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Abbiamo già avuto modo di esprimere alcuni dubbi sull’affidabilità dei campioni pollinici, strumenti vitali per uno studio serio sull’evoluzione della vegetazione, ma se tenute nella giusta considerazione interferenze di vario tipo. I campioni di polline rivelano dei cambiamenti significativi nella vegetazione in tutto il mediterraneo durante l’Olocene, pur tuttavia questi dati non risultano dirimenti circa l’azione determinante, volontaria o meno dell’uomo. José S. Carrión ha messo in guardia sul

167 Teofr. 5.9.

168 Fatto salvo per il cipresso, l’attenzione verso il quale è sicuramente dovuta all’alto fusto, ideale per le navi

(Teof.2.7.1). Teofrasto sembra conoscere la tecnica della ceduazione, se intendiamo bene il termine kolobon (5.9.2).

169 Cato. De Agri. 9 ; 28 (Oleas, ulmos, ficos, poma, vites, pinos, cupressos cum seres, bene cum radicibus eximito cum

terra sua quam plurima circumligatoque, uti ferre possis; in alveo aut in corbula ferri iubeto); 45; 151 (sul cipresso).

Meigss 1982 : pp. 262-3. Ancora Cato. De Agr. 7, Fundum suburbanum arbustum maxime convenit habere; et ligna et

virgae venire possunt, et domino erito qui utatur.

170 Williams 2003: p. 97 ritiene che gli antichi si interessassero solo a piantare gli ulivi. Meiggs 1982: p. 270 ci ricorda

che non vi sono prove reali che nell’antichità si gestisse in maniera ragionata i boschi con lo scopo di commerciare il legname. Giardina 1981: pp. 102-3 sul valore delle terre boscate e non.

171 Varro. 1.15, Serunt alii circum pinos, ut habet uxor in Sabinis, alii cupressos, ut ego habui in Vesuvio, alii ulmos, ut

multi habent in Crustumino: ubi id pote, ut ibi, quod est campus, nulla potior serenda, quod maxime fructuosa, quod et sustinet saepe ac cogit aliquot corbulas uvarum et frondem iucundissimam ministrat ovibus ac bubus ac virgas praebet saepibus et foco ac furno. Varrone non prende in considerazione l’abete bianco poiché la proprietà ideale è situata

sensibilmente più in basso delle zone di crescita dell’abete. Il passo in ogni caso indica una certa familiarità con la coltivazione di essenze.

fatto che i campioni di polline per l’Olocene siano suscettibili di differenti interpretazioni172. Una

breve rassegna dei campioni disponibili per il mediterraneo, possiamo stabilire alcuni punti fermi: 1. Dappertutto la propagazione dell’agricoltura sembra aver ridotto di molto la copertura

boschiva tra Bronzo ed età arcaica. Questa tendenza sembra accentuarsi durante il periodo romano ;

2. L’impero romano ha conosciuto l’esaurimento di talune risorse boschive dovuto ad uno sfruttamento intensivo, ma anche la gestione controllata di questa risorsa naturale;

3. Il tardo antico sembra aver conosciuto una degradazione dovuta ad una bassa qualità della gestione;

4. Interessante è notare che l’ubicazione strategica di un insediamento, in prossimità di corsi d’acqua, di opportunità alimentari e vie di comunicazione principali, ha significato occasioni di successo economico ma anche problemi ecologici e di gestione delle risorse.

5. Tra VI e VII secolo d.C. il fenomeno del disboscamento sembra essere continuato pur con la concomitante diminuzione della pressione economica sulle risorse, in conseguenza di una cattiva gestione173.

