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Confucianesimo e Daoismo: tra alternanza ed opposizione

FONDAMENTI E PROIEZIONI IDEOLOGICHE E CULTURALI DEL NUOVO ORDINE CINESE: ARMONIA, ORDINE ED ASCESA PACIFICA

2.7 Confucianesimo e Daoismo: tra alternanza ed opposizione

L’esposizione offerta nelle pagine precedenti circa la riaffermazione del confucianesimo, alla base dei concetti di “ascesa pacifica” e di “società armoniosa”, rivelano in maniera inequivocabile come la necessità di individuare un principio ordinativo sia fondamentale per la stabilità della narrazione politica, culturale e geografica dell’attuale Repubblica Popolare Cinese. L’accento posto sull’ordine e l’armonia è una strategia volutamente perseguita per contrastare l’emergere di quelle tendenze che possono essere definite decadentiste o, in ogni caso, negative, e che hanno messo in serio pericolo la stabilità politica del paese, soprattutto nel corso della crisi alla fine degli anni Ottanta.

Fin dall’inizio la storia cinese è stata presentata come una continua oscillazione tra frammentazione ed unità, tra momenti segnati dalla prevalenza di forze centrifughe e da altri in cui a prevalere era una forza centripeta ed unificante. Il germne della frammentazione e del caos rimane tuttavia sempre presente, proprio per questo se ne rende necessaria una neutralizzazione di cui si è presa, ancora una volta carico, la narrazione confuciana. Una narrazione che, come sottolineato in precedenza, trae la sua forza proprio da quelli che in occidente vengono considerati i suoi principali limiti: tra tutti quello di presentarsi come una tendenza fortemente omogeneizzante che non concede spazio a forme di alterità o di opposizione. L’accento posto sul confucianesimo quale collante e teoria di unificazione del cosmo cinese, principalmente per quanto riguarda le dinamiche interne, non può tuttavia distogliere dal fatto che oggi la Repubblica Popolare Cinese si presenti come un paese assai disarmonico, segnato da profonde sperequazioni di carattere sociale, economico e geografico. Per limitarsi all’aspetto geografico, certamente ben lungi dall’essere risolte sono le disparità e le differenze generate dal processo di riforma. Ad una fascia costiera ricca e dinamica fa ancora oggi da contraltare un interno del paese – soprattutto nelle regioni più occidentali – estremamente arretrato, privo in infrastrutture ed assai poco attrattivo anche per gli investimenti provenienti dall’interno del paese o dall’estero. Fondamentale appare quindi la necessità di kaifang xibu 开放西部 “aprire l’ovest”, esattamente come era avvenuto nel caso delle regioni costiere e meridionali all’inizio della fase delle riforme.










L’armonizzazione del paese viene vista come uno degli imperativi fondamentali per mantenere la coesione geografica che, sotto il peso di una eccessiva divaricazione, si troverebbe con molta probabilità a dover gestire pericolose spinte destabilizzanti, volte alla frammentazione ed alla contestazione della supremazia politica e culturale del governo di Pechino. Non è un caso quindi se una delle principali preoccupazioni del governo cinese è, attualmente, proprio la prevenzione di qualsiasi elemento di instabilità, in particolare se di derivazione esterna. Molte delle critiche che sono state mosse contro Pechino, prime fra tutte le questioni del Tibet e del Xinjiang, entrambe province autonome e caratterizzate da popolazioni autoctone non han, sono state lette da Pechino proprio come il tentativo di mettere in discussione l’integrità territoriale della Cina. Soffiando sul fuoco dello scontro etnico e culturale, non meglio specificate potenze avverse alla Cina avrebbero tentato di mettere in discussione l’autorità ed il controllo del governo di Pechino sull’intero territorio nazionale, cercando quindi di minare non solo la tenuta della società ma anche quella della geografia dell’armonia.

In realtà il forte accento posto sull’ideologia dell’unità, della coesione e dell’armonia non può essere pienamente compreso nella sua reale portata senza tener conto di come la Cina, e la cultura in genere, cinese abbiano sviluppato nel corso dei secoli una tradizione esattamente opposta, in netta antitesti rispetto alla visione confuciana, ma per questo non meno importante.

