se si presume ch’esso sia l’effetto della volontà divina, la sua volontà sarebbe limitata dalla stessa esigenza dell’ordine. “Nel qual caso si sottometterebbe Dio all’armonia, si pretenderebbe da Lui la creazione di un mondo secondo delle regole che stanno al di sopra di Dio, niente deve limitare la Sua assoluta libertà. Dunque il mondo umano dopo la caduta non è ordinato da Dio, obbedisce a delle leggi che gli sono proprie: il mondo materiale non mostra il disegno di Dio, avrebbe potuto essere altro. Solo un mondo autonomo è compatibile con la volontà illimitata e arbitraria di Dio”. Nell’onnipotenza e nella libertà di Dio non solo vi è la ragion d’essere di ciò che le cose sono, ma anche la possibilità che esse siano totalmente diverse. Se ne ricava una conclusione epistemologica: se il mondo è arbitrario rispetto alla volontà divina allora possiede leggi che sono proprie e che vanno scoperte con mezzi puramente umani. Con Ockham, attraverso questa separazione, si va verso il mondo moderno254.

L’idea dell’onnipotenza divina diventò - come si è visto - un comodo veicolo per l’introduzione di questioni sottili e puramente immaginarie, che spesso generarono risposte nuove. L’analisi di questi esperimenti immaginari, e di altri dello stesso tipo, fu condotta abitualmente sulla base dei principî aristotelici, anche se le condizioni immaginate erano “controfattuali” e impossibili nell’ambito della filosofia naturale aristotelica. In questo modo, queste risposte esclusivamente speculative non portarono al rovesciamento della concezione del mondo aristotelica ma indussero molti pensatori a metterne in discussione alcuni principî e assunti fondamentali. Si fece strada l’idea che le cose potevano stare diversamente da come le descriveva la filosofia aristotelica. La

252 Concezione secondo cui ciò che esiste realmente sono le essenze, le categorie astratte di cui esempi

imperfetti sono le incarnazioni empiriche. Per approfondimenti, Landsberg, Paul-Louis (2002), op. cit.

253 Uno dei problemi che travagliava l’epoca era rappresentato dalla contesa, tra l’idea sostenuta da alcuni che

“Dio fa ciò che è giusto” e l’idea contraria “E’giusto ciò che Dio fa”. La prima affermazione (San Tommaso d’Aquino e poi Gregorio da Rimini) sottolineava i limiti dell’onnipotenza divina. Egli in effetti, non può fare ciò che è contrario alla sua natura (Potentia ordinata). La seconda (Ockham e la sua scuola) metteva in luce l’assoluta libertà di Dio (fatto salvo il principio di non contraddizione), libertà che poteva estrinsecarsi anche nello smentire paradossalmente le leggi che Egli stesso aveva istruito (Potentia absoluta). Cavicchia Scalamonti, Antonio, Dal realismo comunitario al nominalismo individualistico. Un’introduzione alla sociologia di P. L. Landsberg, p. 23, in Landsberg, Paul-Louis (2002), op. cit.

