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Il monastero di S Pietro in Monteverdi come promotore di una gestione silvo pastorale integrata?

III. Il paesaggio vegetale nella Toscana meridionale Un tentativo di ricostruzione di lunga durata.

1 Lago dell’Accesa 2 Lago di Ganna 3 Brianza 4 Lago Nero, Lago delle Lame, Agoraie, Prato

3.1.3. Campiglia Marittima 475

3.1.3.1. Il monastero di S Pietro in Monteverdi come promotore di una gestione silvo pastorale integrata?

Una delle possibili affiliazioni territoriali del villaggio di Campiglia Marittima, potrebbe essere identificata con quella del monastero di S. Pietro in Monteverdi498. Nel medioevo questa zona della

498 Ibidem: p. 763-4; per la fondazione e le notizie storico-archeologiche sulla fondazione del cenobio benedettino di S.

Pietro in Monteverdi si veda Scalfati 2000; Giuliani 2000 per la documentazione d’archivio; Belcari et alii 2003 per le fasi architettoniche del monastero; per l’identificazione del monastero, i dati archeologici e la ricognizione, Bianchi, Francovich 2006; Bianchi 2009. Il monastero è stato identificato su base archeologica nell’attuale podere S. Valentino presso località Badiavecchia (Monteveri Marittimo, Pisa). Le ragioni dell’identificazione si fondano sul ritrovamento di ceramica alto mediale e su considerazione toponomastiche, oltre che sulla possibile presenza di una fonte perenne menzionata vicino al monastero nella Vita Walfredi (Kurze, Zettler 1991). La menzione nella Vita di un Fons Sanctus presso cui venne fondato il monastero ex novo attorno alla metà dell’VIII secolo, rientra nel più ampio contesto delle fondazioni di grandi monasteri nelle vicinanze di sorgenti connessi con i culti delle acque che affondano nell’antichità

maremma settentrionale, faceva capo al territorio civile e religioso della diocesi di Populonia499. Il

processo di decadenza urbana e politica si concretizzò definitivamente nell’809 dopo la presa della città da parte dei pirati mori. Il vescovo fu costretto a ritirarsi prima a Cornino, nella bassa val di Cornia e poi definitivamente a Massa Marittima500, lasciando il comprensorio privo di un’entità

urbana che potesse costituirne il centro di aggregazione politica ed aperto sin dall’età longobarda all’influenza delle città più intraprendenti. Nell’VIII secolo si venne a formare dunque un’enclave civile facente capo a Lucca, che comprendeva Monteverdi, S. Regolo in Gualdo, Massa Marittima, Paganico e Paterno presso Monterotondo501, con la presenza della Chiesa lucchese in prima persona

e di numerose importanti famiglie aristocratiche, tra cui spiccano i conti Aldobrandeschi e Gherardeschi, promotori della nascita di curtes e incastellamenti ed esponenti di spicco di famiglie pisane come Walfredo, fondatore di Monteverdi502. I confini territoriali di questo convento

benedettino fondato nel 752/3, non sono del tutto chiari, così come non è del tutto definibile la reale importanza di questa struttura monastica, posta in una posizione strategita per lo sfruttamento delle risorse metallurgiche503, che intrattenne rapporti con importanti istituti ecclesiastici come il

monastero di Richenau sul lago di Costanza e quello di San Vincenzo a Volturno504. Nell’XI secolo

il monastero controllava il castello di Campetroso, la chiesa di S. Angelo e il monastero di S. Colombano tra Castegnato e Donoratico, anche quest’ultimo nella sua orbita d’influenza505. Al

monastero di Monteverdi e alla famiglia degli Aldobrandeschi appartennero tutta una serie di curtes che cingevano come una corano la parte sud-occidentale del territorio tra i fiumi Cornia e Pecora: Castagneto a nord , la curtis di Casalippi citata nel’882, quella di Montioni menzionata nel 771, S. Vito in Cornino (770), Casale Longo (867), S. Regolo in Gualdo e la curtis regia di Valle nell’estremo sud (937)506.

Il monastero di Monteverdi promosse

l’incastellamento di Campetroso, Castegneto e

(ad esempio S. Antimo, Bonucci 1991 e S. Salvatore al Monte Amiata, Cambi, Dallai 2000: p. 202). Nell’utlimo quarto del XII secolo il monastero venne rifondato e subì una traslazione su una collina più elevata (attuale Poggio della Badia), su cui insistono tuttora resti monumentali di una chiesa romanica e strutture conventuali, Belcari et alii 2003: p. 93.