Prima di analizzare in dettaglio alcune delle attuali narrazioni geografiche cinesi, basate appunto sulla visione di una Cina unita ed indissolubile, può essere interessante fare un breve accenno ad un’altra componente della cultura cinese che, non diversamente dal confucianesimo, ha giocato un ruolo fondamentale nello sviluppo della cultura cinese: il taoismo. A differenza del confucianesimo che ha sempre rappresentato il volto ufficiale della Cina, godendo sempre di un indiscusso vantaggio politico ed ideologico all’interno dell’ideologia statale – se non altro per il fatto che tutta la storiografia cinese è di fatto una storiografia confuciana – il taoismo rappresenta l’altra faccia della cultura cinese, quella meno ufficiale e legata ad una visione completamente diversa del potere e dell’autorità della politica. Alcuni hanno, alquanto semplicisticamente, associato il taoismo ad una sorta di movimento di opposizione rispetto al confucianesimo, tuttavia questa visione rischia di essere fuorviante in quanto nella visione del taoismo non è mai presente la creazione di un sistema politico ed istituzionale alternativo al confucianesimo. Pur predicando modelli di vita o priorità notevolmente differenti, le visioni confuciana e taoista si sono nel corso dei secoli sviluppate parallelamente, arrivando talora a completarsi, secondo un processo difficilmente comprensibile in un Occidente che tende generalmente a vedere una compresenza di questo tipo unicamente nei termini di un’opposizione. La compresenza del confucianesimo e del taoismo può tuttavia arrivare a spiegare in termini più chiari il carattere culturalmente forte anche della frammentazione in Cina, secondo un sistema binario che riflette quell’alternanza dei noti principi dello yin e dello yang che profondamente hanno influenzato il pensiero cinese, anche dal punto di vista politico. Quella che segue è pertanto una assai concisa esposizione di alcuni dei principi del taoismo che possono risultare utili per una maggiore comprensione delle narrazioni geo-culturali cinesi.

Il nome daoismo deriva da dao 道, un termine il cui primo significato è “via”, “strada”, “percorso”. Si tratta in realtà di un termine che copre un campo semantico estremamente vasto, al punto da risultare, paradossalmente, pressochè indefinibile. È un principio che può apparire trascendente e immanente al tempo stesso, che è dovunque e, pur tuttavia, rimane ineffabile. Può essere definito il processo spontaneo che regge il ciclo naturale dell’universo, di cui ogni individuo fa parte e che ogni individuo cerca di abbracciare nella sua totalità: in questo senso è la Via, la via del ciclo di tutte le cose. Laozi dice che il Dao è “senza nome, è l’origine del Cielo e della terra, con il nome è la madre dei diecimila

esseri” Questa definizione è tratta dal più celebre testo daoista, il Dao de jing

道德经

, il “Classico

della via e della virtù”, attribuito alla celebre figura del saggio Laozi. Oltre a questo ci sono comunque molti altri testi celebri della tradizione taoista che, al pari di quella confuciana, nel corso dei secoli ha prodotto un corpus dei testi enorme, di cui sarebbe impossibile e inutile dare conto in questa sede. A differenza del confucianesimo - che punta l’accento sulla condotta morale, sull’agire in società, sulla gerarchia e il rispetto di determinate dinamiche e relazioni - il daoismo persegue una visione che non è azzardato definire quasi anti-sistema. Il daoismo, in netta antitesi alla ritualità gerarchica confuciana, sembra privilegiare l’aspetto apparentemente spontaneo e naturale delle cose, l’uscita dal mondo e dalla società, la vita e la contemplazione solitaria. Il daoismo, almeno nella sua versione filosofica, si fa portatore di un messaggio individualista e isolazionista che contrasta con la rigida organizzazione politico-sociale caratteristica dell’ideologia imperiale ufficiale di stampo confuciano196.

Uno dei concetti base del taoismo è riassunto nel cosiddetto 出家 chujia, vale dire ’“uscire di casa”

nel senso di rendersi liberi dagli eccessivi vincoli della società e della famiglia, per andare alla ricerca della libertà e del contatto diretto con la natura. In questo sta l’unica forma di conoscenza e di coltivazione interiore che possa garantire all’individuo il raggiungimento di un livello di consapevolezza superiore. Questo concetto comporta tuttavia delle chiare implicazioni dal punto di vista politico, in quanto viene messa chiaramente in discussione l’esistenza di qualsiasi centralità, la quale può ovviamente esistere solo ed esclusivamente all’interno di una dimensione gerarchica.

