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Relitti di Quercus in Maremma e nascita dello sfruttamento intensivo di olivo Alcune riflessioni.

III. Il paesaggio vegetale nella Toscana meridionale Un tentativo di ricostruzione di lunga durata.

1 Lago dell’Accesa 2 Lago di Ganna 3 Brianza 4 Lago Nero, Lago delle Lame, Agoraie, Prato

3.1.10. Il fiume ed il lago Dati da un ambiente umido.

3.1.10.2. Relitti di Quercus in Maremma e nascita dello sfruttamento intensivo di olivo Alcune riflessioni.

Come abbiamo visto la deforestazione di Quercus, deve aver giocato un ruolo determinate nella successiva attivazione di pratiche agro-pastorali. È dunque essenziale riconoscerne e descriverne nel dettaglio le dinamiche, dove possibile. A tal proposito utilizzeremo alcuni dati provenienti da studi sull’associazione boschiva di alcuni relitti di quercete immediatamente prossime alla pianura alluvionale e poste lungo un corridoio di mobilità al centro di controverse vicende storiche, soprattutto in età medievale, al centro di interessi metallurgici, boschivi e pascolativi, con conflitti e contese tra comunità e il sempre più egemone ruolo esercitato dalla repubblica di Siena. Accanto a questo, analizzereme altresì la nascita dello sfruttamento intesivo di olivi, dando risposta al ruolo esercitato dagli spazi aperti ad olivo in chiave dello sfruttamento pastorale.

1. Basso Merse (40 ha circa); 2. Val di Farma (170 ha circa); 3. Monte Leoni (920 ha circa); 4. Monte d’Alma (870 ha circa).

In un areale piuttosto vasto, a nord della pianura grossetana e del vecchio padule di Castiglione, è stata individuata una delle zone più estese a Q. suber nel paesaggio sub-costiero tra Toscana e Lazio, con una presenza che supera il 70% della copertura684. L’importanza di questo paesaggio storico è

684 Selvi, Valleri 2012: p. 3063. Secondo l’Inventario Nazionale delle Foreste e dei Serbatoi Forestali di Carbonio, la

Toscana rappresenta la regione con la più estesa superfice di relitti di Q. suber d’Italia e l’areale da noi preso in considerazione, specialmente quello tra le Versegge e monte Lattaia, è una delle aree a più alta densità di idividui vetusti (Tabacchi et alii 2007). La fi totoponomastica e disciplina che puo fornire indicazioni preziose sulle fl uttuazioni dell’areale di distribuzione di specie legnose verifi catesi in epoca storica. L’affidabilità di tali indicazioni e verosimilmente proporzionata alla “utilità” di una determinata specie nell’economia agro-silvopastorale di epoca preindustriale. La fi ssazione del nome di specie in fi totoponimo e inoltre subordinata verosimilmente alla capacita degli individui o popolazioni di una specie, di identificate nel paesaggio agrario e naturale particolari siti. Per cui e in genere la rarita della specie stessa o al contrario la vastissima diffusione in formazioni non frammentate, a determinarne il successo onomastico o meno nel territorio considerato. L’areale di Quercus suber (sughera), per la natura stessa

della specie, ben si presta a una analisi comparata con i dati della ricchissima toponomastica ad essa inequivocabilmente riferita in territorio italiano. La specie e capace di dar vita nel sistema naturale a formazioni miste o in consociazione sia con sclerofi lle sempreverdi mediterranee (Quercus ilex), in relazione alle quali sembra condividere la maggior parte delle esigenze ambientali, che con legnose decidue di foreste submediterranee di affi nita balcano appenninica (Quercus

ben percepibile nello studio della fito-toponomastica, che ci indica per queste zone una particolare frequenza di nome facente riferimento ad un tipo di vegetazione a sughero o a cerro-sughero685.

Bisogna ricorda come una regola della fito-toponomastica sia quella dell’estrema rarefazione della specie al momento di fissazione del toponimo o comunque della presenza di un ambiente degradato

cerris, Q. petrea, Castanea sativa.), oltre a partecipare con individui isolati o piccoli nuclei, alla componente arborea

degli spazi aperti del paesaggio agrario e dei pascoli arborati di vaste plaghe peninsulari e insulari. Essa viene pertanto a collocarsi in modo emblematico, come specie utile alla economia tradizionale, in quella casistica che meglio ricalca il dualismo fra condizione di “rarita” e condizione di vasta formazione estesa su aree continue, cosi favorevole a una fi ssazione della sua presenza qual essa sia, nella toponomastica di un territorio. Quercus suber e specie a gravitazione eminentemente tirrenica in Italia. La sua dipendenza da un clima a termicita mediterranea, subordinato pero a discreta disponibilita idrica durante la stagione piu arida, le permette di penetrare nella foresta submediterranea decidua a Q.

cerris in zone retrocostiere, soprattutto qualora in contatto catenale con una vegetazione mediterranea sempreverde.

