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Configurazioni socio-storiche: la Repubblica delle lettere

La conoscenza scientifica nell’era moderna: la Rivoluzione scientifica

VI.1 Configurazioni socio-storiche: la Repubblica delle lettere

Dal XV al XVIII secolo, gli studiosi si autodefinivano regolarmente cittadini della “Repubblica delle lettere”274, un’espressione che esprimeva il loro senso di appartenenza a una comunità trascendente le frontiere nazionali. Si trattava essenzialmente di una comunità immaginaria, che nondimeno sviluppò costumi specifici quali lo scambio di lettere, libri e visite, per non parlare delle forme ritualizzate in cui gli studiosi più giovani esprimevano la loro deferenza nei confronti dei colleghi più affermati che potevano aiutarli ad avanzare nella carriera275.

Fu in questo periodo che nacque il movimento umanistico. Associato col Rinascimento fu, almeno nelle intenzioni, un movimento non di innovazione ma, appunto, di rinascita della tradizione classica. Nondimeno fu anche un movimento innovativo, in modo molto consapevole, contrapponendosi a gran parte del sapere convenzionale degli scolastici (in altre parole, ai filosofi e ai teologi che dominavano le università del Medioevo): i termini stessi “Scolastica” e “Medioevo” furono anzi coniati dagli umanisti al fine di definire la propria identità più chiaramente per contrasto col passato. La maggioranza degli umanisti aveva studiato nelle università; queste divennero oggetto preferito delle loro critiche276. Questi svilupparono le loro idee mediante la discussione, ma i loro dibattiti non si svolsero tanto nell’ambiente universitario, dove i gruppi di tradizione consolidata erano spesso ostili ai nuovi argomenti, quanto in un nuovo genere di istituzione che essi crearono a proprio uso: l’Accademia. Ispirata da Platone, essa fu più vicino all’antico simposio che al moderno seminario. Più formale e durevole di un circolo, ma meno formale di una facoltà universitaria, l’accademia fu una forma sociale ideale nella quale sperimentare l’innovazione; a poco a poco gruppi costituiti attorno ad esse si trasformarono in istituzioni, dotate di un numero fisso di iscritti, di statuti e di riunioni regolari. Nell’anno 1600 nella sola Italia erano già state fondate quasi 400 accademie, ma istituzioni analoghe esistevano anche in altre parti d’Europa277. Il sostegno reale di vari Paesi fu di importanza cruciale nella fondazione di istituzioni diverse volte all’insegnamento o alla raccolta di

274 Chi incarnò più di tutti questo nuovo ethos comunitario, fu indubbiamente padre Mersenne. È rimasto

celebre per la sua prodigiosa attività epistolare. Le sue lettere furono per quasi trent’anni, tra il 1620 e il 1648, il tramite più efficace delle notizie nel mondo della scienza. Per comprendere l’importanza di Mersenne, bisogna rammentare i problemi che si agitavano allora da un capo all’altro dell’Europa: gli esperimenti di Galileo sulla dinamica e le sue scoperte astronomiche, la diffusione del sistema copernicano, le polemiche contro la fisica peripatetica, le teorie meccanicistiche di Descartes, i lavori di Fermat, le esperienze barometriche. Probabilmente, se non vi fosse stato Mersenne a far da giornalista, la diffusione delle idee e degli esperimenti nella “Repubblica delle lettere” sarebbe stata notevolmente ridotta. A Mersenne più che a qualsiasi altro singolo individuo o qualsiasi altro circolo va attribuita la responsabilità di aver fatto di Parigi il centro intellettuale d’Europa negli anni compresi fra il 1630 e il 1670 circa.

275 Burke, Peter (2002), op. cit., p. 33.

276 Vale però la pena di notare che alcune delle figure più creative trascorsero gran parte della loro esistenza

al di fuori del sistema universitario.

277 Il dibattito delle idee non fu in alcun modo monopolio delle accademie: nella Firenze del primo XV

secolo, l’umanista Leon Battista Alberti ebbe frequenti conversazioni con lo scultore Donatello e l’architetto Filippo Brunelleschi. Un altro membro del circolo dell’Alberti fu il matematico Paolo Toscanelli, che annoverò fra i suoi interessi la geografia, in particolare le rotte marittime verso le Indie, ottenendo informazioni in materia dai viaggiatori che passavano per Firenze dopo aver fatto ritorno in Europa e venendo probabilmente in contatto con Colombo.

informazioni278. Il sostegno reale era importante per gli umanisti a causa dell’opposizione da loro incontrata in alcuni circoli intellettuali, la cui intensità variò a seconda delle università279.