Condanna del 1277 ampliò gli orizzonti dei filosofi naturali aristotelici e rese la filosofia naturale del Medioevo più interessante di quel che altrimenti avrebbe potuto essere, producendo persino alcune significative sorprese. Le “impossibilità naturali” che furono allora esplorate in conseguenza della Condanna aggiunsero qualcosa alla filosofia naturale, ma non modificarono la struttura fondamentale di questa disciplina. Non rivoluzionarono la filosofia naturale aristotelica, né determinarono il suo abbandono. Quantunque, nel corso del XIII secolo, alcuni teologi temessero l’influenza della filosofia naturale di Aristotele e cercassero dapprima di mettere al bando le sue opere, poi di purgarle, e infine di condannare alcune idee che limitavano la potenza assoluta di Dio, sarebbe un serio errore pensare che i teologi si opponessero alla filosofia naturale aristotelica. I teologi dissentivano ampiamente fra di loro su alcuni problemi e non avevano affatto un atteggiamento comune nei confronti di Aristotele. Ma anche i più conservatori, riconoscevano l’enorme utilità della filosofia aristotelica. Lungi dall’opporsi ad essa, la maggior parte dei teologi ne era la più convinta sostenitrice. La filosofia naturale era così importante per i teologi che un alto livello di competenza in quel campo di studi, di solito nella forma di un dottorato, era richiesto a chi voleva dedicarsi allo studio professionale della teologia. Dato l’intimo rapporto esistente nel Medioevo fra teologia e filosofia naturale, e tenuto conto del divieto imposto agli studiosi laici di applicare le loro conoscenze alla teologia, spettava ai teologi il compito di porre in correlazione le due discipline, cioè di applicare la scienza alla teologia e la teologia alla scienza. Poiché, di solito, erano stati educati a fondo in entrambe le discipline, i teologi medievali erano in grado di collegare con relativa facilità e fiducia la filosofia naturale alla teologia, applicando la scienza e la filosofia naturale all’esegesi delle Sacre Scritture, esaminando le possibilità ipotetiche del mondo naturale alla luce del concetto dell’onnipotenza divina, o facendo sovente appello ai testi delle Scritture per sostenere o contestare determinate idee e teorie scientifiche. I teologi godevano di una notevole libertà intellettuale, e raramente permettevano alla teologia di ostacolare le loro indagini sul mondo fisico. Se vi fu la tentazione di costruire una “scienza cristiana”, essi vi resistettero con successo. I testi biblici non erano usati per “dimostrare” le verità scientifiche con un cieco appello all’autorità divina.

Se i teologi avessero deciso di opporsi alle dottrine di Aristotele come pericolose per la fede, quelle dottrine non avrebbero potuto diventare il principale oggetto di studio nelle università. Ma i teologi non avevano alcuna ragione di opporsi ad esse. Per lunga tradizione, il cristianesimo occidentale era abituato a utilizzare a proprio beneficio il pensiero pagano. Come seguaci di quella tradizione, i teologi si servirono della cultura greco-araba nello stesso modo, come un gradito apporto che avrebbe accresciuto la loro comprensione delle Scritture. L’atteggiamento positivo dei teologi medievali verso la filosofia naturale, e la loro convinzione di poterla utilizzare per la delucidazione dei problemi teologici, vanno visti come il prodotto di un atteggiamento di carattere generale sviluppatosi nei primi quattro o cinque secoli del cristianesimo. L’approccio dell’Occidente verso la scienza e la filosofia naturale superò, alla fine, questa concezione ancillare. Ma possiamo ragionevolmente supporre che, ancor prima che ciò accadesse, nelle facoltà universitarie ove si insegnavano materie laiche molti pensatori della scolastica, o addirittura la maggior parte di essi, si dedicassero allo studio autonomo della scienza e della filosofia naturale aristotelica. La filosofia naturale divenne il loro principale oggetto di studio, perché non avevano studiato teologia e gli statuti universitari proibivano loro di discuterla seriamente. Esclusi dal campo della teologia, i docenti di discipline laiche erano professionalmente interessati allo studio della filosofia naturale. Per effetto dell’atteggiamento positivo dei filosofi naturali e dei teologi verso la scienza e la filosofia naturale, queste discipline furono trattate con il massimo rispetto. Da lungo

tempo non avevano più bisogno di giustificazioni per esistere ed essere studiate. Gli insoliti sviluppi che diedero vita a una classe di filosofi teologico-naturali servono come chiave di lettura del destino della scienza e della filosofia naturale nell’Occidente europeo durante il Medioevo. La sorprendente mancanza di conflitti tra teologia e scienza è attribuibile alla formazione di questa classe di filosofi teologico-naturali, competenti in entrambe le discipline e capaci, quindi, di collegarle con relativa facilità. Essi furono in grado di farlo perché il cristianesimo si era da tempo adeguato al pensiero laico. Alcune occasionali manifestazioni di ostilità nei confronti della filosofia naturale, come quelle che avvennero all’inizio del secolo XIII, quando le opere di Aristotele furono messe al bando per alcuni anni a Parigi, e verso la fine dello stesso secolo, quando il vescovo di Parigi pronunciò la Condanna del 1277, costituirono delle aberrazioni di importanza relativamente secondaria se guardate entro l’arco complessivo della storia del cristianesimo occidentale255.