Là dove la presenza dell’uomo fu continua, si espresse anche in forma di crisi ecologica. L’aumento dell’erosione, soprattutto in epoca greco-romana ci fu sicuramente, ma non sempre fu la diretta conseguenza del disboscamento174. Plinio ci ricorda che là dove erano state prelevate grosse quantità

di legname, si formavano frequentemente fenomeni torrentizi di dilavamento175. Il paesaggio carsico

che caratterizza la maggior parte dei paesi mediterranei, è in parte conseguenza di lunghi e profondi fenomeni di erosione176. Ma la presenza di questi paesaggi fortemente erosi non coincide sempre con

l’assenza di manto boschivo. Per avere un’idea della relazione che intercorre tra erosione e copertura

172 Carrión et alii 2001: p. 783: ‘the overall Holocene pollen record is puzzling and susceptible to many different

interpretations’. I campioni di polline prelevati a Cañada de la Cruz, nella Sierra de Segura (Pontones, Jaén), rivelato un susseguirsi di avanzamenti e regressioni nella vegetazione boschiva (avanzamenti dopo c. 7770, 2630 e790 B, regressioni dopo c. 3370 e 1500 BP dopo la quale il paesaggio è rimasto steppico). Nonostante ‘The pollen record and current ecological studies on high-elevation vegetation of Mediterranean Spain suggest that control of vegetation is primarily climatic although grazing pressure’ e ‘Although we cannot test the hypothesis that pastoral activities provoked forest depletion’ gli autori ammettono che ‘ it is difficult to conceive that any Holocene vegetation remained outside the influence of human activity, at least after neolithization at c. 5500 years BP’, p. 795.

173 Harris 2011: p. 140

174 Butzer 2005: p. 179; Judson 1969 nella sua analisi circa l’erosione nella zona di Roma era stato meno cauto. 175 Plin. Nat. Hist.

176 Gunn 2004 per una mappa della dislocazione dei paesaggi carsici nel mediterraneo. Nell’Appennino centrale ad

esempio l’aumento di questo paesaggio carsico è con ogni probabilità legato ad una riduzione della vegetazione d’alto fusto (p. 325).

boschiva, archeologicamente parlando, l’accumulo di deposito riscontrabile nello studio geopedologico177. Il paesaggio carsico orvietano attuale, non subì probabilmente durante l’antichità

fenomeni di erosione significativi. Ne è una prova il fatto che questo territorio fu attraversato da uno degli assi viari più importanti dell’impero, la via Traiana, restaurata ed ancora in funzione sotto l’imperatore Giuliano178, cosa che sarebbe risultata impossibile con i livelli di erosione attuale. Se

l’erosione decisiva sopravvenne nel medioevo o durante la costruzione della linea ferroviaria Firenze-Roma è difficile da stabilire. Certo è che alcune erosioni che si riscontrano nel paesaggio attuale sono di natura recente179. L’esigenza è dunque di datare con una certa precisione i fenomeni

erosivi e le trasformazioni del paesaggio, individuando degli indicatori materiali affidabili (indiretti) per individuare questi stessi cambiamenti. Neil Roberts studiando i fenomeni erosivi della Turchia sud-occidentale di chiara natura antropica, ha stabilito una serie di procedure metodologiche per pervenire ad una corretta interpretazione di questi fenomeni. Il ruolo della sedimentazione è decisivo. Per stabilire se un’erosione sia avvenuta in maniera consistente e repentina a causa dell’azione dell’uomo, l’accumulo dei depositi alluvionali e dei sedimenti nei delta dei fiumi, è un indicatore estremamente affidabile180. Alcuni fiumi del sud-ovest della Turchia, come il Küçük e il Büyük

Menderes (Menandro), hanno espanso i loro rispettivi delta durante il periodo classico, diminuendo la velocità di avanzamento e la quantità di sedimenti nel corso del medioevo e del periodo ottomano. L’erosione dei versanti delle montagne da cui questi fiumi provengono, dev’essere iniziata al più tardi verso il X secolo a.C. (Beysehir Occupation Phase)181. Una volta eroso, il suolo, non diventa in

maniera permanente terreno brullo e pascolativo, ma mantiene una certa capacità di rigenerazione della vegetazione spontanea. Questa rigenerazione avviene secondo ritmi e modalità differenti a seconda delle qualità del suole e delle caratteristiche delle essenze presenti, ma anche dalla volontà della comunità che insiste un determinato territorio di accelerare, favorire o meno il rimboschimento di un terreno danneggiato da questo punto vista. Alcune essenze come l’abete e il pino, una volta abbattute non si rigenerano spontaneamente. Viceversa il pino nero, quello d’Aleppo e di Calabria, hanno buone capacità di riproduzione grazie alla dispersione del polline e possono colonizzare facilmente anche zone disboscate e suoli erosi182. In Corsica ad esempio, nelle sequenze polliniche

del Lago di Creno, è stato rilevato come contemporaneamente all’intensificarsi delle attività