La fuga dal mondo, la ricerca di un contatto diretto e intimo con la natura - quest’ultima intesa proprio come contrapposizione alla sfera pubblica e alle norme che regolano il comportamento nella vita sociale – sono divenuti nel corso del tempo oggetto di meditazione, favorendo la nascita di sensibilità che hanno portato ad altissime manifestazioni in campo artistico e letterario. La pittura cinese, come la poesia del resto, sono ben più impregnate di taoismo che di confucianesimo. Notevoli sono state anche le implicazioni geografiche soprattutto per quel che riguarda la visione e la percezione del paesaggio. Questa tendenza tipicamente daoista all’isolamento è emersa in modo particolare nei periodi di grande sommovimento politico, quando la figura e il ruolo dei letterati confuciani sono stati messi in discussione a seguito della dissoluzione del governo centrale. Un caso esemplare in tal senso fu il










196 Per una trattazione dei fondamenti e dei principali autori della trattazione taoista si rimanda a Bo Mou, History of Chinese Philosophy, Routledge, London/New York, 2008, pp.209-266.

periodo che ha fatto seguito alla conquista mongola nel 1271: un vero e proprio trauma per la classe intellettuale cinese che si trovò, soprattutto nei primi decenni della nuova dominazione, ad essere esautorata ed emarginata.

Al di là degli aspetti più strettamente culturali, anche tra le righe del pensiero taoista si può tuttavia ravvisare un messaggio dal chiaro significato politico. In un famoso passo del Daode Jing di Laozi afferma: “Facciamo in modo di avere un piccolo stato con pochi abitanti. Facciamo in modo che la gente torni all’uso delle corde e dei nodi (per ricordare gli eventi). Che essi abbiano dolci, cibi, bei vestiti e comode dimore e siano piacevoli i rustici lavori. Lo stato confinante è tanto vicino che si sentono abbaiare i suoi cani e cantare i suoi galli. Ma la gente invecchierà e morirà senza aver mai passato la frontiera” 197. Alcune delle tendenze alla chiusura e al localismo proprie della tradizione cinese possono essere interpretate come un riflesso del pensiero taoista. Anche il taoismo sottolinea l’importanza della figura del saggio, tuttavia il saggio taoista si distingue dal saggio confuciano. Come già sottolineato il saggio confuciano è versato nell’interpretazione dei classici, di cui è anzi l’unico ed autentico interprete. Il saggio taoista mira invece ad una conoscenza che aspira all’annullamento dell’azione. Egli agisce non agendo. Il non agire è il punto di arrivo della conoscenza, in quanto non vi è azione dell’uomo che possa realmente incidere sulla realtà esterna. L’uomo può incidere solo ed esclusivamente su sé stesso. Il saggio è colui che non ha bisogno di girare il mondo perché egli può conoscerlo dentro di sé, senza muoversi di un passo dal luogo in cui abita. Molto spesso nei taoisti si trovano critiche feroci o anche vere e proprie prese in giro della morale confuciana, insieme alla sua pretesa di controllare e imbrigliare una realtà esterna che, al contrario, i taoisti valutano come esteriore ed inutilmente controllabile. Se il confucianesimo punta l’accento sull’armonia sociale e generazionale, facendo del corpo sociale il punto centrale della propria visione, il taoismo punta ad un’armonia tra individuo e mondo esterno (essenzialmente la natura) che pone al centro della speculazione il corpo individuale198.

Il daoismo rappresenta, all’interno della cultura e del pensiero politico cinese, una sorta di abbandono al caos destinato, seppur indirettamente, a mettere in discussione la tenuta e l’autorità del potere centrale. Nella storia cinese le fasi di frammentazione e disunione sono periodi in cui la componente del taoismo ha giocato un ruolo fondamentale, anche se pur sempre ad un livello che rarissimamente è approdato ad uno stadio di ufficialità paragonabile al confucianesimo. Alcune delle grandi rivolte che nel corso della storia cinese hanno portato al crollo di dinastie ed all’affermazione di un nuovo ordine hanno avuto talora la propria origine proprio in ambito taoista.199










197 Citato in Fung Yu-lan, Storia della filosofia cinese, Mondadori, Milano, 1990, p.14.

198 Si veda a tal proposito Kristofer Schipper, Il corpo taoista, Astrolabio – Ubaldini, Roma, 1983.

199 Tra le più celebri la rivolta dei “Turbanti Gialli” che, iniziata nel 184 d.C., minò fino a farla cadere la dinastia Han nel 184 d.C.Per esempio la rivolta dei Turbanti Gialli che minò, fino a provocarne la caduta. Oppure, in epoca più recente, la rivolte dei Taiping e dei Boxer negli anni a cavallo tra il XIX e XX secolo che, di fatto decretarono la fine della’ultima inastia Qing. Sul ruolo del taoismo, oltre che del buddhismo, nel riconoscimento della possibilità del sommovimento si rimanda a Hubert Michael Seiwert, Popular Religious Movements and Heterodox Sects in Chinese History, Koninklijke Brill, Leiden, 2003.