499 Ceccarelli Lemut 2004: p. 1.

500 Sui confini della diocesi di Populonia-Massa e la possibile corrispondenza con quelli etrusco-romani si veda Cambi

2006.

501 Ceccarelli Lemut 1985: pp. 20-1.

502 Nei secoli centrali del medioevo l’influenza di Pisa e della Chiesa pisana divenne dominante, Ceccarelli Lemut 1993,

1995 ora in Idem 2005. Mentre per gli Aldobrandeschi siamo ben informati circa la loro presenza in questo ambito cronologico, per i conti della Gherardesca (le cui origini sono nebulose), sembrano muovere i primi significativi atti politici e acquisizioni nella metà del X secolo a Volterra. San Pietro a Palazzuolo presso Monteverdi, nel lembo meridionale della Tuscia, nacque in verità per l’iniziativa in questo caso di un collettivo di fondatori, comprendente, oltre al vescovo Forte (originario dalla Corsica o titolare di una diocesi dell’isola), lo stesso Valfredo e il cognato Gundualdo.

503 Bianchi 2004b: p. 763.

504 All’inizio del IX secolo il monastero contava tra i 140 e i 160 monaci, Belcari et alii 2003. Sui rapporti con questi

importanti monasteri Ludwig 1991; Mierau 1991 p. 46; Siede 1997: pp. 497-500; Violante 1991: p. XVI.

505 Ceccarelli Lemut 2004.

Donoratico, del quale possedeva ancora una quota nella seconda metà del XII secolo507. Della fascia

costiera su cui insiste Campiglia, non abbiamo menzione nei documenti e possiamo dunque solo fare supposizioni508. Secondo l’ipotesi di Ceccareli Lemut, la chiesa di S. Maria in Cornino, menzionata

in un documento del 769, sarebbe da identificare con l’edificio ubicato in località Cafaggio, sulle pendici meridionali del colle di Campiglia ed appartenente alla diocesi di Populonia-Massa. Tutto farebbe dunque pensare a questo tratto di territorio, come ad un confine e ad una zona di tangenza slla quale confluivano interessi e pressioni da parte di diverse entità civili e religiose509. L’azienda

curtense di S. Vito in Cornino, attestata sin dall’829, apparteneva nell’XI al vescovado di Lucca. Con il toponimo Cornino si intendeva una vasta area che da Suvereto giungeva fino al mare e che includeva Casalappi, Vignale, Casalongo e Valle, tutte per un certo periodo sottratte all’influenza della diocesi di Populonia-Massa, nel suo periodo di massima debolezza510. In questo quadro è

possibile che il monastero di S. Pietro in Monteverdi, controllasse direttamente o tramite terzi, i pascoli situati nella media e bassa Val di Cornia, visto che fino almeno ai primi decenni del IX secolo incrementò il proprio patrimonio fondiario soprattutto verso il volterrano, ma anche verso la costa511. Inoltre in questo periodo, benché non si abbiano indicazioni risolutive in merito, è

presumibile pensare che il monastero fosse sotto la diretta influenza dei vertici della Chiesa di Roma e del Regno d’Italia. Gherchow ipotizzò una rete di rapporti diretti e dipendenza dal Papato sin dal momento della fondazione del monastero, esplicitamente attestati per l’XI secolo512, mentre

Schneider retrodatò ai primi decenni di vita del monastero quelli intessuti con la Corona d’Italia ed attestati con sicurezza al 1040513.

Calato all’interno del nostro discorso, questo quadro, seppur nebuloso, acquista una rilevanza non marginale, dato che proprio per questa zona abbiamo una delle testimonianze più antiche della pratica della transumanza. Il patrimonio fondiario donato da Walfredo sembra fosse caratterizzato dalla presenza di pascoli ed incolti e dalla pastorizia: tra i beni confluiti nel patrimonio del monastero nel 754 vi sarebbero pecunias donnicatas, cum pastores qui eas depascuns in casale Palatiolo514 e al

507 Ceccarelli Lemut 2004: p. 43. Per Donoratico le indagini archeologiche hanno messo in luce un abitato antecedente al

X secolo e che subì intorno all’XI un riassetto con la costruzione di una cinta muraria sulla parte sommitale e di una chiesa monoabsidata, Bianchi 2008, 2009.