Puo esser considerata espressione di vegetazione zonale in Sardegna ma verosimilmente nel continente e quasi solo extrazonale. Lacunosa e rarefatta, la sua distribuzione lungo il versante adriatico suggerisce qui condizioni di regresso in atto da tempi lunghi sotto controllo climatico, aggravato da rarefazione antropogena piu intensa che altrove. Da vita a ibridi con cerro (Q.crenata Lam.= Q.adriatica Simonk), diffusi per piccole popolazioni o individui isolati che si spingono entro una fascia di territorio leggermente piu interna dell’Appennino. Q. crenata, entità morfologicamente eterogenea e spesso confusa nella nomenclatura popolare con la sughera vera e propria, sostituisce quest’ultima nei distretti nordadriatici e prealpini. Verosimilmente favorita competitivamente rispetto ad altre legnose della fascia climatica della foresta sempreverde, almeno dall’epoca delle culture umane postglaciali (galleggianti, ricoprimenti), non è utilizzabile come produttrice di sughero, prima del raggiungimento di dimensioni del fusto corrispondenti a 60 cm di circonferenza. Ciò contribuisce a rendere irrealistica l’ipotesi di impianti intenzionali ex novo, come prassi corrente in antico, che possano aver ampliato i confini esterni dell’areale ad oggi conosciuto ad aree di altra connotazione biogeografica. E’ estesamente registrata nella toponomastica peninsulare. I toponimi ad essa collegabili sono linguisticamente omogenei nelle varie parlate. Mancano indicazioni dall’area grecanica calabra e dalla Grecia salentina, ove Q. suber , sulla base di censimenti, sembra esser più comune di quanto creduto in precedenza. Nell’area di parlata albanese in Calabria si registra il termine”zufer” (sughera) ed e segnalata una contrada Zufer in comune di Vaccarizzo (CS), ove fi no alla fi ne del XX secolo era conservato un popolamento di sughere ora annientato. Con “sugherella” si intende Q. crenata (cerro-sughera) in una parlata della zona di M. Amiata: verosimilmente toponimi affini della Toscana e Lazio potrebbero far riferimento a popolamenti di quel taxon, anche se esempi del territorio di M S Biagio (M Aurunci, Terracina) sembrerebbero non confermare l’assunto.

685 Schirone et alii 2006 hanno condotto uno studio puntuale sui fito-toponimi derivanti dal Q. suber presenti nelle

tavolette IGM in scala 1:25.000 e desumibili dalla consultazione di repertori bibliografici regionali italiani contenenti censimenti di toponimi e microtoponimi e da aneddoti raccolti dagli autori durante campagne di censimento sulla distribuzione di Q. suber e Q crenata nel territorio della penisola. Per la Toscana si segnalano i seguenti studi toponomastici Pieri 1932, 1969; Cassi 1973; Marcato 1990 e qui di seguito i toponimi: La Sughera (SI), Suvera verso Siena (anno 1216), Sughera, podere Livorno, Sughera, regione Campo (Elba, LI), Sughera, La, Massa Marittima (GR),

Suvera, La, Rosignano (LI), Sughere, Le, poderi, Guardistallo e Pomarance (PI), Sughereto, botro, Manciano (GR) ed

anche Monte –, Sughereto e Suvereto, Bibbona (LI), Suvereto, com. (LI), Suvereto, Cala di, Porto Azzurro (Elba, LI),

Suveretine, Castelnuovo di Cecina (PI), Suveritu, Roccastrada o presso (GR), Suvaretolo (1187), Macchia Sugherana,

Manciano (GR), Sugheretino, fosso, Campagnatico (GR), Sugherino, poggio, Massa Marittima (GR), anche –ina,

Sugheroni, Poggio dei, Guardistallo (PI), Sugherone, Argine del, Piombino (LI), Sughericcio, Massa Marittima (GR), Sughereccio, Castagneto (LI), due luoghi; Sugarella, Sugarelle, regione, Sovicille (SI), forse = Suvarelle, Pedate de le; Sugherelle, Piacastagnaio (SI) e Massa Marittima (GR), Sugherella (GR), Sugherelle Botro delle, Bibbona (LI), Suverella – arella, Campagnatico (GR). Sugherellino, di sopra, di sotto, Sugherelli Campo (Elba, LI), Sughera alta,

