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Configurazioni narrative: il Matematico ed il Monaco

La conoscenza scientifica alessandrina e l’alto Medioevo: Archimede e Carlomagno

IV.3 Configurazioni narrative: il Matematico ed il Monaco

Probabilmente, nella nascita della scienza ellenistica, ha svolto un ruolo importante il nuovo tipo di relazioni instauratesi tra i Greci e le antiche civiltà egiziana e mesopotamica. La tradizione della cultura greca, che nel periodo classico, oltre alla storiografia, il teatro, la democrazia politica e i capolavori della letteratura e dell’arte che tutti conoscono, aveva creato la filosofia naturale, fu ovviamente essenziale. Ma cosa avevano da imparare i creatori di questa stupenda civiltà dagli Egizi? È importante rendersi conto del fatto che, nonostante tutte le conquiste della cultura greca, i Greci dell’età classica erano ancora inferiori agli abitanti dell’Egitto e della Mesopotamia dal punto di vista tecnologico: la cosa è del resto del tutto naturale. Trattandosi, sia per la Grecia classica sia per l’Egitto e la Mesopotamia, di civiltà in cui lo sviluppo della tecnologia avveniva essenzialmente per lenta accumulazione, i millenni durante i quali la civiltà egiziana e mesopotamica avevano accumulato conoscenze empiriche trascrivendole e tramandandole le avevano rese insuperabili, a meno di un salto di qualità metodologico. Le tradizioni delle civiltà più antiche, con le quali da secoli erano stati in contatto, avevano sempre attirato l’interesse dei Greci. Non a caso l’inizio della matematica ellenica era attribuito a Talete e a Pitagora, di entrambi i quali si diceva che fossero stati in Egitto (e di Pitagora anche in Oriente). Ma ora il contatto divenne molto più stretto198. I Greci trasferitisi nei nuovi regni sorti dalla conquista di Alessandro dovettero gestire e controllare economie e tecnologie più sviluppate, alle quali non erano abituati, con la guida dei raffinati metodi di analisi razionale sviluppati negli ultimi secoli della tradizione culturale. In questa situazione nacque la scienza. L’applicazione del metodo scientifico richiede la capacità di usare contemporaneamente due diversi livelli di discorso (uno interno alla teoria e l’altro riguardante gli oggetti concreti) e di passare da un livello all’altro con “regole di corrispondenza”. Sembra suggestiva la congettura che questa capacità sia favorita, nei territori appartenuti all’impero di Alessandro, dalla contemporanea presenza di due culture e dall’abilità sviluppata dai Greci immigrati di usarle entrambe, in particolare inquadrando nei propri schemi concettuali il gran numero di conoscenze empiriche trasmesse nelle culture egiziana e mesopotamica199. Un esempio della capacità della scienza ellenistica di fornire un quadro razionale entro il quale le conoscenze delle antiche civiltà potessero essere utilizzate e valorizzate ci è offerto dall’organizzazione, sotto i Tolomei, della regolazione delle piene del Nilo. Si trattava di un immane lavoro di ingegneria idraulica sul quale la civiltà egiziana aveva accumulato esperienze millenarie; anzi era stato il problema che aveva motivato la nascita stessa dell’Egitto come Stato unitario. I Tolomei organizzarono i lavori necessari utilizzando molti esperti egiziani, ma affidando la direzione del settore ad ingegneri greci200.

L’integrazione fra civiltà diverse, l’una in possesso dell’epistémē e l’altra della téchnē, ha ricomposto quella frattura tipica della dualità oppositiva che caratterizzò il pensiero greco classico, probabilmente determinando uno sblocco del pensiero tecnico e la possibilità della nascita di una scienza sperimentale. A corroborare quest’ipotesi, c’è un altro dato: la schiavitù che tanta parte ebbe nella formazione dell’universo simbolico del Filosofo greco, nel regno dei Tolomei non aveva affatto l’importanza né le caratteristiche che ebbe nella

198 Va però osservato che le interazioni tra i Greci e i territori degli antichi imperi si erano intensificate nel

corso del IV secolo, anche grazie ad un’intensa immigrazione, e che quindi l’intensificazione dei contatti di cui si parla in qualche misura (difficile da precisare) aveva preceduto l’impresa di Alessandro, contribuendo a motivarla.