508 Solo ai primi decenni del XII secolo cominciamo ad avere notizie certe sul promontorio di Piombino ed il golfo di

Baratti, quando prorpio quest’ultimo toponimo viene menzionato per la prima volta (Porto Barattori infra ipsum

castellum) insieme ad un sito fortificato di cui al 1149 risulta proprietario il vescovo di Massa Marittima, Ceccarelli

Lemut 2004: p. 8 n. 43.

509 La costruzione di un nuovo edificio religioso nel XII secolo posto più vicino alla rocca di Campiglia con dedica a S.

Giovanni, contemporanea alla costruzione del secondo edificio sulla parte sommitale, sancirebbe la presenza del potere oramai consolidato di Pisa, Ceccarelli Lemut 2004: p. 17; Bianchi 2004b: pp. 772-3.

510 Ceccarelli Lemut 1985: pp. 22-3. A S. Bartolemeo di Sestinga sotto la diocesi di Roselle, presso Vetulonia, è legata la

prima attestazione del castello di Casalappi (metà XI secolo), Ibidem: 34-40. Gli stessi Aldobrandeschi, che furono sicuramente i promotori dell’incastellamento di Suvereto, non è detto che con il favore della Chiesa lucchese non arrivassero a detenere tra IX e X secolo i poteri comitali del comitatus di Populonia, Sovana e Roselle.

511 Giuliani 2000: p. 19. 512 Gerchow 1991: pp. 203-4.

513 Schneider 1975: pp. 331-3. Sulla diffusione del patrimonio regio a sud di Monteverdi si veda anche Farinelli 1997: pp.

27-8 n. 16.

514 ASS, Diplomatico città di Massa; Molitor 1991: p. 156. Il luogo di ubicazione del monastero è indicato sia come

momento della sua morte si sarebbe udita tra i monaci e tra i pastori una musica celestiale (a

pastoribus ipsius monasterii animantia foris pascentibus)515. A questo si deve aggiungere la notizia

della cartula dotis del 754 dove si fa riferimento a forme di transumanza dalla Garfagnana alla Val di Cornia516. Il testo ci è giunto in due versioni indipendenti, entrambi copie dell’originale, considerate

comunque non successive all’XI secolo517: una più breve in cui non si menziona il movimento

stagionale dall’Appennino settentrionale alla Val di Cornia518 ed un’altra contrassegnata da un testo

più lungo, dov’è riportata la notizia, generalmente considerata dagli studiosi una copia interpolata successiva519. La prima formulazione di una tale ipotesi fu avanzata dallo Schiaparelli al momento

dell’edizione dei due testi (chiamati da lui B e C)520. In effetti il testo C, si discosta dalla versione più

breve B, per numerose varianti, aggiunte, vere e proprie interpolazioni ed omissioni di passi, che non sarebbe spiegabile con una semplice trascuratezza nello scrivere ma piuttosto con una scelta intenzionale. Lo Schiaparelli escludeva la dipendenza di C da B (copia della copia) ed ammetteva la dipendenza di entrambi i testi da un trasunto autenticato dal medesimo notai ‘Illo’, autenticati dalla stessa mano che trascrisse il testo B, suggerendo (senza mai però esplicitarlo) la maggiore aderenza del testo B all’originale e non una qualche posteriorità. Successivamente il Molitor recepì queste osservazioni articolandone le implicazioni521, ma furono proprio coloro che si occuparono

direttamente della nascita della transumanza e della sua continuità/discontinuità rispetto all’antichità, che si spinsero a ritenere il testo interpolato come successivo522. Recentemente è stata avanzata Monte Virde (Schneider 1975, n. 2). La menzione di greggi padronali compare in tutte e due le copie della cartula

pervenuteci. Le greggi dovevano appartenere alla pars dominica di una curtis facente capo a Monteverdi. Il toponimo palatiolo si riferisce probabilmente ad un precedente insediamento romano (una villa) su cui fù fondato il monastero, Violante 1995: p. 806.