Le idee degli umanisti si infiltrarono gradualmente nelle università, specie agendo in modo surrettizio sui curricula piuttosto che sui regolamenti ufficiali. Quando ciò avvenne, tuttavia, la fase più creativa del movimento umanista si era ormai chiusa: la sfida all’establishement ora veniva dalla “nuova filosofia”, in altre parole, dalla “scienza”. Ciononostante, il prestigio e l’importanza degli universitari e delle università rimaneva grande ed è in gran parte per ragioni di prestigio che un numero crescente di principi e di città nella seconda metà del XV secolo e nel secolo XVI crearono delle università, ma le intenzioni utilitarie di questi fondatori prendevano sempre più il sopravvento sui motivi disinteressati: queste università dovevano essere innanzitutto dei vivai di funzionari, di amministratori, di magistrati, di diplomatici, di servitori del pubblico potere280. Il fatto del

resto che l’umanesimo si sviluppasse in parte all’esterno delle università che avevano così perduto il monopolio della cultura e della scienza favoriva la loro conversione verso carriere utilitarie, in ciò facilitate anche dalla crescente laicizzazione degli universitari. Sul piano spirituale analogamente le università tendevano sempre più ad avere un ruolo soprattutto utilitario. Esse tendevano a divenire delle custodi e delle sorveglianti dell’ortodossia, ad assolvere una funzione di polizia ideologica, al servizio dei poteri politici281. Così le università, diventando più dei centri di formazione professionale al servizio degli stati che centri di lavoro intellettuale e scientifico disinteressato, cambiavano ruolo e fisionomia sociale. Esse non erano più i crogiuoli di formazione di un’intelligencija originale, bensì un centro di tirocinio sociale dal quale passavano i membri delle categorie che formavano l’ossatura amministrativa e sociale degli Stati moderni, e ben presto dell’assolutismo monarchico. Non che sia facile distinguere quel che è causa o effetto di cambiamento di ruolo delle università in questo fenomeno, tuttavia, sembra che l’origine sociale degli universitari, in ogni caso degli studenti, sia notevolmente cambiata nel Rinascimento, essendo molto aumentata la proporzione degli universitari di origine borghese e soprattutto di origine nobile, il che dimostra nuovamente l’inserimento delle università nei quadri sociali dirigenti dell’era monarchica. Così il Rinascimento vede un addomesticamento delle università ad opera dei pubblici poteri, che restringe singolarmente i motivi e le possibilità di conflitto282.

Le università - come si notava - ebbero comunque un ruolo importantissimo in questo periodo ed alcune, più di altre. Sia Copernico che Galileo frequentarono l’Università di Padova in importanti periodi della loro vita; e anche prescindendo da questi grandissimi nomi, si ebbero in questa università sviluppi tali da giustificare la concezione secondo la quale - ammesso che l’onore di essere stata la sede della rivoluzione scientifica possa appartenere di diritto ad un singolo luogo - tale onore dovrebbe essere riconosciuto a Padova. Il grande movimento che sorse nell’ambito della scolastica parigina del quattordicesimo secolo trovò i suoi seguaci soprattutto nelle università dell’Italia

278 Ad esempio Enrico III, nel Cinquecento, fu il patrono di un’accademia di corte nella quale si tenevano

conferenze sulle idee di Platone, in collegamento con la cosiddetta Accademia platonica di Firenze.

279 Ivi, pp. 53-56.

280 Le università si sono evolute nel corso del periodo medievale. Ma questa evoluzione si è soprattutto

orientata verso la degenerazione dell’ambiente universitario in casta: chiusura relativa dell’ambiente sociale (diminuzione del numero dei poveri, nepotismo), asprezza nella difesa dei privilegi come segni distintivi di casta, insistenza sempre più grande su un genere di vita da privilegiati.

