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Deng Xiaoping: modernizzazione nel nome della tradizione

FONDAMENTI E PROIEZIONI IDEOLOGICHE E CULTURALI DEL NUOVO ORDINE CINESE: ARMONIA, ORDINE ED ASCESA PACIFICA

2.2 Deng Xiaoping: modernizzazione nel nome della tradizione

Pur non ricoprendo un ruolo analogo a quello di Mao – sorta di padre fondatore - nell’immaginario collettivo della Repubblica Popolare Cinese contemporanea, la figura di Deng Xiaoping riveste un ruolo fondativo di indiscussa importanza: senza la sua visione strategica e politica sarebbe infatti impossibile comprendere la Cina odierna. Fondamentale è stata infatti la guida denghista nel passaggio dal socialismo di stampo maoista al socialismo di mercato, fase in cui è stato definito inoltre il rinnovato e basilare ruolo svolto dal Partito Comunista Cinese nell’ambito di quello che sarebbe stato definito il “regime a partito unico”. Le successioni al potere del partito che hanno portato nei decenni successivi al potere Jiang Zemin e Hu Jintao sono infatti da considerarsi pienamente in linea con quelle che erano state le linee di base della politica denghista.

Ancora irrisolto - e probabilmente irrisolvibile – rimane il quesito circa il carattere del rapporto di continuità esistente tra i due principali leader cinesi nel corso del XX secolo: Mao e Deng appunto. Da un lato i segni della discontinuità appaiono in tutta la loro evidenza, come del resto sottolineato dalla sostanziale contrapposizione tra fazioni opposte, in particolare nel corso dell’ultimo decennio del potere maoista. Resta tuttavia evidente il fatto di come Deng Xiaoping abbia saputo proporsi come una sorta di naturale continuatore della politica maoista, salvaguardando in tal modo la continuità della narrazione ideologica e culturale alla base di quella coesione ed unità nazionale che - pur nei limiti delle politiche che aveva perseguito – egli per primo aveva saputo realizzare e mantenere111.

Osservando il dato biografico appare tuttavia evidente come, una volta raggiunta e realizzata l’unità e l’integrità territoriale, ben diverse dovessero essere le aspirazioni dei due leader, nonostante il ridotto gap generazionale di una decina d’anni che li caratterizzava. A tal proposito può essere utile fornire una breve introduzione biografica alla figura di Deng Xiaoping, fatto che può aiutare a spiegare anche la diversa visione e percezione geografica che egli aveva dell’universo cinese.

Pur provenendo entrambi da un contesto rurale ed essendo di famiglia relativamente benestante, i due leader avevano, nella prima fase della propria esistenza, seguito dei percorsi biografici alquanto differenti. Mao aveva vissuto a stretto contatto con la cultura ed il retaggio cinese più tradizionale: a differenza di molti coetanei dell’epoca, non aveva mai lasciato la Cina, rimanendo in una posizione alquanto defilata rispetto ai grandi movimenti e i grandi esponenti della modernizzazione politico-culturale dei primi decenni del secolo.

Nato nel 1904 Deng Xiaoping aveva, poco più che quindicenne, scelto di lasciare la Cina per recarsi in Europa alla ricerca di quella conoscenza che potesse riverlarsi utile per salvare la Cina dalla decadenza culturale, politica ed economica. Sbarcò a Marsiglia, dando inizio ad un fondamentale periodo francese per la propria esistenza: un periodo che, a differenza di quanto sperimentato da altri futuri esponenti










111 David Wen-Wei Chang, China under Deng Xiaoping: Political and Economic Reform, Macmillian, 1991, pp. 240-242.

della moderna cultura cinese, fu fatta di studio ma anche di duro lavoro. Diventò operaio alla Renault, lavorando in seguito anche presso le ferrovie francesi. Tutte esperienze che gli consentirono di entrare in contatto con la cosiddetta questione operaia e di avvicinarsi alle teorie ed ai movimenti marxisti. In Francia esisteva già allora una cospicua comunità di giovani cinesi, ed è proprio all’interno di questo

gruppo che inizia l’avvicinamento al marxismo112. Diviene membro della Lega dei Comunisti Cinesi in