515 Mierau 1991: p. 52; Violante 1991: p. XIV ; Belcari et alii 2003 : p.103 n. 50. Siamo inoltre a conoscenza di una

vendita di terre in Val di Cornia effettuata da Walfonso di Prandulo di Carfaniana al vescovo nel 796 (da Wickham 1997: p. 34). È stato fatto notare dal Wickham che ‘una tale estensione di beni fondiari è decisamente inusuale tra i proprietari laici, e lo è ancor di più in Garfagnana’, senza comunque trarne le dovute conseguenze (‘Questi riferimenti isolati non sono tuttavia sufficienti a comprovare l’esistenza (o la continuità dall’età romana) della transumanza quale sistema economico’).

516 Schiaparelli 1929-1933: 116, p. 351; Violante 1991: p. XIV, 1995, 2000, Wickham 1982: pp. 50-8; 1985: p. 432 n. 31

(‘The only long-distance transhumance reference known to me elsewhere in the period is for the north Tuscan coast’), 1997: pp. 34-5. Wickham 1997: p. 34. Il Wickham sostiene che nel testo ‘Non si menzionano pecore, classico oggetto di transumanza, ma è evidente che esistesse un’infrastruttura sulla lunga distanza’. In effetti nel passo in questione, riferito a un qualche tipo di pratica transumante invernale, non si parla di pecore, classico oggetto della transumanza, ma di

caballos, boves et vaccas (Schiapparelli 1929: 116, p. 351 rr. 7-8). Altrove però nello stesso testo, vengono anche

menzionate gregis et vaccas et porcos cum pastores qui eas depascunt (Schiapparelli 1929: 116, 345 rr. 24-5; Molitor 1991: p. 157).

517 Tale termine è fissato sulle pergamene stesse. 518 ASS, Diplomatico città di Massa, 754 Luglio.

519 ASS, Diplomatico Riformagioni (Massa), 754 Luglio. Per l’edizione sinottica ed un commento alle due versioni si

veda Schiaparelli 1929: 116, pp. 337-52.

520 Ibidem: p. 337-9.

521 Molitor 1991: p. 147-51, 163, ha supposto che B e C siano la copia di due dei tre originali redatti, uno per la Chiesa

pisana, uno per il monastero di S. Salvatore ed il terzo per quello di Monteverdi e che C derivi dalla copia di S. Salvatore. Nel passaggio alle righe 6-15 (Schiapparelli 1929: p. 351: Molitor 1991: p. 163, rr. 12-16) il testo C citerebbe il suddetto monastero.

522 Tra loro Violante, Wickham e Toubert che segnalava la possibilità di un’interpolazione anche per il primo testo.

Molitor 1991 e Violante 2000 in particolare hanno ventilato l’ipotesi che il documento col passo riferito alla transumanza, sia una copia interpolata di uno degli originali della cartula dotis conservato nel monastero femminile di S. Salvatore in Versilia. In un passo dell’atto si fa menzione di una copia che dovrà essere conservata nel monasterio domini

l’ipotesi che sia il testo C di Schiaparelli (il più lungo) ad essere la copia in vero più fedele all’originale, mentre l’altro, che il notaio Illo fideliter exemplavit, lettiris plus minus, come un’esercizio di stile, più vicino alle regole del latino classico e più sintetico523. Entrambe le copie

confluirono nell’archivio di Massa Marittima provenienti da Monteverdi, ed entrambi dovettero derivare da un medesimo atto altomedievale, e vergati dal notaio Illo che si sottoscrisse notarius

donni inpertatoris, una formula poco nota prima del X secolo524. Da questo dobbiamo ritenere che la

menzione di una transumanza, sia stata già presente nel documento originario di fondazione e che l’espressione hivierni tempora si riferisca proprio alla pratica di svernare nei pascoli della media e bassa Val di Cornia, dove il Monastero di Monteverdi esercitava un qualche tipo di controllo e possedeva delle proprietà. Da qui acquista nuovo valore l’insieme dei dati ricavati da Campiglia, possibile avanposto di controllo sulle vie della transumanza. Inoltre va rivalutato il ruolo della transumanza in un fenomeno apparentemente distante come l’incastello. La capillarità e la lunga durata di questa pratica, potrebbe essere stata all’origine del villaggio di ‘porcari’ del IX secolo individuato sulla sommità del pianoro di Campiglia, con conseguenze di lunga durata imprevedibili. Tra le altre notizie che ci testimoniano l’attivazione di percorsi a lungo raggio tra l’Appennino settrentionale e le maremme sono anche oltre alla già ricordata vendita di terre in Val di Cornia effettuata da Walfonso di Prandulo di Carfaniana al vescovo di Lucca nel 796525, anche la presenza