177 Delano Smith 1996: pp. 159-61 che descrive le tre dinamiche coinvolte di questa relazione; anche Grove, Rackham

2001: Cap. 15, attribuiscono al livello d’erosione un ruolo indiziario circa la presenza o meno di copertura vegetale, nonostante la loro visione ottimistica circa la sua capacità di rigenerazione. Un tentativo di modellizzazione dei fenomeni di erosione nel mediterraneo è stato compiuto da De Vente et alii 2008 per la Spagna, considerando anche la potenzialità

storica d’erosione.

178 Harris 1965: pp. 121-4.

179 Come si evince dalle descrizioni di Douglas [1915] 1956: p. 227 per la Calabria. Sulla Calabria si veda Di Fazio et alii

2001, sulla recente evoluzione del rapporto tra Land Use/Land Cover, negli anni 1955-2006, con riflessioni aggiornate sui fenomeni di erosione del suolo provocati dal cambiamento d’uso e della copertura boschiva.

180 Roberts 1990: p. 63.

181 Ibidem. L’erosione del suolo dipende in massima parte dal tipo di terreno e dalla conformazione geologica dei

versanti, pur tuttavia incrociando i dati pollinici con il dato di accumulo dei sedimenti è possibile stabilire una correlazione tra l’inizio dell’attività antropica di utilizzo delle foreste sui versanti ed aumento dei sedimenti registrato nei delta dei fiumi.

antropiche (notably grazing) con conseguente erosione del suolo e problemi significativi di drenaggio, si sia verificata anche un’espansione del leccio (Q.ilex)183.

1. 11. Regime della terra, regime dei boschi.

Gli autori antichi (essenzialmente gli autori gromatici) associano sotto lo stesso regime giuridico e funzionale pascua e silvae184, attribuendo ad esse lo stesso regime. Di questa unità giuridica si deve

riflettere con attenzione e ragionare sul fatto se non sia anche un endiadi funzionale. Dal punto di vista del regime dell’uso del suolo l’ager compascuus si differenzia dai pascua presenti nell’ager

publicus. L’ager compascuus, di formazione probabilmente precedente all’istituzione romana185, era

un terreno pascolativo che in fase di assegnazione viritana e coloniaria, veniva assegnato a determinati fondi agricoli privati, pur mantenendo carattere pubblico. Vi è dunque un collegamento tra i fondi e questi pascoli di uso pubblico che non appartiene allo stesso regime. Terreni dunque asserviti all’utilizzo del fondo ma lasciati ad un regime pubblico. Evidentemente lo Stato temeva l’alienazione di questi fondi, necessari alla vita delle comunità limitrofe e di gruppi di proprietari che insistevano nelle vicinanze186. Su questi terreni si praticava probabilmente un allevamento su piccola

scala, limitato a pochi capi di bestiame, ma non per questo identificabile all’allevamento stanziale della piccola proprietà o di una comunità187. Ora ciò che ci interessa qui è l’origine preromana, forse

gentilizia di questi terreni e che, nel corso della loro evoluzione, furono inglobati usualmente nel patrimonio imperiale, andando spesso a coincidere188.

Per quanto riguarda la silva caedua189, essa è raccomandata come investimento a basso costo e

rendimento garantito190. La foresta è sicuramente sottoposta a un qualche regime di tassazione, ma in

maniera inferiore rispetto ai terreni agricoli; il proprietario può cedere in diritto ad altri l’usufrutto

183 Reille et alii 1999: p. 295,‘Q. ilex will maintain itself in those places where the soil has been deeply eroded’, a

differenza della quercia caducifoglie (deciduous Quercus) il cui sviluppo è strettamente legato al diminuire delle perturbazioni antropiche e dei fenomeni di erosione del suolo. Il Q. ilex è una specie relativamente termofila, adatta ai suoli sottili, resiste bene alle basse temperature. Il Q. caducifoglie si riferisce a tutte quelle specie a foglia caduca come il leccio (Q. cerris), la rovere (Q. petraea), la farnia (Q. robur) e la roverella (Q. pubescens). Per una analisi dettagliata dell’ecologia e della fitogeografia del Q. si veda Barbero et alii 1992 per il Mediterraneo.