Europa. In Francia si trovava, inoltre, in quegli anni, un altro personaggio fondamentale e amatissimo della storia cinese del XX secolo: Zhou Enlai (1898-1976), futuro ministro degli esteri di Mao, considerato anche negli anni dei peggiori eccessi ideologici una colomba in mezzo ai falchi maoisti. Dopo la Francia, Deng Xiaoping ebbe modo di recarsi a Mosca, dove approfondì ulteriormente la propria formazione politica. Di ritorno in Cina alla metà degli anni Venti egli - a differenza di Mao - è un giovane cinese che ha esperienza della realtà al di fuori della Cina, che ha inoltre toccato con mano le radici della superiorità occidentale e della decadenza cinese. Rientrato in Cina fu inizialmente presente a Shanghai, principale centro di azione del Partito Comunista, alle cui iniziative prese fin dall’inizio parte attiva. È tuttavia questo il periodo in cui particolarmente forte si fa la persecuzione contro i comunisti da parte dei nazionalisti di Chiang Kai-shek, costringendo quel poco che rimane dei sostenitori e della dirigenza comunista ad abbandonare la città costiera, cercando riparo e un nuovo inizio nelle zone interne del paese. Deng Xiaoping partecipa alla Lunga Marcia ed è in questo momento che ha la possibilità di entrare in contatto con la leadership maoista che, proprio in quella fase, stava assumendo il controllo sull’intero apparato del partito113.

Le biografie dei due leader scritte successivamente hanno in più occasioni sottolineato la sostanziale diversità e diffidenza che - fin dall’inizio ed in numerose occasioni - avrebbe caratterizzato queste due fondamentali figure: nota è infatti la metafora di Mao che avrebbe invitato a diffidare di Deng Xiaoping, paragonandolo ad uno spillo avvolto in un batuffolo di cotone. La fase della guerra civile e il primo decennio della Repubblica Popolare vedono tuttavia Mao e Deng Xiaoping su posizioni che non possono essere definite di particolare distanza, Deng Xiaoping appare anzi fedelmente allineato alle direttive maoiste, arrivando a ricoprire ruoli di particolare importanza nella gestione del potere all’interno del partito114. Un momento cruciale nel percorso politico di Deng Xiaoping è tuttavia il Grande Balzo in Avanti del 1959: dinnanzi alla constatazione del fallimento della visione ultra-ideologica maoista nutrita esclusivamente di quello che veniva chiamato “il vento della rivoluzione”, Deng approda ad una visione più moderata e caratterizzata da un maggiore pragmatismo, iniziando un progressivo smarcamento dalla linea maoista. Proprio agli anni immediatamente successivi al Grande Balzo in Avanti risale la frase forse più nota di Deng Xiaoping che sarebbe divenuta una sorta di










112 Geneviève Barman, Nicole Dulioust, Les années Françaises de Deng Xiaoping, in Vingtième Siècle. Revue d'histoire, No. 20, 1988, pp. 17-34.

113 Benjamin Yang, The Making of a Pragmatic Communist: The Early Life of Deng Xiaoping, 1904-49, in The China Quarterly, No. 135, Special Issue: Deng Xiaoping: An Assessment,1993, pp. 444-456.