nella bassa valle del fiume Pecora di proprietà del monastero di S. Michele Arcangelo della Verruca sul Monte Grande tra Lucca e Pisa526, più precisamente di una curtis del vescovado lucchese dal

toponimo significativo di Pastorale, attestato almeno dall’VIII secolo, dove si trovava un mulino, posto al Teupascio in loco qui dicitur Pastorale527. Questi due luoghi, pur non identificabili con

certezza, si trovavano sicuramente vicino a Valle, la già menzionata curtis regia della metà del X secolo. Qui si doveva trovare una vasta area fiscaledi pertinenza imperiale (il waldus regis), in cui

identificare con S.Salvatore a Sesto dove nel 773 era abate un certo Godistheus. Inoltre l’interpolazione avrebbe dovuto avvenire prima del 1014, quando S. Salvatore non è più un monastero, ma una semplice chiesa, appartenente al patrimonio di Monteverdi (su tutta la questione si veda Hasdenteufel, Röding 1991).

523 Belcari et alii 2003: p. 103, con n. 53 per le differenze più significative (sostanziali ai fini della donazione) tra i due

testi.

524 Ibidem: p. 104. 525 Wickham 1997: p. 34.

526 Per lo scavo del monastero si veda Gelichi, Alberti 2003. Il 16 Marzo 1135 proprio nei pressi di Pastorale (in fluvio

Sala propre Teupascio) verteva una transazione tra l’abate di S. Michele e tre personaggi pisani (lisini 1908: p. 86;

Ceccarelli Lemut 2004: p. 36.). sul monastero e le sua storia fondiaria si veda Lisini 1908: p. 86; Targioni Tozzetti 1768- 1779, I: pp. 375-6; Repetti 1833-1846 I: p. 201, V, p. 701; Garzella 1994: pp. 248-9; Andreazzolli 1998-1999.

527 ASS, Diplomatico città di Massa. Nell’867 Ademari del fu Erideprando degli Aldobrandeschi, ricevette in livello il

molino dal vescovo di Lucca. Cucini 1989 per la ricognizione in località Aione (bassa val di Pecora) e la pubblicazione del materiale altomedievale nell’areale in cui dovettero insistere sia Teupascio che Pastorale. L’insediamento che scaturisce dalla ricognizione del podere Aione, occupato per tutto il IX secolo, sembra appartenere ad una tipologia rurale, con elementi fittili di reimpiego ed elevato in materiale deperibile. L’affioramento di scorie di lavorazione del ferro e di numerosi frammenti di minerale grezzo (ematite dell’Elba), ha fatta pensare ad un’attestazione di continuità produttiva metallurgica in epoca altomedievale dopo il collasso del sistema romano di comemercio e produzione trans marini (Cucini 1989: p. 511). Lo scavo del castello di Montarrenti, ha messo in evidenza i resti della riduzione del minerale di ferro appartenente alla fase altomedievale del villaggio di capanne, Francovich et alii 1989, 1990; francovich, Milanese 1990; Cantini 2003.

ancora nel 780 era presente un maior selvani528. All’interno del Waldus era l’importante monastero

di S. Regolo, vero e proprio indicatore della presenza longobarda lucchese529. All’interno di questa

area boschiva fiscale era anche il Balneum Regis, e la menzione di finibus balneo regis è la chiara attestazione di un distretto fiscale. Sul lato sinistro del Cornia, fiscale doveva essere stato almeno all’inizio anche il Teupascio, (un corso d’acqua di pertinenza regia?)530, dove erano dei mulini,

alcuni dei quali pubblici531. L’enclave lucchese in questo territorio è stata interpretata dai più come la

prova di una continuità estrattiva, in un quadro certamente mutato, in uno dei distretti minerari più imprtanti della penisola sin dal periodo etrusco, mantenuta proprio attraverso l’estensione o il rafforzamento dei possedimenti di pertinenza pubblica532. Se non è da esludere con ragionevole margine di sicurezza la persistenza della pratica estrattiva in diverse aree del continente europeo e della penisola italiana, tuttavia essa non avrebbe potuto raggiungere le quantità attribuibili all’epoca romana (almeno fino al III secolo d.C.), che giustificassero il mantenimento di antichi saltus esclusivamente a questo scopo. Emergono per la Tuscia alcuni chiari segni di un’attività metallurgica/siderurgica, per lo più a carattere locale, e che non mostrano segni di standardizzazione e diffusione, tipici di centri specializzati e in grado di volumi non trascurabili di produzione. Le attestazioni riguardano scarti di piccoli artigiani, come quelli dell’officina di un fabbro dedito alla produzione di oggetti in bronzo fra VI e VII secolo533 o come il fabbro attivo a Roselle negli strati di

abbandono di una domus romana, specializzato nel tagliare e rifondere frammenti di statue antiche534, e soprattutto i corredi destinati alla nuova committenza longobarda o longobardizzata535.