199 Si noti incidentalmente che un analogo uso contemporaneo di due diverse culture (quelle della propria

gente e quella del paese in cui si vive) caratteristico, nell’età moderna, del popolo ebraico, cui anche dobbiamo molti dei principali risultati scientifici.

Grecia classica e a Roma. Non erano impiegate masse di schiavi né in agricoltura, né in miniera. Anche gli operai che lavoravano nei frantoi statali erano liberi e non erano usati come schiavi neppure nella marina da guerra. La schiavitù era essenzialmente usata in ambito domestico insieme a uomini liberi ed ambedue le categorie ricevevano compensi in denaro. Questo fece sì, secondo la mia analisi, che le categorie del pratico, dell’utilitario e del manuale non vennero definite come disvalori. Sul piano del prestigio, sperimentare nuove applicazioni tecnologiche e dunque prestarsi a pratiche manuali, non costituiva perdite di status. Venne dunque a cadere nel periodo ellenistico, seppur per breve tempo, la contrapposizione tra vita activa e vita contemplativa, contrapposizione che, come si è già visto e come si vedrà in seguito201, caratterizzò profondamente il pensiero greco classico ed il pensiero medievale.

Lo sviluppo scientifico ellenistico fu interrotto violentemente dalla conquista romana. Si vedrà come, nella Rivoluzione scientifica del XVII secolo, un ruolo importante fu svolto dal recupero delle antiche conoscenze scientifiche e tecnologiche.

Fu questa configurazione narrativa che permise l’affermazione del Matematico alessandrino.

Vediamo ora come si caratterizza quella del Monaco.

Per varie ragioni - fra le quali vanno ricordate la lotta per la successione imperiale (che portò alla divisione dell’impero in una pars occidentis e in una pars orientis), la decadenza economica provocata dalla progressiva scomparsa del commercio e dall’eccessiva pressione fiscale, e le massicce migrazioni ed invasioni delle popolazioni germaniche e celtiche in territori prima dominati da Roma - la maggior parte dei centri urbani dell’Europa occidentale subirono un grave declino a partire approssimativamente dal secolo IV sino al secolo IX: un periodo storico che abbraccia il tardo impero romano e l’alto Medioevo. Col declino delle città, l’istruzione e il sapere si rifugiarono, in gran parte, nei grandi e piccoli monasteri sorti nelle aree rurali d’Europa.

I monasteri, oltre ad avere assolto la fondamentale funzione della conservazione della riserva sociale di conoscenza, provocarono, attraverso la condotta esistenziale che si svolgeva al loro interno, mutamenti fondamentali dell’habitus psichico.

L’applicazione di metodi di pensiero quantitativi allo studio della natura ebbe infatti la sua prima manifestazione nella misurazione regolare del tempo; ed il nuovo concetto meccanico di questo sorse in parte dalle regole di vita del monastero. Alfred North Whitehead202 ha sottolineato l’importanza nel pensiero scolastico della fede in un

Universo ordinato da Dio, come uno dei fondamenti della fisica moderna, ma dietro questa fede vi era la presenza dell’ordine nelle istituzioni della Chiesa stessa. La tecnica del mondo antico era stata tramandata da Costantinopoli a Bagdad alla Sicilia ed a Cordova; da qui l’antica preminenza di Salerno nei progressi della medicina e della scienza del Medioevo. Fu però nei monasteri dell’Occidente che si manifestò per la prima volta il desiderio di un ordine e di un potere che non fosse quello espresso nella dominazione militare su uomini più deboli, dopo la lunga incertezza e la sanguinosa confusione che avevano seguito la caduta dell’impero romano. Fra le mura dei monasteri vi era il santuario, le regole dell’ordine eliminavano la sorpresa, il dubbio, il capriccio, l’irregolarità. Contro le incerte fluttuazioni e pulsazioni della vita del mondo vi era la ferrea disciplina della regola. Il monastero era la sede di una vita regolare, ed uno strumento che scandisse le ore o che ricordasse al campanaro che era tempo di far suonare le campane era un prodotto quasi inevitabile della sua vita. Se l’orologio meccanico non apparve fino a che le città del tredicesimo secolo non sentirono la necessità di porre una

201 Per approfondimenti, vedi qui V e VI Capitolo.

regola alle loro giornate, l’abitudine stessa all’ordine e la precisa regolamentazione degli intervalli di tempo era diventata quasi una seconda natura nel monastero203.