184 Su questo punto la bibliografia è oramai sterminata. Si rimanda per questo punto specifico a Laffi 1998 e 1999: p.

111, n. 2 per la bibliografia sui regimi pascolativi.

185 Questa è l’opinione del Sereni 1956: pp. 443-5, che sembra però assimilare pascua e compascua.

186 Le fonti li definiscono generalmente vicini, Hygin. 83.12-18 (120. 12-18) non identificabili dunque con i vicani, gli

abitanti di un vicus.

187 Com’è noto l’allevamento transumante si praticava sui terreni definiti agri scipturari: Front. 8. 12-9. 2 (20.7, 21.6,).

Gabba, Pasquinucci 1979: p. 27. Per il Tibiletti 1948, 1949 l’ager compascuus sarebbe identificabile con l’ager publicus;

contra Capogrossi Colognesi 1981.

188 Cicerone attribuisce la publicatio delle silvae al tempo di Anco Marzio, Cic. rep. 2. 18: silvas maritimas omnis

publicavit quas ceperat; Cic. de vir. 5: silvas ad usum navium publicavit.

189 Gaius dig. 50.16, 30: silva caedua est, ut quidam putant, quae in hoc habetur, ut caederetur.

190 Varr. r.r. 1.7.10; Colum. 3.3. il bosco è definito da Plino come silva quaestuosissima in satus ratione, vulgoque dotem

filiae antiqui plantaria ea appellabant (Nat.Hist. 16.141). la selva è preferibile al vigneto come investimento (Cic. leg. agr. 2.48), poiché rappresenta un guadagno costante nel tempo, non suscettibile delle fluttuazioni stagionali e rappresenta

del bosco anche per farne carbone191. Le foreste da cui proveniva il legname per le navi di Scipione,

dovevano essere pubbliche192, gestite in maniera comunitaria193 o sfruttate secondo un regime

pubblico intra-comunitario194. Questo regime particolare permetteva ai boschi di essere utilizzati

anche dall’autorità centrale quando se ne fosse presentata la necessità195. Noto è il caso del legname

e delle foreste sfruttate per le terme cittadine196 e per la riparazione dei monumenti pubblici197. Il

sistema di appalto, gestione e tassazione delle rendite boschive, dapprima affidato a societates

publicanorum198, a cui progressivamente si sostituì l’amministrazione imperiale, tanto che l’ager

publicus non fu distinguibile dal patrimonium fisci199. Queste società di publicani interessate alla

gestione delle risorse boschive (socii picarii) sono attestate a Minturnae, in stretta collaborazione con i socii salinatores, testimonianza non solo della presenza nei dintorni della colonia di foreste e saline di proprietà pubblica, sfruttate da compagnie di pubblicani fra la fine del II e la metà del I secolo a.C., ma della gestione integrata delle due risorse200. Di estremo interesse sarà verificare fino a che

punto e in che forme questo statuto si sia mantenuto nelle epoche successive. Le foreste (e con ogni probabilità i terreni da pascolo) passarono attraverso modifiche di gestione ma non di funzione, dal patrimonio imperiale tardo antico alla domus regia gotica, al patrimonium per Italiam bizantino201 e

191 Labeo dig. 18.80.2: silva caedua in quinquennium venierat. Altre leggi relative alle silvae: Paul. dig. 7.1, 48, 1;

Pompon. dig. 7. 8, 22. In alcuni casi le silvae rappresentano un legato testamentario, ad esempio, Scaev. dig. 32. 93, 4, in cui un collegio di fabri è nominato erede dei boschi che caedere solent.

192 Liv. 28 45, 14-18.

193 Frontin. contr. 54, 17-19: sunt autem loca publica haec quae inscribuntur ut silvae et pascua publica Augustinorum;

haec videntur nominibus data: quae etiam vendere possunt.

194 Hygin. Grom. limit. 161 L.

195 In questo caso l’ager publicus veniva detto ager tutelatus (Hygin. Grom. limit. 161 L.).

196 Agenn. Urb. comm. de contr. 86 L.: sunt [loca publica] silvae de quibus lignorum copia in lavacra publica

ministranda caeduntur; Frontin. contr. 55, 4.