114 Una biografia di Deng Xiaoping fino alla fine del maoismo è stata pubblicata ad opera di una delle figlie del leader cinese, biografia di cui esiste anche una traduzione in lingia italiana. Si veda Deng Rong, Deng Xiaoping e la rivoluzione culturale, Rizzoli, Milano, 2003.

slogan negli anni di apertura e di riforma: “è indifferente che il gatto sia bianco o nero: basta che catturi i topi”. Tale slogan incarnava una non molto velata critica nei confronti del maoismo: era opportuno essere valutati sulla base dei risultati concreti e non tanto nei termini astratti e indefinibili della purezza ideologica. Questa frase che viene - ed a ragione - considerata il segno evidente dell’emergere all’interno del partito di una visione alternativa a quella maoista, era in realtà strettamente radicata all’interno della logica e culturale cinese che, del pragmatismo, aveva da sempre fatto una delle proprie bandiere. La visione ideologica e quasi sacrale del potere maoista andava per certi versi contro il tradizionale pragmatismo ideologico e religioso proprio di certa cultura cinese, in grado di seguire e credere contemporaneamente a diverse fedi od orientamenti religiosi. L’approccio denghista è quindi, fin dalla sua prima formulazione, un tentativo di ricreare un equilibrio politico, economico e culturale che recuperasse, pur nella modernizzazione, quell’equilibrio e quel pragmatismo che era proprio della sfera culturale cinese, ovviamente nella sua versione unitaria115.

La reazione dei circoli maoisti di fronte a queste prese di posizione si dimostrò particolarmente dura, facendo di Deng Xiaoping, per buona parte degli anni Sessanta ed oltre, uno dei principali obiettivi dei virulenti attacchi della propaganda dell’estrema sinistra maoista. Deng si trovò emarginato dal potere ed accusato di essere un seguace di Confucio, nonchè di voler impedire la modernizzazione del paese, aspirando alla restaurazione del capitalismo e della società feudale. Divenuto uno dei principali obiettivi degli attacchi nel corso della Rivoluzione Culturale, Deng Xiaoping venne inviato - secondo lo stile delle punizioni inflitte ai dignitari imperiali ribelli o non allineati con la corte - nella periferica provincia del Xinjiang, ad occuparsi di una officina per la riparazione dei trattori. Qui la tradizione vuole che Deng Xiaoping abbia per la prima volta elaborato a chiare lettere la sua strategia di lungo termine, riguardante il futuro percorso del paese. Si trattava in realtà di tutta una visione che era ben lungi dal manifestarsi dal nulla in quel delicato contesto sociale e politico, ma che affondava le radici già nelle esperienze che egli aveva potuto compiere all’estero negli anni della gioventù. Perno di questa visione era ancora una volta il concetto di modernità, o meglio di modernizzazione, indicativo del fatto che si trattava di un obiettivo che - pur avendo raggiunto il fondamentale traguardo dell’integrità territoriale dell’unità nazionale – la Repubblica Popolare Cinese era ancora lontana dall’avere compiutamente realizzato116. In particolare la teoria denghista sottolineava la necessità di “realizzare le Quattro Modernizzazioni”: shixian si ge xiandaihua 实现四个现代化. Deng aveva tratto ispirazione nella definizione di questo programma da Zhou Enlai che aveva per primo parlato di obiettivio di modernizzazione già qualche anno prima, nel 1963.

A differenza degli slogan maoisti che, proprio negli anni della Rivoluzione Culturale, stavano in alcuni casi concretamente incendiando tutto il paese, le Quattro Modernizzazioni denghiste proponevano un obiettivo di apparentemente minore impegno ideologico: esse non rinunciavano però ad una grande










115 David S. G. Goodman, Deng Xiaoping and the Chinese Revolution: a Political Biography, Routledge, London/New York, 1994, pp. 90-101.

dose di ambizione e - aspetto particolarmente importante in questa sede - ad una strategia che mirava chiaramente a fornire alla Repubblica Popolare Cinese un nuovo ruolo a livello internazionale ed una ridefinizione degli equilibri geografici all’interno del paese. Queste erano le quattro modernizzazioni

proposte da Deng Xiaoping: 1) modernizzazione dell’agricoltura, 农业现代化 nongye xiandaihua; 2)

modernizzazione dell’industria, 工业现代化 gongye xiandaihua; 3) modernizzazione della difesa,