Scansano (GR). Sughera, La, podere Volterra (PI), casale, Montalcino (SI), regione e Poggio della, Santa Luce (PI), Pian della, Campagnatico (GR), Poggio alla, Castagneto (LI). Sughere, Le, regione Orbetello (GR), Podere delle, Cecina (LI), Poggio delle, Monticiano (SI), Poggio alle, Suvereto (LI). Sugherelle, Le, Pomarance (PI), Poggio delle, Civitella (GR).

Sugherello, poggio, Roccastrada (GR). Sugherello, casale e botro, Manciano (GR). Sugherone, Poggio al, Civitella (GR). Sugherettaio, casale, Magliano (GR). Sughereto, regione, Montalcino (SI). Altri: Monticiano, Murlo (SI) e Casale,

Magliano (GR). Sughereti regione, ivi. Suvera, La, fattoria, Casole (SI). Suveraia, podere, Massa Marittima (GR).

Suverone, casale, Piombino (LI). Suberanu, Subernanu, Sugherano, San Giovanni d’Asso (SI), forse nomi locali

derivanti per –no, –nano, da nomi etruschi di persona Zupre Supri latino Subrius, Subernius. Suvennano, Suennano, Chiusdino (SI), per l’assimilazione di rn in nn. Sughera (Alla –), piu luoghi. Sughereto e Suv– (Al –), frazioni di Cerreta e Ruosina, comune di Seravezza. Pieri S., Toponomastica della Valle dell’Arno, Roma 1919. Suvera (La –), frazione di Maggiano, comune di Casole d’Elsa, Sughera (La –), pass. Sugherella, Monteriggioni; e altrove. Cassi L., Distribuzione

geografi ca dei toponimi derivati dalla vegetazione in Toscana, in “Rivista geografica italiana”, 80 (1973), pp. 389-431. Poggio la Sughera (Monti del Chianti), Cima la Sugheretta (Monte Pisano), C. Sughera nelle Cerbaie, nei dintorni di

Firenze: La Sughera (106 III NO), Rio delle Sughere (106 III SO), La Sughera (106 III SE), La Sughera nei pressi del Monte Giovi (106 I SE). C. Cerro Sughero (128 I SO e II NE) (confrontare Q. crenata). Suvereto (LI).

cui si cercherebbe in questo modo di attribuire una ‘fissità’ per preservarne la memoria o la funzione686.

La straordinaria capacità di conservazione di questo paesaggio è dovuta certamente alle attività silvo- pastorale condotte in questi micrositi almeno a partire dal XVI secolo687. La straordinaria

biodiversità riscontrata nei campioni monitorati tra il 2005 e il 2010, sembra non sia legata tanto all’apertura o alla chiusura del bosco, ma piuttosto all’associazione dei diversi taxa. Tra questi una grandissima percentuale (circa il 42%) è identificabile con specie erbacee tipiche di pascoli semi- mesofili e mesofili, con una percentuale di ‘non-native’ taxa di cui la Calluna Vulgaris è presente in grandi quantità, segno come abbiamo visto della pratica transumante. Questi dati sono inoltre molto simili a quelli disponibili per il sistema dehesa-montado, in particolar modo con le associazioni fitologiche analizzate in Andalusia688. Nel cuore della Maremma dunque sembra vi fosse attivo un

sistema del tutto similare a quello attualmente visibile ed osservabile in Spagna. La presenza di sughere sembra un indicatore piuttosto affidabile di un paesaggio legato alla sua presenza. È stato dimostrato altrove come il pascolo in bosco di Q. suber, come in quello a Castanea sativa, abbia tratti decisamente conservativi.

