La penuria e l’esigenza di preservare certe qualità di bosco devono aver creato tensioni di vario genere e a diversi livelli, tra l’autorità centrale, le compagnie appaltatrici e le comunità locali. In epoca romana le societas publicanorum da un lato e le comunità locali dall’altro sembrano essersi fronteggiati in diverse occasioni. Tensioni e conflitti per la gestione di boschi e pascoli dovettero sfociare inevitabilmente anche tra le varie comunità. Durante l’alto e il basso medioevo, l’avanzare inesorabile dell’azione di dissodamento (la terra disculta)154 nei confronti di incolti e boschi che
investì le campagne medievali europee ed italiane tra XI e XIII secolo con ritmi e modalità diverse155, vide l’aumento concomitante dei conflitti. Di queste contese ne è testimonianza il lascito
degli archivi sparsi per tutta Italia, che registrano denuncie, violazioni ed ammende oltre che limitazioni nel taglio del bosco come risulta dagli statuti cittadini.
Nella foresta della Sila, racconta Cicerone, nel 138 a.C. una familia di schiavi appartenente ad una società di pubblicani che aveva appaltato l’estrazione della pece, si scontrò con alcuni noti homines della regione e li uccise. L’uccisione non fu imputabile ai soli schiavi ma anche ai liberi che
153 Moe et alii2007: p. 446, ‘Charcoal of local origin and increased values of Poaceae and most herbs obviously show
active local grazing until 2100–2000 b.p. […] In Val Vidröla (2235 m) and Borghetto Sotto (1897 m) a temporary minor re-establishment of woodland took place around 2100/2000 b.p. […]Such reductions in the more marginal farmland in several places at the beginning of the Roman period are explained as being the result of a more attractive economy in the lowlands, specializing in viticulture as well as requiring manpower’.
154 Il Sereni 1981: p. 13, scrive che ‘Il latino medievale runcare assume così il valore di ‹‹dissodare››, e magari di
‹‹disboscare››’. Spesso, infatti, la stessa attestazione si ritrova anche associata al ronco (terra disculta vel ronco).
155 Duby 1983: pp. 99-135, afferma che vi furono diverse velocità di questa ‘conquista’ nell’Europa medievale. Afferma
Duby che ‘L’indietreggiare dell’incolto di fronte alla coltura permanente rappresentò la grande avventura economica del XII secolo nell’Europa occidentale’; Cherubini 1981: pp. 287-315 per le campagne italiane tra XI e XIII secolo, in particolare pp. 303-7 per la distruzione dei boschi causata dall’uso industriale del legname; Cortonesi 1988: p. 305. Ad esempio Lanconelli 1994: p. 126 intravede per l’alto Lazio fra XI e XII secolo più che un disboscamento su larga scala, una lenta e limitata erosione del manto boschivo condotta attraverso azioni individuali (su questo punto già Toubert 1973: pp. 341-8). Tuttavia si deve ricordare che la sopravvivenza di superfici boschive non rappresenta il residuo di un processo incompiuto di dissodamento, ma piuttosto l’accresciuta importanza dell’economia della selva nel quadro dello sfruttamento differenziato delle risorse. Un grande interesse per il tema dei dissodamenti è stato dimostrato in diversi studi portati avanti soprattutto dalla storiografia dei paesi d’oltralpe, in Francia e nell’area tedesca (Bloch 1952; Fossier 1987), e grande attenzione è stata rivolta dalla storiografia anche ai i paesi sottoposti a grandi opere di bonifica di terreni invasi dalle acque marine, come la Fiandre e i Paesi Bassi (Slicher Van Bath 1972). Un’ampia trattazione del tema si ritrova anche per l’Italia, a cominciare dall’estesa descrizione del paesaggio italiano offerta dal Sereni (Sereni 1986), fino alle analisi dei singoli territori regionali.
facevano parte della societas picaria156. Il conflitto dunque tra sfruttamento intensivo delle risorse boschive non regolamentato e comunità locale risulta evidente157. I noti homines avrebbero potuto
essere dei proprietari che cercavano di proteggere i propri possedimenti o notabili locali che intervenivano in difesa delle risorse della comunità. L’episodio mostra lo squilibrio tra due mondi e due economie in palese conflitto: uno legato ad un utilizzo tradizionale e rispondente alle esigenze collettive della comunità e l’altro frutto di uno sfruttamento intensivo connesso agli interessi di gruppi emergenti e ad un’economia a più alta intensità158.