La vita quotidiana - nell’alto Medioevo - è dominata ancora dai fenomeni naturali, dall’alba e dal tramonto e la giornata è scandita, piuttosto che misurata, dalla suoneria delle campane che annunziano le “ore”, le ore dei servizi religiosi ben più di quelle dell’orologio. Si deve insistere sull’importanza sociale di questa successione regolata degli atti e delle cerimonie della vita religiosa, la quale, soprattutto nei monasteri, assoggettava la vita al ritmo rigido del culto cattolico; ritmo che chiedeva e addirittura esigeva la divisione del tempo in intervalli strettamente determinati e che dunque ne implicava la misurazione. Nei monasteri e per i bisogni del culto sarebbero nati e si sarebbero propagati gli orologi, e sarebbero queste abitudini della vita monastica, l’abitudine di conformarsi “all’ora”, che diffondendosi attorno alle mura del convento avrebbero impregnato e informato la vita cittadina facendola passare dal piano del tempo vissuto a quello del tempo misurato. C’è indubbiamente del vero, e anche molto di vero in questa interpretazione che vede l’imposizione dell’ordine e la schiavitù della regola imporsi sull’uomo naturale. Eppure, non ci dobbiamo ingannare: l’ordine e il ritmo non sono la misura, il tempo scandito non è il tempo misurato. Dirà Koyrè: “Siamo sempre nel pressappoco, nel più o meno”204: la concezione ciclica del tempo permeava ancora le pratiche sociali vigenti nelle diverse comunità: prevaleva nella vita quotidiana un tempo che possiamo definire “concreto”: erano i ritmi naturali a definire nella loro essenza i ritmi del tempo sociale.

In questo mondo del “pressappoco”, la considerazione della funzione tecnica, che passa giocoforza attraverso l’attribuzione di valore che viene conferita alle categorie del pratico - e quindi in ultima analisi al prestigio legato al lavoro - costituisce un ulteriore considerevole blocco al possibile sviluppo della conoscenza scientifica. Qui ha un ruolo profondo l’influenza del cristianesimo.

Questo, infatti, - che impregna completamente l’universo simbolico medievale - è un prodotto sincretico di una duplice eredità di cultura e di mentalità: l’eredità giudaica e l’eredità greco-romana, ideologicamente dominate dalla supremazia morale delle attività originali degli antenati. I mestieri non agricoli non incontrano alcun favore agli occhi di questi discendenti di agricoltori e di pastori, e la Chiesa riprenderà spesso gli anatemi di un Platone o di un Cicerone, interpreti delle aristocrazie terriere dell’antichità. Le professioni lucrative sono colpite in nome del contemptus mundi, del disprezzo del mondo che ogni cristiano deve manifestare. Più generalmente v’è nel cristianesimo una tendenza a mettere sotto accusa ogni negotium, ogni attività secolare, e a privilegiare un certo

otium, un ozio che è fiducia nella Provvidenza. Più specificatamente ancora, l’uomo deve

lavorare a immagine di Dio. Il lavoro di Dio è la creazione. Ogni professione che non sia creativa è dunque infame o inferiore. Perciò è condannato il mercante, in quanto non crea nulla. È questa una struttura mentale essenziale della società cristiana, nutrita di una teologia e di una morale fiorite in regime precapitalista. L’ideologia alto-medievale è materialista nel senso stretto. Ha valore solamente la produzione di materia. Il valore astratto definito dall’economia capitalista le sfugge, le ripugna, è condannato da essa. La società occidentale, in quest’epoca essenzialmente rurale, comprende in un disprezzo quasi generale la maggior parte delle attività che non siano legate direttamente alla terra. Anche il modesto lavoro contadino si trova indirettamente umiliato a causa delle opera

servilia, i compiti servili proibiti la domenica, e per la distanza a cui si tengono le classi

203 Mumford, Lewis (2005), op. cit., pp. 28-29. 204 Koyrè, Alexandre (2000), op. cit., pp. 103-104.

dominanti - aristocrazia militare e terriera, clero - da ogni lavoro manuale205. Non bisogna quindi lasciarsi ingannare, a questo riguardo, dalla posizione di San Benedetto e della spiritualità benedettina nei confronti del lavoro. Sotto le due forme attraverso le quali la Regola benedettina lo impone ai monaci - lavoro manuale e lavoro intellettuale -, esso è, conformemente all’ideologia del tempo, una penitenza. Nello spirito benedettino dell’alto Medioevo, la spiritualità del lavoro, semplice strumento di penitenza, e la teologia del lavoro, diretta conseguenza del peccato originale non hanno, in un certo senso, che un valore negativo.