L’aristotelismo fu qualcosa di molto più ampio delle opere di Aristotele e dei commenti latini (e, assai prima, greci ed arabi) che le illustrarono. La filosofia naturale aristotelica fu inclusa nella teologia. Fu integrata nella medicina; anche i teorici della musica ritennero talvolta conveniente ricorrere ad alcuni concetti della filosofia naturale per spiegare temi ed idee musicali. In gran parte a causa del fatto che le opere di Aristotele formavano la base del curriculum di studi delle università medievali, l’aristotelismo diventò il principale, e praticamente incontestato, sistema intellettuale dell’Occidente europeo. Esso non solo fornì i meccanismi esplicativi dei fenomeni naturali, ma agì anche come gigantesco filtro attraverso il quale veniva osservato il mondo.

I cambiamenti della cristianità in questo periodo non si limitano a una rinascita della cultura antica, anche se, gli uomini del Medioevo amavano travestire in generale le loro innovazioni considerandole una rinascita. In questo periodo s’avvia uno sviluppo decisivo di una cultura e una mentalità nuove. Si forma un nuovo umanesimo cristiano, di carattere positivo, che costituirà uno strato nella lunga elaborazione dell’umanesimo europeo e occidentale. In esso si afferma l’uomo fatto a immagine di Dio, e non più soltanto peccatore schiacciato dal peccato originale. Inoltre, accanto alla fede, trasformata ma sempre vitale, l’XI e soprattutto il XII secolo ridefiniscono due nozioni fondamentali, destinate ad un duraturo successo, che costituiranno il quadro del pensiero europeo occidentale: l’idea di natura e l’idea di ragione.

Il cristianesimo afferma con forza ancora maggiore nel XII secolo e nel periodo successivo una nuova immagine dell’uomo in rapporto a Dio. L’uomo dell’alto Medioevo era annichilito davanti a Dio. Nuove letture della Bibbia portano a riflettere sul testo della

Genesi. Teologi, canonisti, predicatori, sottolineano l’affermazione che Dio ha fatto

l’uomo a sua immagine e somiglianza. Questa immagine umana sopravvive alla macchia del peccato originale. L’obiettivo della propria salvezza è ora preceduto da uno sforzo dell’uomo per incarnare, già nel mondo terreno, questa somiglianza con Dio. D’ora in avanti l’umanesimo cristiano si fonda su questa somiglianza. Esso si richiama a due elementi più o meno intrecciati sin dagli inizi del cristianesimo, anche dai Padri della Chiesa e dallo stesso Agostino, vale a dire - come si è accennato -, la natura e la ragione. Nell’alto Medioevo ha dominato una concezione simbolica della natura. Sant’Agostino tende ad assorbirla nel soprannaturale e, ancora nel XII secolo, s’assimilerà la natura a Dio. La distinzione tra naturale e soprannaturale, la definizione della natura come un mondo fisico e cosmologico specifico, si sviluppa nel XII secolo. Fondamentali furono gli apporti delle concezioni ebraiche e arabe, e ancor più l’introduzione in Occidente delle opere dimenticate dell’Antichità greca, soprattutto Aristotele e la sua nozione di

sublunare. L’idea di natura coinvolge l’insieme del pensiero umano e dei comportamenti degli uomini. Insieme con la natura, nel XII secolo è promossa la ragione, elemento ancora più caratteristico della condizione umana256.