Nell'ambito della ricerca dedicata alle “basi cartografiche per l'archeologia dei paesaggi storici” (cofinanziamento MURST 1999/2000, coordinatore Daniele Manacorda) un gruppo di lavoro formato da geografi, geologi e biologi, aveva come obiettivo quello di costruire una base di riferimento che mettesse in grado i ricercatori (in particolare il progetto era destinato agli archeologi) di utilizzare fonti informative di diversa provenienza, tramite un adeguato trattamento cartografico delle informazioni. L’ipotesi che è stata sviluppata, in particolare, è quella che mette in relazione le basi geo-litologiche con lo stato attuale della vegetazione e la fisionomia storica dei paesaggi, quale si può ricostruire attraverso l’elaborazione della prima fonte cartografica costruita su un impianto geometrico e corredata di un apparato informativo, cioè il Catasto Leopoldino del 1825689. La ricerca

ha prodotto un prototipo di elaborazione informatica dei dati catastali in ambito GIS per il comune di Murlo (Siena), che consente di collegare i dati topografici (particelle) alle informazioni contenute nelle Tavole Indicative del Catasto, relative a proprietari e destinazioni d'uso del suolo, nonché di sovrapporre il quadro così ottenuto, che descrive nel dettaglio lo scenario paesistico presente al 1825, con tutti i tematismi riferibili alle fonti successive (carte topografiche, carte tematiche, coperture aereofotografiche)690. E’ stato possibile mantenere tutta di varietà di indicazioni contenute nei Libri

686 Si vedano le interessanti riflessioni di Pellegrini 1990 sulla possibilità di inferire le trasformazioni del paesaggio

vegetale almeno dall’alto medioevo attraverso la fito-toponomastica. Zamboni 1990 invece illumina sulle dinamiche di conservazione e innovazione della fitotoponomastica tra tardo antico ed alto medievo.

687 Selvi, Valleri 2012: p. 3065. 688 Ojeda et alii 2000.

689 Alla ricerca hanno collaborato il prof. Fabio Sandrelli del Dipartimento di Scienze della Terra, il dott. Alessandro

Chiarucci del Dipartimento di Biologia Ambientale, oltre ai ricercatori del Laboratorio Informatico del Dipartimento di Storia (Stefano Campana, Roberto Rubini, Giovanni Mazzini), con il coordinamento del prof. Claudio Greppi. Si veda per i dettagli http://www.storia.unisi.it/index.php?id=1172.

Inventari, conservati presso l’Archivio di Stato di Siena, dove si distinguono lavorativi arborati di vario tipo (vitati, olivati, pomati ecc.), e sono inoltre indicate tutte le essenze presenti nelle pasture (lecci, querce, cerri, sughere, castagni), fino a segnalare anche la presenza di fatti particolari come ruderi o uccelliere. Il quadro che risulta dal mosaico delle forme d’uso del suolo è quello di un’economia agro-pastorale, con una limitata presenza di lavorativi arborati, concentrati intorno ai principali insediamenti (Casciano e Vescovado in particolare), e una vastissima estensione di pasture arborate, con prevalenza di lecci, che dominano tutta l’area centrale

e il versante della Merse. I lavorativi nudi sono distribuiti sulle argille verso l’Ombrone e nel fondovalle della Merse, mentre il bosco vero e proprio è concentrato nella forma della lecceta in una fascia che va da Vallerano alla Befa, esposta prevalentemente a mezzogiorno, e in quella del querceto trattato a ceduo al confine settentrionale, nelle proprietà della fattoria della Selva. I sodi e le pasture nude sono distribuiti un po’ ovunque, in particolare sui terreni ofiolitici.

Non mancano la presenza di castagneti (da frutto o da palina, intorno a Casciano) e di sughere, o meglio pasture con sughere, nei pressi di San Giusto. Il paesaggio che si presentava all’osservatore dell’Ottocento era dunque molto diverso da quello attuale: la copertura boscosa non era continua, ma consentiva il transito e il pascolo di animali (ovini e suini, con tutta probabilità) che potevano sfruttare e quindi ripulire il sottobosco e nutrirsi della produzione di ghiande delle piante più mature. Un paesaggio ‘aperto’ dove gli ostacoli alla circolazione erano solo quelli dovuti ai fossi e ai burroni, che oggi invece si presenta nel complesso in una forma decisamente più selvatica. Il mutamento intervenuto fra il 1825 e oggi, sia in termini quantitativi che in forma topografica, seguendo il metodo fitosociologico, molto più analitica nella classificazione delle formazioni forestali e arbustive che non in quelle di origine antropica (e a differenza del catasto è costruita sulla fotointerpretazione e non sul mosaico particellare)691.

691 Per rendere confrontabili i due quadri, quello del 1825 e quello attuale, occorreva quindi intervenire sia sulle classi di uso del suolo che sulla tecnica di rappresentazione. Occorreva inoltre inventare una metodologia che consentisse il confronto diacronico fra due elaborati cartografici riferiti a tempi diversi, tema nuovo rispetto ai modelli correnti di analisi spaziale in ambito GIS.