281 A dire il vero le università assolsero più o meno rigidamente a questa funzione secondo una gamma di

sfumature, tra Parigi, dove la Sorbona si distinse nella caccia alle streghe, e Venezia (cioè soprattutto Padova, dove pare abbia regnato una grande libertà ideologica).

settentrionale, e qui nel sedicesimo secolo si sviluppò la dottrina dell’impetus283, in un tempo in cui la tradizione e gli interessi di Parigi stessa si erano allontanati da questo campo di studi. Per gli umanisti del Rinascimento Padova fu oggetto di particolare derisione in quanto era la serra dell’aristotelismo; e uno dei paradossi della rivoluzione scientifica consiste nel fatto che in tale rivoluzione ebbe una parte molto rilevante un’università nella quale Aristotele aveva una tradizione saldissima ed era stato profondamente venerato per secoli. Padova, tuttavia, si trovava in una posizione di vantaggio: era un’università nella quale si studiava ampiamente Aristotele come introduzione ai corsi di medicina, poiché a Padova la regina delle scienze, piuttosto che la teologia, come invece a Parigi, era la medicina. Galeno aveva lasciato in eredità agli studiosi di medicina l’interesse non solo per l’osservazione, ma anche per il vero e proprio esperimento, e oltre a ciò i suoi scritti avevano dato impulso a Padova a discussioni esplicite e consapevoli sul metodo sperimentale. In ogni modo, a quel tempo, le città laiche erano diventate molto laiche, e ciò si era manifestato in modo particolarmente evidente a Padova, persino nei riguardi del pensiero politico. All’università si interpretavano soprattutto le opere aristoteliche sull’universo fisico e per molto tempo lo studio fu compiuto in collaborazione con la stessa facoltà di medicina. Mentre i filosofi scolastici del Medioevo avevano inquadrato Aristotele nella loro sintesi cristiana, i padovani lo studiarono in modo molto più laico, guardando piuttosto all’Aristotele originale, nudo, senza abiti cristiani. O forse bisognerebbe piuttosto ricordare che nell’università di Padova prevaleva la tendenza ad assumere questo atteggiamento in quanto era un’università averroistica, che interpretava Aristotele alla luce del suo commentatore arabo, Averroè. Padova cadde sotto il dominio di Venezia nel 1404 e Venezia era allora, e rimase per molto tempo, lo stato d’Europa più fecondamente anticlericale. La libertà di pensiero di cui godeva Padova attirò a sé gli uomini più dotati da tutta Europa. C’è una profonda continuità storica tra il quindicesimo e il diciassettesimo secolo nelle esplicite discussioni dell’università di Padova sul metodo scientifico; dobbiamo osservare il modo nel quale Aristotele fu esautorato attraverso la semplice continuità e lo sviluppo di interpretazione dei suoi testi284. Verso la fine del sedicesimo secolo essi discutevano se le cause ultime dovessero avere un qualche posto nella filosofia della natura, ed ebbero idee estremamente chiare sul metodo scientifico. Galileo, che giunse all’università di Padova proprio dopo che avevano avuto luogo alcune tra le più importanti controversie in proposito, ereditò qualcosa di questo metodo e si servì della stessa terminologia quando ne discusse il carattere. Fu comunque a proposito dell’anatomia che Padova raggiunse i risultati più notevoli come scuola e come tradizione; ed è un fatto di rilevante importanza che William Harvey285 sia stato iniziato allo studio secondo questa tradizione, poiché l’aspetto più notevole della sua opera riguarda non solo la dissezione e l’osservazione, ma anche il vero e proprio esperimento286.

283 Per approfondimenti, vedi qui nota 262.

284 È stato messo in luce che nelle discussioni del quindicesimo secolo sul metodo scientifico, a Padova, si

dibatté la questione del trattamento puramente quantitativo dei fenomeni (contrapposto a quello precedente, il qualitativo), e che, nel sedicesimo secolo i padovani dubitavano della vecchia concezione, secondo la quale il moto naturale, per esempio nel caso della caduta dei corpi, era il risultato di una tendenza intrinseca ai corpi stessi: essi si chiedevano se il moto non fosse invece conseguenza di una forza esercitata sul corpo.

285 Un sapore di straordinaria modernità è presente nella sua opera in conseguenza della natura chiaramente

meccanica di molta parte delle sue indagini e delle sue argomentazioni, dell’importanza che egli annetteva a considerazioni di carattere puramente quantitativo e al valore decisivo che egli attribuiva al procedimento aritmetico. La sua rivoluzione fu dovuta alla capacità di interpretare l’intero argomento nell’ambito di un nuovo schema, e di riformulare il problema in modo da renderlo risolubile.