Vi furono altri fattori decisivi nella produzione dei mutamenti intellettuali avvenuti nel secolo XII; cambiò notevolmente l’atteggiamento verso le autorità tradizionali e verso la natura stessa. In relazione alla nascita delle università257, l’idea che Dio fosse la causa immediata e diretta di tutte le cose diede origine a una concezione del mondo secondo la quale gli oggetti naturali erano capaci di agire direttamente l’uno sull’altro. Dio aveva conferito alla natura il potere e la capacità di causare le cose: aveva fatto di essa un’entità auto-operante. L’universo veniva, in tal modo, oggettivato e concepito come un tutto armonioso, bene ordinato, retto da leggi e autosufficiente, che poteva essere indagato dall’intelletto umano. Il mondo veniva trasformato concettualmente da un’entità imprevedibile e casuale in un meccanismo funzionante con regolarità, in una machina, come fu frequentemente chiamato nel XII secolo. Si sviluppò il concetto di “corso normale della natura”, secondo il quale la natura operava in modo regolare ed uniforme. Le normali attività della natura potevano essere sospese solo per intervento divino: un intervento che talvolta veniva interpretato come espressione di un piano divino di cui gli esseri umani erano inconsapevoli. I teologi di mentalità tradizionale sentivano come una minaccia questo nuovo interesse per l’attività della natura. Tutti coloro che erano imbevuti del nuovo spirito di ricerca pensavano che i fedeli avessero il dovere di scoprire le leggi della natura258. La natura, o l’universo, era un’entità che si doveva studiare per meglio comprendere la creazione divina. Tuttavia, nell’assolvimento di questo nobile compito la guida era la filosofia, non la Bibbia. Dio doveva essere invocato come causa esplicativa solo quando non era possibile ricorrere a cause naturali. Negli annali della Cristianità il potere della ragione fu esaltato come mai era avvenuto prima di allora.

Whitehead metterà in evidenza il grande contributo dato dal Medioevo alla formazione del movimento scientifico: “Intendo parlare della fede inespugnabile che ogni evento particolare può essere correlato, in modo perfettamente definito, ai suoi antecedenti e fungere da esempio di principî generali. Senza questa fede l’enorme lavoro degli scienziati sarebbe disperato. È questa fede istintiva, vivamente sostenuta dall’immaginazione, che costituisce il principio motore della ricerca: v’è un segreto e questo segreto può essere svelato. Come si è insediata così saldamente nello spirito europeo questa convinzione? Se paragoniamo il “tono” del pensiero europeo con l’atteggiamento delle altre civiltà abbiamo la sicura impressione che il primo sia originato da una sola fonte. Non può infatti che provenire dalla concezione medievale, che insisteva sulla razionalità di Dio, al quale veniva attribuita l’energia personale di Yahvèh e la razionalità di un filosofo greco. Ogni particolare era controllato e ordinato: le ricerche sulla natura non potevano sfociare che nella giustificazione della fede nella razionalità. La mia tesi è che la fede nella possibilità della scienza, nata prima dello sviluppo della teoria scientifica moderna, è un derivato inconsapevole della teologia medievale”259.

256 Le Goff, Jacques (2009), op. cit., pp. 98-104.

257 Le Goff dirà: “Non mi pare che sia stata finora abbastanza valutata la novità di un’attività, di una

promozione intellettuale e sociale fondata su un sistema fino ad allora sconosciuto: l’esame, che si apriva modestamente una via fra il sorteggio (cui avevano fatto ricorso, entro limiti piuttosto ristretti, le democrazie greche) e la nascita. Ben presto mi avvidi che quegli universitari, sorti dal movimento urbano, ponevano problemi paragonabili a quelli dei loro contemporanei, i mercanti. Gli uni e gli altri, agli occhi dei tradizionalisti, vendevano beni che appartenevano solo a Dio: la scienza, in un caso, nell’altro il tempo”. Le

Goff, Jacques (2000), op. cit., p. IX.