Nella creazione delle classi di vegetazione sono stati messi sullo stesso piano pasture alberate e arbusteti in ragione dell’indice di densità della copertura vegetale e tenendo conto del fattore diacronico-evolutivo, per il quale il passaggio che da pastura a bosco va nella direzione di un infittimento della copertura vegetale, da pastura a arbusteto, potrebbe rappresentare un elemento di continuità. Certamente gli stessi dati possono portare a conclusioni opposte, secondo come si leggono: da un punto di vista botanico, una pastura con lecci che diventa una lecceta conserva la sua specificità, mentre da un punto di vista paesistico il mutamento è notevole.

Per comprendere quanto il procedimento sia significativo si possono intanto prendere in considerazione due aspetti di dettaglio, che esulano dalla matrice aggregata: quello dei castagneti e quello delle sugherete. Si tratta di piccole particelle che il Catasto registrava ai fini di un diverso trattamento fiscale che erano state introdotte a complemento dell’economia agro-pastorale e che oggi sopravvivono come relitto dove troviamo traccia di queste colture arboree. In questo caso il confronto cartografico è più evidente di qualsiasi trattamento quantitativo: sovrapponendo due campiture, colorate o a retino, si osserva che la presenza del castagno e della sughera si è conservata negli stessi luoghi, anche se i contorni non sono più gli stessi. Ma per un trattamento topografico dei dati riportati nella matrice delle classi di fisionomia paesistica occorre procedere gradualmente: a partire dalle righe e dalle colonne della matrice si ottengono infatti dieci carte separate, che offrono gli spunti interpretativi per il confronto diacronico che l’occhio non potrebbe cogliere su un solo elaborato con ben 25 campiture diverse. Di alcune di queste carte è opportuno fornire una descrizione appropriata, per la loro consistenza ai fini dell'analisi paesistica. Ma quella delle colture arboree è solo una quota minore della trasformazione delle pasture con alberi: per la massima parte queste si sono infittite fino ad essere classificate oggi come boschi, con prevalenza di leccio, di querce e sughere. Con maggiore attenzione, si potrebbero cogliere le diverse sfumature che passano dall’arbusteto al bosco vero e proprio: in particolare sui terreni della successione ofiolitica le piante

sono rade mentre il sottobosco, non più sottoposto alla pastura, si è infittito di arbusti di eriche, corbezzoli e tutto il corredo della macchia.

Si può concludere osservando che le carte che documentano l’evoluzione dei boschi, sia di leccio che di querce o sughere, mostrano un notevole grado di continuità, non solo in termini di estensione ma anche di composizione specifica: il che testimonia dell’attendibilità della rilevazione effettuata al tempo del Catasto. I boschi censiti come tali non hanno dunque mutato sostanzialmente carattere, mentre guardando retrospettivamente a partire dalle condizioni attuali dei boschi, non può non assumere la massima rilevanza quantitativa il passaggio da pastura con alberi a bosco, sempre con elementi di continuità nella composizione specifica. Ma al di là di questo fenomeno, non è affatto trascurabile l’espansione della compagine boschiva anche a spese dei campi aperti e persino delle colture arborate: in particolare la lecceta ha guadagnato spazio subito a ponente di Vescovado e Lupompesi, i querceti intorno a Frontignano692.

Uno studio condotto ancora una volta in quel particolare sito rappresentato dal Parco Regionale della Maremma, ha monitorato invece l’associazione di piante in un habitat composto principalmente da piante d’olivo, classificato secondo il loro specifico uso (We classified the olive groves into four

treatments according to their land use types)693:

a. Piante d’olivo soggette a sfruttamento intensivo con un alto livello di manutenzione (pruning and shrub cleaning) che rappresentano circa il 15% del campione analizzato (circa 27 ha).

692 Greppi 2009: pp. 127-9 e proprio il suo studio preliminare sul territorio di Murlo in

http://www.storia.unisi.it/index.php?id=1172, da cui le carte di siottiche di uso del suolo.