Nel viterbese non è del tutto chiaro come fossero gestiti i boschi appartenenti alla comunità nel corso dell’XI e del XII secolo, allorchè la pressione su boschi e incolti si fece più intensa. Nello statuto trecentesco di Castel Fiorentino nell’alto Lazio (1356) dedicato alla protezione della silva Plani Rotundi più di una rubrica, vi sono ad esempio pene e divieti per tutta una serie di attività che potessero danneggiare tale risorsa. Tra queste particolare attenzione viene riservata al pascolo del bestiame minuto che evidentemente veniva fatto pascolare nella silva pascua creando notevoli disagi159 . Nella discordia sui confini che contrappose le comunità di Viterbo e Montefiascone
almeno a partire dal XIV secolo, sappiamo che tra i principali punti di attrito vi era il diritto di pascolo nel bosco dei SS. Giovanni e Vittore. Dagli atti di un processo svoltosi nel 1356 risulta che alcune pecore furono sequestrate dopo essere state trovate a pascolare nel bosco senza autorizzazione160. Da tutta una serie di indizi testuali dunque è evidente che i pascoli comunali di
Viterbo e delle comunità finitime erano per la maggior parte costituiti dalla superfici boscate, al centro di utilizzi differenti ma integrati, percepiti però come in conflitto tra loro161. Sempre nel Lazio
si registrano numerosi casi di silvae ‘contese’ fra diverse comunità, come nel conflitto per l’utilizzo della selva di Furnulo tra le comunità di Vico e Collepardo162. Subito dopo l’intervento di papa
Innocenzo III per dirimere la questione in favore dei collepardesi, immediatamente (die sequenti) gli
156 Cic. Brut. 22.85: Nam cum in silva Sila facta aedes esset notique nomine interfecti in simulareturque familia, partim
etiam liberi societatis eius, quae picarias de P. Cornelio L. Mummio censori bus redemisset, decrevisse senatum, ut de ea re cognoscerent et statuerent consules.
157 Sappiamo che l’estrazione della pece doveva essere un procedimento molto invasivo; non solo venivano abbattuti
alberi da cui estrarre la pece, ma servivano alte temperature per liquefarla, Plin. Nat.Hist. 16.52-7. Gangemi 1999, 2006 analizzando il resocondo uffiale del giudice Giuseppe Zurlo (1792) sulle proprietà del Regno di Napoli nella Sila, ha ben descritto non solo gli interessi in gioco ed i conflitti tra la Corona, i privati e le comunità nell’utilizzo dei boschi, ma è riuscito a ricostruzione nel dettaglio il sistema di estrazione della pece che deve essere rimasto grossomodo invariato da quello usato nell’antichità, in un momento in cui il regno andava allestendo una grande flotta nel porto di Napoli. Per ottenere le quantità di pece e di legname necessario, oltre all’insorgere di conflitti con i soggetti locali che fino a quel momento avevano utilizzato i boschi per le proprie economie, una grande quantità di appaltatori (i partitari) e di operai specializzati (peciari) si devono essere rivestati in questi boschi. Il sistema utilizzato per ottenere pece e resine, prevedeva un ciclo serrato di intaglio delle piante (intaccatura) per stimolare la produzione di resine, un’operazione che proseguiva per tutto l’anno a cicli regolari di 30-40 giorni (rinfrescatura). Per i primi 2-3 anni si raccoglieva da ogni pianta trementina e pece bianca, mentre per i successivi anni (fino a 6!), si otteneva pece nera.
158 Giardina 2005 : p. 88 su questa differenza di equilibri tra la vecchia e la nuova economia.
159 Lanconelli 1994: p. 131. Statuto Castel Fiorentino, rubriche 50,51 p. 220: ‘nulla bestia minuta mithatur seu intret intus
silvam Plani Rotundi’. Solo in certe condizioni il bestiame poteva pascolare nel bosco senza pericolo di ammenda per i proprietari: ‘tempore tamen nevis possit intrare et pasturare sine pena; in plagiis vero dicte silve, tempore tempestatis mange et grandini set alterius fortis temporis et periculosi, possint accedere et stare sine pena, dummodo non ascendant neque pasturent supra ad Planum’.
160 Lanconelli 1994: p. 133, n. 45. 161 Ibidem: p. 134.
abitanti si riversarono in massa nella silva con il loro bestiame per prenderne possesso163. Il bosco,
situato sul monte Furnulo, doveva essere raggiunto dagli abitanti con spostamenti giornalieri continui del bestiame stesso o dei pastori. Questi ed altri conflitti in relazione all’utilizzo dei boschi communis menzionano insieme all’usus pascuorum e al diritto di pascere animalia, quello strettamente connesso di caedere ligna. Di questi particolari si dovrà tenere conto, poiché il pascolo in bosco o il pascolo ‘alberato’ (wooded meadow systems) connesso alla ceduazione per ricavarne carbone combustibile e materiale da costruzione - assimilabile per certi aspetti al sistema del saltus - sono totalmente differenti da un sistema economico basato sul foraggio da foglia prodotto da alberi scapitozzati e scalvati164.