国防现代化 guofang xiandaihua; 4) modernizzazione scientifica e tecnologica, 科学技术现代化

kexue jishu xiandaihua. Queste quattro espressioni sono oggi entrate nell’uso comune anche nella lingua cinese contemporanea. Pur rimandando ad un momento successivo una più dettagliata analisi di questo progetto di modernizzazione, appare chiaro come la messa in opera di tale ambiziosa visione implicasse già di per sé la definizione di una strategia culturale radicalmente diversa rispetto a quella

maoista117. Se Deng Xiaoping non metteva - e mai metterà - in discussione la supremazia politica del

partito, appare evidente come egli apra le porte nuovamente ad un più generale discorso intorno ad una modernizzazione che deve essere affrontata anche dal punto di vista culturale. Tale modernizzazione anche in ambito culturale doveva significare il superamento di un atteggiamento passivo nei confronti della modernità, favorendo un approccio maggiormente attivo, che favorisse la creazione di una modernità compiutamente cinese, e non una pura e semplice copia o importazione del modello di modernità occidentale. All’interno del programma delle quattro modernizzazioni la cultura, pur non venendo esplicitamente citata, rappresenta un contrappeso fondamentale ed è ben lungi dall’essere un aspetto laterale di secondaria importanza118.

Certamente una prospettiva ed una visione di questa portata erano destinate a scontrarsi con il blocco del potere maoista che, non a caso, vi intravvedeva una messa in discussione di molte delle politiche e delle linee ideologiche seguite fino a quel momento. Non stupisce che l’obiettivo, neppure molto celato, di molti degli slogan e delle campagne che hanno caratterizzato l’ultimo decennio maoista avessero come obiettivo Deng Xiaoping ed in generale tutta la fazione riformista di cui egli era considerato l’esponente di maggior spicco e prestigio. Una campagna ancora all’inizio del 1976 proclamava anzi apertamente: “Criticare Deng ed opporsi alla riabilitazione degli elementi di destra”. Tornato a Pechino dopo gli anni del confino durante la fase critica della Rivoluzione Culturale, egli fu costretto a mantenere un basso profilo nel corso degli ultimi anni del maoismo dominati dalla tristemente famosa fazione estremista della Banda dei Quattro ed in particolare nel corso del 1976 quando venne sospettato di essere la mente ispiratrice dell’ormai celebre incidente di Tian’anmen119. In occasione della festa dei defunti migliaia di cinesi avevano iniziato a radunarsi sulla celebre piazza per










117 Xiaomei Chen, Occidentalism: A Theory of Counter Discourse in Post-Mao China, Rowman and Littlefield, Oxford, 2002, pp. XVIII-XIX.

118
Jing Wang, High Culture Fever: Politics, Aesthetics, and Ideology in Deng's China, University of California Press, Berkeley/Los Angeles/London, 1996, 48-56.

119 Frederick C. Teiwes, Warren Sun, The First Tiananmen Incident Revisited: Elite Politics and Crisis Management at the End of the Maoist Era , in Pacific Affairs, Vol. 77, No. 2, 2004, pp. 211-235.

rendere omaggio alla memoria di Zhou Enlai, politico amatissimo per lungo tempo ministro degli esteri nonché fautore di una linea politica moderata che era riuscita in alcuni casi a stemperare gli eccessi della politica maoista. Un omaggio di tali proporzioni alla figura di Zhou Enlai venne interpretato dalla fazione al potere come una vera e propria manifestazione di opposizione che mirava a metterne in aperta discussione legittimità.

Non è dato sapere quale sia stato l’effettivo ruolo della fazione denghista nello svolgimento di tali eventi: se non ne è stato mai ammesso o comprovato un effettivo coinvolgimento – che avrebbe tra l’altro potuto costituire un pericoloso antecedente, come dimostreranno gli eventi alla fine del decennio successivo – è tuttavia indubbio come tale manifestazione di cordoglio collettivo sembrasse principalmente invocare e sostenere un cambiamento nella linea politica ed ideologica che superasse l’atmosfera di isterismo collettivo favorita dall’ala estrema del partito. La fazione denghista seppe in un certo modo interpretare questa necessità di cambiamento, dovuta tra l’altro a quello che veniva ormai visto come l’imminente tramonto del potere maoista: Mao sarebbe morto infatti nel settembre del 1976, lasciando tutt’altro che risolto il delicato problema della successione.