693 Maccherini et alii 2013: p. 5. Lo studio è stato condotto tra maggio e giugno del 2009 ed integrato dai rilevamenti

ottenuti dall’analisi delle foto aree disponibili a partire dal 1954. Tralascio nel dettaglio la sterminata bibliografia circa la nascita, la diffusione, la domesticazione dell’olivo e il ciclo biologico e gli aspetti genetici (per questo si veda Zohary, Hopf 1993 e da ultimo Fabbri et alii 2009 con bibliografia), con connessi problemi materiali, sociali ed economici circa il suo sfruttamento nelle varie epoche e luoghi del mediterraneo, si rimanderà qui per le referenze principalmente a Amouretti, Brun 1993; Brun 2004a per il mediterraneo dall’epoca preistorica fino a quella ellenistica e Brun 2004b per l’epoca imperiale; Brun 2005 per la coltivazione di olivi nella Gallia romana; Bellini, Rea 1986, Rossiter 1981, 1998; Ampia trattazione dei diversi tipi di torchio e del loro funzionamento è in Brun 1986: pp. 81-132 e 2003 per gli aspetti tecnichi della lavorazione con particolare riferimento all’epoca romana e all’occidente (Il database e la carta di distribuzione dei siti censiti per l’età romana, possono essere consultati accedendo al sito www.paleopatologia.it/Frantoi.). Frankel 1997, Ahmet 2001per la tipologia di presse per olio nel Levantino in epoca bizantina; Brun 2005 per la coltivazione di olivi nella Gallia romana; Mattingly 1988a,b, 1993, 1994, 1996 per l’olio nell’area mediterranea con particolare riferimento alla Libia, alla Tunisia e alla Spagna in epoca imperiale. Per l’Egeo ed il Levante Margaritis 2013, con specifico riferimento alla questione della prima domesticazione dell’Olea europeae (III millennio a.C.); Hamilakis per la produzione e la coltivazione di olio a Creta nell’età del Bronzo; Hadjisavvas 1992 per Cipro, in una prospettiva di lunga durata dall’età dl Bronzo a quella Bizantina. Pini 1989, Cortonesi et alii 2002: pp. 240- 60 per l’Italia alto e tardo medievale, Cortonesi 2005 con particolare riferimento all’Italia centro meridionale, Leggio 1995 per il Lazio e la Sabina; Pasquali 1972 per la Lomabrdia e la fascia prealpina e Varanini 1994 per l’olio gardesano; Cipriano, Mazzochin 2004 per l’Istria e il Friuli in epoca romana e tardoantica. Cerchiai Manodori Sagredo 2009 per una disamina delle fonti antiche sull’olivo, la sua coltivazione e lavorazione.

b. Piante d’olivo in evidente stato di abbandono che rappresentano tra il 15 e il 40 % del campione, parzialmente coperte da vegetazione, in procinto di divenire olivastri - Olea europaea var. sylvestris (109 ha).

c. Piante abbandonate coperta da vegetazione tra il 40 e l’80 % (13 ha).

d. Bosco a sclerofile con una copertura oltre l’80 %, non idoneo per lo sviluppo di Olea europea o sylvestris (138 ha).

L’obiettivo dello studio era quello di verificare il tipo di biodiversità presente nel paesaggio ad olivo, con particolare riferimento alle specie erbacee. Nel primo tipo sono stati individuati 175 taxa, 181 nel secondo, 85 nel terzo e nel quarto con un massimo di 42 specie registrate in un singolo campione nel tipo (a). I risultati hanno messo bene in evidenza come le specie erbacee decrescano linearmente dal tipo (a) a quello (d), man mano che diminuisce la manutenzione degli uliveti, e che aumentino esponenzialmente specie arboree come Quercus pubescens subsp. pubescens e Quercus ilex subsp. Ilex694. Tra le specie erbacee maggormenti presenti nel tipo (a) si possono segnalare Trifolium glomeratum (19%) e Trifolium scabrum subsp. Scabrum (35%), sicuramente appettibili per il pascolo695. Dopo la stagione di raccolta (Ottobre-Novembre) e quella di potatura ed innesto

(Dicembre), gli olivi diventano un luogo ricco di erbe, favorite dalle pioggie e dalla estrema apertura che prevede l’impianto di un uliveto a media densità696. Nei primi 40 anni di vita l’olivo viene gestito

in associazione ad altre colture e nei successivi anni il ciclo viene integrato normalmente con il pascolo697. La biodiversità non dunque una stretta relazione sia con la densità o la degradazione

dell’ambiente e del paesaggio a olivo (maggiore o minore apertura), sia con la conservazione del

694 Ibidem: p. 7.

695 Uno studio simile condotto tra 2009 e 2012 nel Parco Nazionale del gargano (Puglia) ha individuato gli stessi indici di

biodiversità, registrando proprio un’altissima percentuale di taxa connessi con il pascolo degli ovicaprini: ‘The three