Le città italiane sono, fino alla metà del XVII secolo, i centri culturali più attivi. La Chiesa dà ancora un notevole contributo di ricercatori, provvisti di mezzi di sostentamento più o meno abbondanti. Gli ecclesiastici sono infatti molto numerosi in quest’ambito estremamente vivace di matematici, astronomi, medici, filosofi, pullulanti nelle università e nelle accademie principesche, nelle cerchie dei duchi e dei cardinali amatori di scienza, ed anche nell’ambiente degli scienziati celebri come Galileo. Anche gli ecclesiastici scienziati partecipano, come gli altri, alle discussioni e agli esperimenti. La protezione di principi287 e cardinali conferì lustro e prestigio alla figura dello scienziato, e ciò contribuì notevolmente alla sua evoluzione sociale. Le università, come pure le corti principesche, coltivavano una vita intellettuale molto raffinata, e gli uomini di scienza, le cui qualità venivano riconosciute, passavano continuamente dalle une alle altre secondo l’entità dei compensi che si offrivano loro, o secondo le condizioni di lavoro che speravano di trovare288.

Le città del tempo ebbero un ruolo centrale nella sistematizzazione del sapere. Qui si verificò un ampio processo di elaborazione o “trasformazione” del sapere che comprendeva fasi quali compilazione, controllo, revisione, traduzione, commento, critica, sintesi e, come si diceva al tempo, il “compendiare e metodizzare”. Si potrebbe descrivere questo processo in termini di catena di montaggio: via via che i prodotti dell’informazione avanzavano lungo il percorso dal campo alla città, molte persone diverse aggiungevano il loro contributo. Con questi mezzi il sapere era “prodotto”, nel senso che nuove informazioni erano trasformate in quello che era considerato, perlomeno dall’élite, come sapere. Le città sono state descritte come “centri di calcolo”, in altre parole, luoghi in cui le informazioni locali provenienti da regioni diversi e riguardanti argomenti diversi venivano trasformate in conoscenza generale289 nella forme di mappe290, statistiche291 e così via. Le città della prima età moderna potrebbero descriversi altrettanto efficacemente come centri di calcolo, critica e sintesi292. L’elaborazione del sapere lungo queste linee era un’attività collettiva alla quale gli studiosi partecipavano insieme a burocrati, artisti e stampatori: questo genere di collaborazione era possibile solo in città abbastanza grandi da

287 Tra i molti principi italiani mecenati delle scienze, i Medici furono i più attivi e munifici e protessero per

due secoli tanto le arti e le lettere, quanto le scienze. Non furono i soli a tenere presso di sé pittori, scultori e poeti, ma lo fecero con maggiore magnificenza e continuità di tutti gli altri loro contemporanei. Le accademie già nate per loro interessamento, difendevano e perfezionavano la lingua, favorivano la cultura musicale. Da questo ambiente sorsero in Italia, durante il secolo XVII, le prime accademie scientifiche.

288 Galileo cominciò la propria carriera come professore di matematica presso l’università di Pisa, con lo

stipendio di sessanta scudi all’anno; negli stessi anni un professore celebre, che non ha lasciato tuttavia traccia notevole nella storia delle scienze, Mercurialis, guadagnava duemila scudi. Più tardi Galileo riuscì a farsi assegnare il titolo di matematico e filosofo dal granduca di Toscana, con uno stipendio di mille scudi; non esitò allora a lasciare l’università di Padova, dove era stipendiato in misura doppia, perché a Firenze era sollevato da qualsiasi obbligo di insegnamento.

289 Un primo esempio - come si è visto - è quello di Alessandria, con la sua famosa Biblioteca, dove agirono

studiosi come il geografo Eratostene trasformando la conoscenza locale in patrimonio generale.

290 Una delle ragioni dell’aumento di interesse a livello ufficiale nei confronti delle mappe fu la loro capacità

di presentare informazioni quantitative raffigurate in scala. I sovrani dell’inizio dell’età moderna e i loro ministri mostrarono un interesse crescente per le cifre oltre che per i fatti; una delle cose che li interessò particolarmente era sapere quante persone vivevano nei loro domini. I governi precedenti erano stati solo in grado di “tirare ad indovinare”.

