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Etnobotanica, ecologia storica e fitosociologia come approcci per l’uso del suolo L’osservazione diretta a livello micro-topografico delle associazioni vegetali presenti in un

II. Bosco, vegetazione ed uso del suolo: indicatori eco-archeologici per la ricostruzione dei sistemi agro-silvo-pastorali.

2.2. Etnobotanica, ecologia storica e fitosociologia come approcci per l’uso del suolo L’osservazione diretta a livello micro-topografico delle associazioni vegetali presenti in un

determinato areale, sono la traccia ‘vivente’ di una specifica storia che ha condotto a quella specifica associazione vegetale. Le specie che occupano uno spazio definito sono il risultato di un interazione non casuale, tra clima, pedologia, fauna ed azione antropica303. Analizzando la flora si ottiene una

conoscenza indiretta dei fattori ecologici che determinano un dato ambiente (climatici, orografici, edafici, biotici). Tra i fattori biotici, quello che a noi interessa in chiave di una ricostruzione ‘olistica’ dei sistemi agro-silvo-pastorali, sono compresi appunto quelli antropici304. Il singolo popolamento

così ricostruito in associazione ad un determinato ed ipotetico ambiente, diviene ‘caratteristico’ e costituisce un sistema di riferimento valido a diverse scale, da quella sub-regionale a quella sub- continentale305. All’interno di questo sistema di riferimento multiplo le specie diventano così

‘indicatrici’ di un dato ambiente: alcune specie possiedono caratteristiche auto ecologiche così peculiari da renderle rilevatrici indirette, di pregresse o attuali condizioni ambientali306. La differenza

con l’ecologia storica analitica non è di poco conto. Quest’ultima si concentra piuttosto sulla specificità del sito, sviluppando una correlazione tra il comportamento ecologico attuale delle specie (o dalla vegetazione desumibile dai diagrammi pollinici) e le pratiche di gestione pregresse o attuali alla scala locale, senza inferire un modello di associazione vegetale teorico. Ai fini dell’interpretazione storica e delle procedure analitiche, di estremo interesse sono soprattutto le specie ei gruppi di specie ‘anomale’, rispetto alla vegetazione dominante di un sito: questo rumore di fondo costituisce la memoria delle comunità vegetali pregresse, indicatrici di un ambiente oggi scomparso, ma soprattutto unica traccia di una gestione oramai scomparsi307. Negli studi di

300 Barbera 2013a: p. 493. L’area indagata nel 2007 ha restituito una percentuale di wooded pastures intorno al 12%. 301 Idem. 2013b: 517-9. Il caso dei Monti Iblei risulta particolarmente interessante, poiché sarebbe un caso unico di

pascolo alberato a Carruba, risalente alla conquista araba.

302 Di Martino 1986; Mazzoleni et alii 2004, Cevasco, Molinari 2007.

303 Il sistema determinato da specie diverse in equilibrio, che interagiscono tra di loro, costituisce un’associazione

vegetale. Lo studio dell’associazione vegetale è oggetto della fitosociologia, sulla scorta delle teorie elaborate dallo svizzero Braun. Blanquet (1884-1980). L’assunto è che a una determinata associazione vegetale corrisponda uno specifico ambiente e viceversa.

304 Per il concetto di ricostruzione olistica dei sitemi agro-silvo-pastorali si veda l’esperienza svedese di Ishe, Lindhal

2000 che utilizzano concetti come holistic landscape, h. indices, h. parametres etc.. Il significato è mutuato da Troll 1939, 1968.

305 Braun-Blanquet 1964. 306 Pignatti 1997.

307 È interessante notare come le dinamiche vegetative che seguono l’abbandono di una pratica, risultino indicative della

medesima. Sperimentazioni condotte sulle specie vegetali più indicative di pascolo, hanno mostrato come al variare delle proprietà dell’ecosistema (microclima, micro topografia, luce, pH etc.), le medesime possono reagire in modi diversi: rimanere in situ, se sono specie altamente competitive o hanno una ricca banca semi nel suolo, o sparire del tutto

fitosociologia è basilare invece la comparazione tra gli ecosistemi attuali e quelli potenziali che definiscono la storia evolutiva o involutiva di un ambiente308. I modelli predittivi creati dalla

fitosociologia, le serie predittive e regressive basate sul concetto di climax309, offuscano in parte o

del tutto i fattori storici responsabili dell’ecologia di un sito. Ogni paesaggio come più volte ricordato non è né totalmente naturale, né totalmente culturale: parafrasando le parole di K. Krzywinski nell’introduzione del suo studio sulla regione tra il Nilo e il Mar Rosso,bisogna accettare l’idea che tutti i landscapes siano cultural landscapes, implica riconoscere che i processi ecologici debbano essere visti in contesti storicamente determinati310.

Da Ishe, Lindhal 2000 (un esempio di sistema olistico d’interpretazione di un sistema agro-silvo- pastorale).

La ‘svolta culturale’ in geografia, così’ com’è stata definita da M. Quaini, corre il rischio di identificare i paesaggi solo per la loro valenza simbolica, mitica e percettiva, trascurando le valenze

materiali e socio-economiche311. L’archeologia, lo studio della cultura materiale e della storia di un

sito sono dunque decisive per decifrare i cambiamenti ambientali visibili nella vegetazione attuale o desumibili dalle analisi polliniche. L’etnobotanica svolge in questo frangente il ruolo dell’archeologia sperimentale e dell’etnoarcheologia: osserva l’evoluzione della flora in quei sistemi

conservando però la loro memoria nella banca semi del suolo.si è visto sperimentalmente che rimuovendo parti della copertura vegetale può stimolare la germinazione dei semi, facendo riapparire ad esempio un prato da fieno (Marañón 1986; Jonsson 1995; Losvik 1999; Rosef 2004 per le prove sperimentali).