La continua oscillazione tra unità e frammentazione che caratterizza l’evoluzione anche politica e geografica della Cina, fa parte quindi di una sorta di processo dialettico che è fortemente radicato nella compresenza di due orientamenti così diversi e destinati ad esercitare, pur su livelli differenti, un influsso fondamentale. Questo fatto può contribuire a spiegare la necessità, da sempre, del potere centrale di creare un apparato propagandistico ed ideologico che elevi la narrazione unitaria a necessità, al fine di ricoprire e far passare in una posizione secondaria visioni alternative o contrastanti. Molte delle posizioni che vengono quindi oggi prese contro le eventuali forze che si muoverebbero in vista di una frammentazione della nazione cinese rispondono, dunque, alla necessità di contrastare elementi potenzialmente destabilizzanti, provenienti dall’esterno della Cina o dall’ambito della stessa cultura cinese. La narrazione confuciana, l’esaltazioe dell’armonia, della stabilità, dell’indissolubilità sono la condizione necessaria per garantire la validità dell’intera visione globale cinese citata in precedenza.

Le forti prese di posizione contro il decadentismo culturale - si ripensi al caso di Heshang o alle pubblicazioni sulla Cina “infelice”- rientrano quindi all’interno di una visione volta a prevenire l’affermazione di visioni che possano mettere in discussione la centralità del potere. Come sempre in Cina, la messa in discussione della centralità del potere equivale al 革命 geming (la “rottura del mandato/rivoluzione”) nel nome dell’instaurazione di un nuovo ordine sulla base di un nuovo 天命 tianming (il “mandato celeste”).

Assai diffusamente è stato ad esempio studiato il fondamentale apporto del daoismo nella nascita e nello sviluppo dei movimenti anarchici cinesi, che hanno integrato la visione propriamente occidentale in un quadro anche semanticamente ricco di elementi e concetti propri della tradizione taoista.200

Inoltre alcune fasi acute della politica maoista, come la Rivoluzione Culturale, difficilmente possono essere comprese al di fuori di quello che è anche il peso della tradizione taoista.

Proprio la consapevolezza della costante ed incombente tendenza al disordine ed alla frammentazione ha, ovviamente, spinto la classe dirigente del Partito Comunista Cinese ad ridar vita e vigore alla visione regolatrice ed ordinatrice propria del confucianesimo, al fine di creare ideologicamente e discorsivamente quella coesione che altrimenti la realtà sembrava in più punti contraddire. In questo senso vanno quindi letti anche gli ultimi slogan e le più recenti evoluzioni teoriche espresse dalla leadership del partito. Dopo il celebre concetto delle san ge daibiao 三个代表, le “tre rappresentanze”, con cui Jiang Zemin aveva attribuito al partito il ruolo di rappresentare nella sua totalità la “società armoniosa”, si è passati con Hu Jintao alla kexue fazhan guan 科学发展观 , la “visione scientifica dello sviluppo”, secondo un modello sociale, geografico e culturale di stampo chiaramente razionale e confuciano201. Una visione scientifica dello sviluppo vista come la cornice










200 Si veda a tal proposito Arif Dirlik, Anarchism in the Chinese Revolution, University of California Press, Berkeley,1993; Peter Zarrow, Anarchism and Chinese Political Culture, Columbia University Press, 1990. 201 Il concetto di “visione scientifica dello sviluppo” è stato espresso da Hu Jintao nel corso del XVII congresso del Partito Comunista svoltosi nel 2007, divenendo di fatto il principale contributo teorico dell’attuale presidente

teorica entro cui mettere in pratica la realizzazione della società armoniosa. Questa evoluzione è di estremo interesse perché per la prima volta viene inglobato nel discorso politico cinese l’elemento della sostenibilità sociale, politica, culturale, economica ed ambientale nella Cina successiva all’apertura ed alle riforme. Una sostenibilità che riflette ovviamente anche l’imperativo di uno sviluppo e di un’evoluzione del paese in grado di sostenerne e cementarne l’unità, neutralizzando le tendenze alla frammentazione ed al caos. Anche nel discorso geografico emerge chiaramente questa necessità, come verrà brevemente esposto nelle pagine seguenti.