291 Nella prima età moderna, la raccolta regolare e sistematica di informazioni divenne parte delle procedure

ordinarie di governo in Europa: la crescente centralizzazione amministrativa richiese e consentì ad un tempo ai governanti del periodo di sapere molto di più sulle vite dei loro governati di quanto era stato possibile nel Medioevo. La centralizzazione portò alla nascita della burocrazia. Weber la definì come “l’esercizio del controllo sulla base della conoscenza”.

292 Basti pensare agli atlanti o agli scritti dei cartografi che attingevano alle relazioni orali o scritte di diversi

supportare una vasta gamma di occupazioni specialistiche. Roma, Firenze, Parigi furono tutte centri di cultura. Grazie alle loro biblioteche e ai loro professori, alcune città universitarie svolsero un ruolo nell’elaborazione di un’immensa mole di sapere. Dopo essere stato elaborato nelle città, il sapere era distribuito o riesportato a stampa. Questo non fu solo un mezzo che abbatté le barriere geografiche dislocando i diversi saperi dai loro contesti originali. Ebbe infatti un ruolo di fondamentale importanza nella diffusione della conoscenza e divenne un’ineguagliabile ausilio per la diffusione delle cognizioni scientifiche293. Alla fine del XV secolo la stampa dei testi scientifici si intensifica ovunque; gli scritti degli antichi costituirono una prima miniera da sfruttare, per la quale esisteva una grande clientela, grazie all’insegnamento delle università. Quando la stampa diventò un’attività industriale, ovviamente nel senso che questo termine poteva avere a quell’epoca, rispose ad un preciso bisogno. Il ritmo della diffusione della cultura e della circolazione delle idee divenne allora molto più rapida. Furono fondate stamperie presso le università e spesso anche per loro iniziativa; altre nacquero per iniziativa di principi o di comunità religiose. L’officina tipografica diventò il sussidio ordinario e indispensabile in ogni centro di attività intellettuale294. La pubblicazione di libri era un’attività che attirava l’attenzione degli uomini d’affari che già nel Quattrocento avevano cominciato a finanziare gli stampatori295. La stampa incoraggiava la commercializzazione di ogni tipo di sapere. Una conseguenza ovvia ma significativa dell’invenzione della stampa fu di coinvolgere più strettamente gli imprenditori nel processo della diffusione del sapere in quello che divenne un vero e proprio business296.

Circondata da un’attenzione così lusinghiera, la scienza, dalla fine del secolo XVI, ebbe un periodo di attività fervidissima. È molto notevole sia il numero, sia il valore degli scienziati vissuti in tale periodo, nel quale il prestigio degli uomini di scienza era ormai un fatto acquisito. Dal punto di vista sociale, l’uomo di scienza ha ormai una grande reputazione, e lo Stato considererà presto un proprio dovere aiutarlo e sostenerlo. All’inizio del secolo XVII, il mecenatismo è ancora puramente privato. Per osservare, meditare, scrivere, è indispensabile disporre di tempo libero; per procurarsi libri o far stampare i propri scritti sono indispensabili risorse adeguate. In Francia, come in Italia, molti veri scienziati provengono dalle classi più agiate della società. L’università qui era ancora peripatetica e difendeva, contro i cartesiani, le tesi di Aristotele; nel secolo successivo, sarà cartesiana contro i newtoniani297. Essa non offre dunque all’uomo di scienza alcun aiuto materiale o intellettuale efficace. Gli stipendi ch’essa concede ai suoi cattedratici costituiscono spesso redditi esigui. Nel Rinascimento, l’uomo di scienza, non si dedicava esclusivamente a lavori scientifici: per molti secoli ancora, la scienza non fu oggetto di specializzazione esclusiva. La condizione dell’uomo di scienza restò la condizione comune dell’intellettuale: ecclesiastico, professore o medico. Si tratta

293 Tra le opere più celebri che furono stampate allora, il De Revolutionibus di Copernico fu quella che ebbe

le più notevoli conseguenze storiche. La stampa fu affidata a due stampatori di Norimberga, Schoner e Osiander, da Rheticus, discepolo di Copernico, che li aveva scelti per la loro grande abilità e cultura. L’opera apparve nel 1543, l’anno in cui Copernico morì.

294 Le principali città europee furono infatti illustri centri tipografici. 295 Burke, Peter (2002), op. cit., pp. 101-106.

296 Accanto alla stampa, si dovrebbero citare molte altre invenzioni che resero possibile la Rivoluzione