A questo si aggiunge la mancanza di tutta una serie di attività (cantieristica navale, edilizia, riduzione di minerale ferroso etc.) che giustificherebbe la gestione di un patrimonio pubblico legato allo sfruttamento boschivo intensivo. Tuttavia se vista in una prospettiva integrata di sfruttamento delle

528 Memorie e Documenti V/2, 180; Prisco 1994: p. 354.

529 Su questo notizie si veda in dettaglio Prisco 1994: pp. 351-89.

530 Così intende Citter 1998: p. 187. Tuttavia non vi sono prove per identificare Teupascio con il fiume Pecora (Ceccarelli

Lemut 1985: p. 30 n. 24). Cucini 1989: p. 501 nota che il toponimo Teupascio nei documenti lucchesi, indica sia una località (in loco ubi dicitur Teupascio, Memorie e Documenti V/2 n. 793, pp. 195-6) che un fiume (Memorie e

Documenti, V/2 n. 755, pp.522-3). Io propenderei più per una località, visto la peculiarità del toponimo.

531 Memorie e Documenti V/2 804: p. 488. E più tardi nel 1135 dove esplicitamente si dice mulinum positum al teupascio

in loco ubi dicitur pastorale et a le mulina reggi (ASS, Città di Massa, 1135, Marzo 16 - citato in Prisco 1994: p. 368. La

presenza di demani pubblici nel distretto minerario massetano e campigliese, è stato visto come un segno forte di continuità produttiva. Ad esempio il controllo dell’acqua o comunque dei mulini sarebbe essenziale al ciclo produttivo metallurgico, ma anche per la pratica allevatizia. Questa zona, è bene ricordarlo, rappresentava un avamposto strategico di confine posto sui finis Maritimenses (Memorie e Documenti V/2 n. 804, p. 488; Ceccarelli Lemut 1985: p. 21 n. 12, p. 29, n. 23).

532 Citter 1995, 1998. A questa conclusione il Citter arriva stabilendo alcune corrispondenze: in primo luogo la continuità

topografica tra i giacimenti e le zone annesse nella iudiciaria lucense, così come la sovrapponibilità (non sempre verificata) fra siti citati dalle fonti e giacimenti minerari; in secondo luogo la discontinuità territoriale (‘non si capisce perché i Longobardi lucchesi avrebbero incluso direttamente nel loro territorio, cioè appunto nella iudiciaria lucense, una vasta area priva di contatto con il distretto di Lucca’, Ibiedem 1998: p. 186) e la reticenza delle fonti circa le proprietà delle miniere in epoca altomedievale, indizio della presenza continua del potere ‘pubblico’ (‘non si sentì l’esigenza di ribadirlo fintanto che nuovi forti poteri non minarono questo antico diritto’, p. 187).

533 Ciampoltrini, Notini 1990: p. 585. Il sito è ubicato fuori la cinta romana, presso piazza S. Frediano, vicino al parlascio

(l’anfiteatro) e ha restituito evidenti scarti di lavorazione in bronzo (placchette, aghi crinali e grumi informi), accanto a rosticci di ferro.

534 Michelucci 1985: pp. 33-6.

535 Sulle alcune attestazioni di corredi in Toscana si veda Ciampoltrini 1983, 1984, 1986, 1988, 1989, 1992, 1993; Citter

risorse, è probabile che l’attività metallurgica, la produzione di carbone di legna e legname per uso quotidiano insieme all’allevamento, abbia continuato ad essere un sistema praticato anche per l’età longobarda, con una distribuzione diversa del peso di ciascuna attività rispetto al periodo etrusco- romano. Le attività metallurgiche sviluppatesi lungo la costa tirrenica, con centro produttivo principalmente Populonia e il suo comprensorio, per il trattamento del minerale ferroso elbano in