308 Biondi 2001. In questo senso Brun 2011 per la zona della Franche-Comté, ha comparato la vegetazione potenziale con

i pollini sedimentati (comparison of the vegetation and its pollen rain, p. 141), per inferire il grado di ‘disturbo’ antropico sullo sviluppo atteso, costituendo allo stesso tempo una serie di strong indicators of human activities. L’obiettivo non troppo velato è stabilire se le native plants and aliens introduced long ago (archaeophytes), or more recently (neophytes) abbiano potuto costituire una vegetazione ‘possibile’ di là dell’intervento umano.

309 Russell 1997. 310 Krzywinski 2001. 311 Quaini 2005, 2006.

mantenuti con tecniche tradizionali o riproduce le dinamiche di interazione tra sfruttamento e gestione delle risorse (come il pascolo ripetuto, il ronco, la capitozza tura etc.) con la vegetazione, verificando le conseguenze dell’abbandono di talune pratiche312. In questo quadro così

sommariamente tracciato, ci preme rilevare come la complessità del paesaggio emerga ancora una volta in tutta la sua forza. Le categorie etiche di classificazione del paesaggio (naturale, sub- naturale, semi-naturale, culturale etc.) spingono alcuni fenomeni storici nella condizione di invisibilità. La scommessa sarebbe quella quindi di istituire delle categorie analitiche (emiche) che tengano conto di tutti i fattori che costituiscono quel complesso palinsesto che è il paesaggio, e delle relazioni costituite storicamente attorno ad una determinata pratica, riportando alla luce le modalità di gestione delle risorse, paesaggi e strutture socio-economiche. Costituire una serie documentaria di ‘specie indicatrici’ di un dato comprensorio vorrebbe dire accrescere le potenzialità storico- archeologiche del paesaggio, poter rispondere a vecchie domande o porne di nuove. Sviluppare le connessioni esistenti tra la presenza di determinate specie e le modalità di uso del suolo, ci porterebbe al di là dall’individuare i classici indicatori antropogenici che consentono di stabilire genericamente un qualche uso del suolo da parte di una comunità attraverso le sue conseguenze sulla vegetazione, individuando con più precisione le pratiche specifiche di gestione (sfalcio, pascolo, uso del fuoco etc.)313.

Un esempio interessante d’integrazione tra le fonti polliniche ed approccio etnografico proviene dal progetto norvegese Lindås project, teso a ricostruire il ruolo e l’ecologia storica delle brughiere dell’Europa del Nord (Danimarca, Norvegia, Scozia etc.), gravitanti attorno ai sistemi colturali della

Calluna vulgaris, considerato ottimo foraggio invernale per le pecore314. In un diagramma pollinico

proveniente dal sito di Fonnes, Nordhordland, è stato possibile identificare l’origine della pratica dello sfalcio della Calluna in chiave pastorale, praticato per secoli dagli agricoltori della zona, proprio grazie a metodologie e serie di fonti documentarie diverse. Dall’inchiesta etnografica e alla verifica sperimentale degli effetti dell’uso del suolo attuali sulla copertura vegetale, è stato possibile ipotizzare un cambiamento nella gestione della brughiera risalente all’età vichinga (800 d.C.). A questa data, corrispondente a 22 cm di profondità, il diagramma registrava un drastico calo di Calluna e un picco di Empetrum, un’altra ericacea. La verifica sperimentale ha poi dimostrato come l’Empetrum non sopravviveva all’uso del fuoco, prova dell’introduzione del taglio della Calluna in sostituzione del suo incendio. Questo tipo di evidenze sedimentarie sono difficilmente spiegabili e traducibili in reali tecniche e pratiche di uso del suolo, se non supportate da tracce archeologiche, storiche ed informazioni etnografiche e sperimentali.

312 Pollock et alii 2013 sulle prove sperimentali delle conseguenze di una diminuita sheep grazing pressure, con

bibliografia.

313 Il pericolo che si nasconde dietro l’utilizzo di questi strumenti euristici, è quello di appiattire la specificità di un dato

contesto o di una data epoca in uno sfondo privo di storicità.

Gli studi sperimentali e le osservazioni etnografiche condotte da Joanna Faerber sui Pirenei, hanno permesso invece di chiarire il ruolo storico dell’utilizzo controllato del fuoco, nella gestione e nel mantenimento degli spazi pastorali. Si è visto infatti che il fuoco non gioca mai un ruolo totalmente negativo, ma si dimostra un elemento essenziale di stabilizzazione e ricostituzione315. Ad esempio il

branchipodio, tipico delle lande pirenaiche, non è ricercato dal bestiame quando forma popolamenti invecchiati di foglie secche, ma diventa molto appetibile dopo il passaggio del fuoco, grazie ai ricacci giovani e teneri. Il fuoco quindi non solo rigenera le risorse foraggere aumentando le specie presenti e ristabilendo l’equilibrio tra specie competitive, ma aumenta le potenzialità e il valore pastorale di un sito316.