197 Hygin. Grom cond. agr. 114 L.; Agenn. Urb. comm. de contr. 86 L. Un esempio in cui, invece, lo Stato deve

rivolgersi a privati per il legno necessario alle riparazioni degli acquedotti si veda Front. acq. 125.

198 Siamo ben informati su questo da due passi di Cicerone. In uno si ricorda che l’attività di estrazione della pece nei

boschi della Sila era gestita da una società di pubblicani, che doveva essere simile a quella dei soci picarii testimoniati a Minturnae (Cic. Brut. 85). In un altro passo è stata considerata come una silva quella parte di ager publicus che Terenzia aveva preso in affitto e per il quale non voleva pagare il canone ai publicani (Cic. ad Att. 2. 15, 4).

199 Lo Cascio 1986: p. 38, 2000: p. 216. Sul passaggio dell’ager publicus nel patrimonio imperiale Gabba 1988a: p. 189;

Millar 1977: p. 621; Crawford 1980: p. 33; Lo Cascio 2000: p. 97. Boschi statali, in quanto beni demaniali, finirono per passare quasi interamente nel patrimonium Caesaris e nei saltus Caesaris. Questa progressiva identificazione è suggerita da una serie di fonti. Erodiano ricorda che Pertinace nel 193 d.C. non distingueva più tra i beni della corona e quelli attribuibili al popolo romano (Erod. II 4, 7.), lo stesso sappiamo da Tacito avveniva nei primi anni del regno di Nerone (Tac.ann. 13.4). Cassio Dione riferendosi all’età augustea e Seneca affermano che pur essendo formalmente separate non si può distinguere realmente tra la cassa privata dell’imperatore e quella dello stato romano (Dio. 53. 22, 3-4; Sen. ben. 7.6, 3: Caesar omnia habet, fiscus eius privata tantum ac sua; et universa in imperio eius sunt, in patrimonio propria.). Da Ulpiano sappiamo che questa distinzione era ormai decaduta da tempo (Ulp. dig. 43. 8, 2, 1-4; Lo Cascio 2000: p. 106). Plinio il giovane ribadisce come questa distinzione debba nella sostanza essere mantenuta (Plin. Pan. 27.3). Progressivamente l’imperatore passa dall’avere poteri gestionali sul patrimonio pubblico all’assimilare tale patrimonio ai propri beni personali, mentre le entrate fiscali assumono destinazione pubblica (Noé 1987: p. 28, 57). È opinione oramai piuttosto diffusa e certa che tale processo d’identificazione giuridica, formale e fiscale, si sia concluso a partire dell’età severiana per l’Italia (Vedi Rostovzev PW, c. 2394; Gabba 1988a: p. 201 n. 40) e dall’età Flavia per le province (Lo Cascio 2000: p. 114).

200 ILLRP 732, 733, 738, 746. Coarelli 1995: p. 209. Un capitolo del Codice Teodosiano prevede che coloro che hanno

in gestione le terme di Roma si accordino, per il trasporto della legna, con i barcaioli fluviali legati al commercio del sale (CTh. XIV 5, 1: De Mancipibus Thermarum Urbis et subvectione lignorum: Quidquid erga mancipes,qui thermarum

exhibitionem Roma curant, in exercitio conpendiisque salinarum scitis priorum principum cautum est, aeterna sanctione firmamus). Questa compresenza di foreste, pascoli e saline la constateremo più volte nel corso del nostro percorso.

al terreno fiscale dei ducati Longobardi202, fino a confluire nei possedimenti di abbazie e della

Chiesa, con forme di continuità che in alcuni casi eccezionali arrivano fino alle soglie dell’età contemporanea.