Si ripropone qui una forte opposizione tra la vita contemplativa - a cui s’attribuisce valore positivo - e la vita activa - a cui s’attribuisce valore negativo206. Certamente alcuni artigiani - o meglio alcuni artisti - sono aureolati di singolare prestigio, laddove la mentalità magica si soddisfa in maniera positiva: l’orefice, il fabbro, lo spadaio. Numericamente essi contano poco: essi appaiono più come stregoni che come tecnici207.

Stessa sorte toccherà ad altre innovazioni tecniche: la costruzione del mulino ad opera dei monaci - come si è notato - passava agli occhi dei contemporanei come una prova del sapere quasi soprannaturale, quasi taumaturgico dei monaci più che un esempio della loro abilità tecnica. Il progresso tecnico nell’alto Medioevo è dunque percepito come un miracolo, come un dominio sulla natura che non può avere altra origine che la grazia divina.

L’unica via che il Monaco aveva a disposizione per aspirare ad una vita migliore portava direttamente fuori dal mondo attraverso la via dell’ascesi208. In questo caso una vita migliore sembrava raggiungibile unicamente nell’aldilà e poteva consistere soltanto nella liberazione da ogni cosa terrena; ogni attenzione prestata al mondo ritardava la salvezza promessa. Il Cristianesimo aveva inculcato questo ideale così profondamente negli habitus psichici, sia a livello di vita individuale che come fondamento culturale, da impedire quasi, per molto tempo, di percorrere la via che conduceva al miglioramento e al perfezionamento del mondo stesso. Solo le istituzioni volute da Dio erano buone; il mondo era il male ed è il peccato dell’uomo che tiene il mondo nella miseria. Quest’epoca non conosce, infatti, come stimolo al pensiero e all’azione, la lotta consapevole per migliorare e riformare le istituzioni sociali o politiche. Praticare il proprio mestiere209 in maniera virtuosa è l’unica cosa che possa giovare al mondo, ed anche in questo caso il vero scopo dell’operare resta l’altra vita. Anche dove viene creata una nuova forma sociale, all’inizio la si considera come un ripristino del buon diritto antico o come l’abolizione di abusi tramite una delega data all’autorità a questo preposta. Non hanno in mente un progetto per il futuro, né un ideale. Niente ha così fortemente contribuito a creare quell’atmosfera di pessimismo e di disperazione nei confronti dell’avvenire quanto questa assenza di una volontà collettiva di costruire un mondo migliore e più felice. Nel mondo stesso non c’era alcuna promessa di cose migliori. Chi anelava al meglio e tuttavia

205 Se l’ordine degli oratores - i chierici - ha finito coll’ammettere al suo fianco, accordandogli un posto

eminente, l’ordine dei bellatores - i signori -, si è però inteso con questo nel considerare col più grande disprezzo l’ordine inferiore di laboratores - i lavoratori. Il lavoro è così screditato, compromesso con l’indegnità della classe alla quale è riservato. La Chiesa giustifica la condizione del servo, capro espiatorio della società, con la schiavitù al peccato, e l’ignominia del lavoro che definisce la sua condizione con lo stesso peccato originale.

206 Val la pena di sottolineare nuovamente l’associazione mentale tra lavoro e schiavitù da cui emerge

un’antitesi tra il lavoro e la libertà; da qui, la nozione di opus servile.

207 Le Goff, Jacques (2000), op. cit., pp. 57-59.

208 Si vedrà, nel VI Capitolo, come la dottrina protestante rovesci questa concezione: l’ascesi ultramondana

dell’alto Medioevo cristiano sarà sostituita dall’ascesi intramondana. Questa sostanziale differenza determinerà spinte all’azione sociale decisive per l’affermazione dell’idea di progresso e per lo sviluppo della produzione sociale di conoscenza scientifica.

non riusciva ad allontanarsi dal mondo e da tutte le sue piacevolezze, aveva davanti a sé solo disperazione; non trovava in alcun luogo né speranza né letizia; al mondo restava ancora poco da vivere, e in quel poco non c’era che miseria210.