258 Le Goff, Jacques (2008), op. cit., pp. 52-54. 259 Whitehead, Alfred N. (1979), op. cit., pp. 30-31.

La nuova base teorico-teologica, metafisica e insieme scientifica giustificò dunque un mutamento cosmologico in cui fu determinante l’incontro - determinato dal nuovo paesaggio urbano260 - del tempo della Chiesa col tempo degli uomini che agivano nel mondo, nella storia, e in primo luogo nella loro professione261. Così il mercante - in un’età in cui l’incremento quantitativo allarga i suoi orizzonti e dilata la sua azione, senza che le strutture economiche siano fondamentalmente mutate - è ormai in grado di usare ed abusare del tempo. Diviene di importanza fondamentale notare la dialettica fra le nuove concezioni legate all’ascesa di questa nuova categoria professionale e l’evoluzione delle idee riguardanti il tempo presenti nelle opere dei maestri scientifici alla svolta fra il secolo XIII e il XIV. Nell’ambiente universitario dell’epoca la critica della fisica della metafisica aristoteliche, e in pari tempo le speculazioni matematiche e le ricerche scientifiche concrete, fecero emergere nuove idee sul tempo e sullo spazio. Sappiamo che la cinematica, con lo studio del moto uniformemente accelerato ne esce trasformata. Non basta questo per indurre a sospettare che, con il movimento, proprio il tempo si trova colto in una prospettiva nuova? Forse c’è un nesso più stretto di quanto si creda e di quanto essi stessi, senza dubbio, pensassero fra le lezioni dei maestri di Oxford e di Parigi e le imprese dei mercanti di Genova, di Venezia, di Lubecca, al tramonto del Medioevo. Forse proprio sotto la loro azione congiunta il tempo si spezzò e il tempo dei mercanti si liberò del tempo biblico, che la Chiesa non seppe conservare nella sua ambivalenza fondamentale. Nonostante nel basso Medioevo questi cambiamenti siano in fase iniziale, la scossa del quadro cronologico conosciuta dal secolo XIV produsse mutamenti negli habitus psichici. Nella scienza medesima - come si è anticipato -, cioè nella scolastica scientifica, l’apparizione di una nuova concezione del tempo, di un tempo che non è più un’essenza, ma una forma concettuale, al servizio dello spirito che ne usa secondo i propri bisogni, può essere misurato, diviso: diviene un tempo discontinuo. Un tempo nuovo infatti si profilò nella scolastica nello stesso momento in cui gli studi sull’impetus262 rivoluzionarono la meccanica, e in cui la prospettiva moderna cominciò a sconvolgere la visione del mondo. Il secolo dell’orologio fu anche quello del cannone e della profondità

260 Poiché l’immaginario ha sempre, nella sua forma simbolica, una funzione essenziale nel Medioevo, la

lotta in favore o contro la città fu combattuta nel XII secolo all’interno dell’immaginario biblico. Due dichiarazioni esemplari possono sintetizzarla. Quando il mondo dei maestri e degli studenti popolò in misura crescente Parigi, san Bernardo, campione della cultura monastica nella solitudine, andò a Parigi per gridare loro: “Fuggite dal centro di Babilonia, fuggite e salvate le vostre anime, volate tutti insieme verso le città- rifugio, cioè verso i monasteri”. Alcuni decenni dopo l’abate Philippe de Harvengt scrisse invece a un giovane discepolo: “Spinto dall’amore della scienza, eccoti a Parigi e hai trovato questa Gerusalemme che in tanti desiderano”. Nel XIII secolo la città-Gerusalemme ha scacciato la città-Babilonia.

261 L’ambito in cui la creatività degli europei ha determinato i maggiori progressi nel Medioevo è quello del

tempo. Da una parte, il passato, in mancanza di uno studio razionale che farà la sua comparsa solo nel XVIII secolo, non è fatto oggetto di una vera e propria scienza storica, ma è comunque utilizzato, grazie allo sviluppo di una memoria che assume il rilievo di una cultura. L’Europa medievale fa leva sul passato per andare più lontano e per farlo meglio. D’altra parte, la padronanza della misura del tempo le fornisce strumenti di progresso. Se il calendario rimane quello giuliano, quello di Giulio Cesare, un’innovazione derivata dall’Antico Testamento e dal giudaismo determina l’introduzione di un ritmo che si è imposto fino ai giorni nostri: quello della settimana. Introducendo un rapporto tra il tempo di lavoro e il tempo di riposo, non solo si organizza il tempo religioso della domenica, ma si garantisce anche un più efficace impiego delle