Tra i casi più eclatanti di questa continuità si può segnalare per l’Appennino tosco-romagnolo, quello della Massa Trabaria203. Questa zona montuosa posta nei pressi di un valico appenninico fu costituita

provincia ecclesiastica sotto papa Innocenzo III204. Il nome di Massa Trabaria deriva dal fatto che il

nucleo originario della provincia, considerato ab antiquo dalla Chiesa come territorio di sua diretta pertinenza senza rappresentare un’entità politica amministrativa definita, era ricco di boschi di altissimi abeti e di altri alberi atti a fornire legname da costruzione, necessario per l’edificazione e la manutenzione delle basiliche romane. F. Diosono ha proposto per l’origine della Massa Trabaria una derivazione non assimilabile ad una massa fundorum di proprietà ecclesiastica205, ma piuttosto

direttamente dall’ager publicus206, sulla scorta degli studi di E. Migliario sulla formazione

dell’esteso patrimonio fiscale longobardo e del passaggio di parti di esso nei possedimenti dell’Abbazia di Farfa207. I territori boscosi ed i pascoli, non adatti allo sfruttamento agricolo

restavano fuori dalla centuriazione pur restando di pertinenza delle colonie e dei municipi208. Di

queste terre incolte bisogna considerare che non tutte restavano fuori dalla centuriazione perché non adatte alla coltivazione cerealicola, ma perché intenzionalmente lasciate per l’utilizzo di legname e per farvi pascolare le greggi, in certe occasioni tutelate dall’azione frenetica dei dissodatori209. Il

primo riferimento ai Massani (gli abitanti della Massa) data invece al 1199 e si trova nel registro pontificio di Innocenzo III. A tal proposito sempre il Lanciarini segnala una notizia anteriore210 che

menziona i Massani. Nonostante la ‘veridicità dubbia’ della notizia, di estremo interesse è il contesto della medesima, che segnala scontri tra i conti di Carpegna ed i Massani per alcuni pascoli nel

202 Migliario 1995: p. 135.

203 Bocca Trabaria è il nome del valico che unisce la valle del Tevere ad un esteso territorio, gravitante su parte dei bacini

del Foglia e del Metauro, definito Massa Trabaria dalle fonti di XIII-XV secolo (Codignola 1940: p. 45; da ultimo Diosono 2008a: p. 268). La Massa era legata alla Santa Sede da un tributo che le è particolare e che ne caratterizza il rapporto di sudditanza: il servitium trabium o obsequium trabium (da qui il toponimo), che le deriva dalla sua natura di

demanium speciale del patrimonio della Chiesa, in forza della quale costituisce un territorio di notevole interesse

economico, strategico e politico. I Massani avevano l’obbligo di fornire e trasportare ogni anno una grande quantità di legname da costruzione in favore della Chiesa di Roma; i tronchi, raccolti e convogliato fino al passo appenninico di Bocca Trabaria, venivano poi fatti fluitare lungo il torrente Valdimonte fino a raggiungere il Tevere e Roma. L’organizzazione del taglio dei boschi faceva capo al monastero di Lamole, mentre un altro centro di raccolta degli abeti era l’ospizio di Capotrave, sotto Valsavignone, nell’alta Valtiberina.

204 Codig nola 1940: p. 47; Waley 1961, pp. 91-3. Della regolare costituzione della provincia ecclesiastica di Massa

Trabaria ci informa per la prima volta un diploma di Ottone IV, datato al 7 ottobre 1209 (Lanciarini 1890, pp. 130 che analizza le tre diverse copie del diploma).

205 Codignola 1939: p. 54.

206 Sulle massae fundorum vedi Vera 1993: p. 162-3; Capogrossi Colognesi 1995: p. 191; Vera 1999, p. 991. La maggior

parte dei dati sulle massae deriva dal Liber Pontificalis e dal Registrum di Gregorio Magno, fonti ambedue connesse con il patrimonio della chiesa romana, nelle quali la Massa Trabaria non viene mai citata, Diosono 2008a: p. 271. Vera ha ipotizzato che le massae dell’Italia centrale, che avevano rendite più basse rispetto a quelle siciliane, totalmente agricole, interessassero aree montane e collinari.

207 Migliario 1995: p. 137. 208 Frontin. contr. 20, 7 - 21, 6.

209 Migliario 1995: pp. 28, 37-38, 47-48, 134, per la parte relativa alle terre fiscali in zone montuose coperte di boschi, di

bassa densità demografica, il cui status si protrae almeno dall’età tardo-repubblicana fino oltre l’VIII secolo.