Per la maggior parte della persone, nell’alto Medioevo, compresi i laici, l’espressione del pensiero o del sentimento era informata alla religione e ordinata a fini religiosi. Più ancora, tutto l’habitus psichico - vocabolario, categorie di pensiero, norme estetiche e morali - era di natura religiosa, e il “progresso” a questo riguardo consisterà - come si vedrà - proprio nella laicizzazione di questi strumenti di cultura. Così, ogni presa di coscienza avviene per e attraverso la religione - a livello della spiritualità. Si potrebbe quasi definire l’habitus psichico medievale con l’impossibilità di esprimersi al di fuori di riferimenti religiosi.

La cultura dell’alto Medioevo cristiano ebbe carattere eminentemente teologico e morale. I maestri del cristianesimo si ponevano la domanda: “Che cosa vale la pena di conoscere e di fare?” e si rispondevano: “Val la pena di conoscere e di fare tutto ciò che conduce all’amore di Dio”. I primi cristiani continuarono a trascurare la curiosità naturale e sulle prime inclinarono perfino a disprezzare lo studio della filosofia stessa, capace di distogliere gli uomini da un’esistenza gradita a Dio. L’interesse principale dell’osservazione dei fenomeni naturali consisteva nel trovare esempi della verità della morale e della religione. Dallo studio della natura non ci si attendeva di ricavare ipotesi o verità scientifiche generali ma simboli efficaci di realtà morali. La luna era l’immagine della Chiesa che riflette la luce divina, il vento un’immagine dello spirito, lo zaffiro l’immagine della contemplazione divina, mentre il numero 11 andando oltre il 10 che rappresentava i comandamenti, era sinonimo di peccato. La preoccupazione per i simboli si manifesta chiaramente nei bestiari: ci si riferiva copiosamente agli animali come simboli morali. Seppure a volte vi fossero degli uomini che sapevano osservare con molta chiarezza la natura, le osservazioni erano quasi sempre semplici interpolazioni alle allegorie simboliche, che ai loro occhi erano la sola cosa importante211. Questo eminente interesse per la ricerca dei simboli morali insieme con l’interesse per le virtù magiche ed astrologiche degli oggetti materiali, fu la caratteristica principale dell’impostazione scientifica nell’Occidente cristiano dell’alto Medioevo212.

Nel mondo dell’alto Medioevo conoscere e spiegare una cosa per il Monaco significava dimostrare che essa annunciava o significava un’altra cosa.

Un esempio d’interpretazione del mondo della natura inteso come un tutto unico lo ritroviamo nel concetto di corrispondenza tra universo e individuo definito da Mircea Eliade “microcosmo-macrocosmo”213. Questo modello afferma che il rapporto che

intercorre tra la vita degli uomini e delle società umane non è nettamente separata dalla vita che anima tutto l’universo, e le stesse forze sacre che generano i ritmi della natura sono percepite come forze pulsanti all’interno della struttura sociale in cui vivono. Mantenere un ordine e un’armonia al loro interno significava dunque anche mantenere quella stabilità e quell’armonia cosmica voluta dagli dèi. Qui sembra contare la possibilità di collocare gli eventi in una determinata posizione nell’ambito di un sistema assolutamente chiuso, al cui interno ogni possibile mutamento, ovviamente indesiderato e da considerarsi comunque temibile, deve essere ricondotto ad un avvenimento (in genere

210 Huizinga, Johan (2007), op. cit., pp. 55-56.

211 Non si sottovaluti l’importanza che assunse, nella formazione di questi habitus psichici, l’impossibilità

d’un’esatta comprensione delle riserve sociali di conoscenza ereditate dal mondo greco ed ellenistico. La “trasformazione” - per esempio - degli enti teorici in oggetti concreti contribuì non poco alla formazione del pensiero magico-mistico.

212 Crombie, A. C. (1970), op. cit., p.14.

un modello reso “esemplare”) già precedentemente verificatosi. È evidente che in una data situazione, ogni idea di sviluppo o di progresso, perde ogni possibile significato214. Gli uomini dell’alto Medioevo - e anzitutto gli “intellettuali” - erano infatti posseduti dal bisogno di appoggiarsi sulle auctoritates del passato e, in tutti i campi, si impegnavano con tutte le loro forze non a sviluppare o a creare, ma a salvare e a conservare.

Ci troviamo di fronte in questo genere di collettività ad un sistema altamente integrato dove tutto si tiene. L’ordine cosmico è correlato all’ordine sociale, l’immaginario collettivo e quello individuale coincidono, ogni avvenimento riceve la sua spiegazione