Il biennio tra il 1976 e il 1978, anno effettivo della presa del potere di Deng Xiaoping, rappresenta quindi una fase di transizione in cui si assiste ad una ridefinizione degli equilibri del potere, che porteranno alla definitiva estromissione degli esponenti legati all’ala estrema. Questo biennio rappresenta quindi il periodo della rivalutazione e del progressivo ritorno di Deng Xiaoping alle soglie del potere, mettendo progressivamente in ombra tutti i principali esponenti su cui si era concentrata l’attenzione nella prima fase della transizione. Strategicamente la scelta di Deng fu quella di non fare prigionieri, celebrando e giocando il proprio ritorno sul terreno di una sostanziale continuità: nella realtà dei fatti il passaggio sarebbe stato tale da segnare l’inizio di una nuova epoca120.

Il principale elemento di continuità su cui Deng Xiaoping imperniò l’intero processo di riforma era comunque il Partito Comunista al quale, pur nel mutato contesto, veniva attribuito il ruolo fondamentale di unico centro decisionale e di rappresentanza degli interessi nazionali. Il partito nella gestione del potere avrebbe dovuto progressivamente aprirsi ed inglobare gli interessi di quei ceti sociali di cui inevitabilmente la politica di apertura e riforme avrebbe favorito l’emergere, accanto ovviamente ai tradizionali gruppi tra i quali l’esercito continuava ancora a svolgere un ruolo fondamentale. Pur criticando ufficialmente la Rivoluzione Culturale e il culto della personalità maoista, Deng si guardò bene dal ridimensionare la memoria e l’importanza di Mao quale padre fondatore della Repubblica Popolare Cinese, cercando di presentare la propria politica in un’ottica di continuità, quasi si trattasse di un naturale compimento e completamento di un percorso iniziato con il Grande Timoniere appunto121.

Nel 1978 quindi l’ascesa al potere di Deng Xiaoping comportò un netto riorientamento degli interessi e










120 Dorothy Grouse Fontana, Background to the Fall of Hua Guofeng, in Asian Survey, Vol. 22, No. 3, 1982, pp. 237-260.

delle priorità della Cina, sia in campo interno ed internazionale. Nel 1979 venero allacciate per la prima relazioni diplomatiche con gli Stati Uniti e, a seguire, con tutti i paesi del blocco occidentale. Nella stessa area asiatica la Cina si presentava con un nuovo ruolo, non più legato esclusivamente alla visione dell’internazionalismo marxista e alla necessità di diffondere la propria ideologia. Già nel 1978 nel corso di una visita a Singapore era emersa questa nuova dimensione di una Cina che rinunciava ad espandersi ideologicamente, senza però che questo significasse la rinuncia ad espandersi culturalmente, riallacciando in primo luogo i contatti con le comunità cinesi all’estero (e nel Sudest asiatico in modo particolare), volutamente dimenticate e separate dalla madrepatria in epoca maoista in nome della purezza ideologica. Ad esse anzi Deng Xiaoping affidò il compito di portare i primi finanziamenti in una madrepatria che, per la realizzazione dell’ambizioso progetto delle “Quattro Modernizzazioni”, aveva bisogno di attrarre un imponente flusso di investimenti122.

Del profondo impatto geografico delle riforme di Deng Xiaoping si parlerà dettagliatamente nella successiva sezione, vale tuttavia la pena di anticipare come il generale impianto della politica denghista fosse fin da principio destinata a mutare - se non rovesciare radicalmente - molti degli assunti maoisti anche dal punto di vista territoriale.

Si può sostenere che i primi due decenni di riforma, fino alla seconda metà degli anni Novanta, abbiano visto una enorme crescita del paese proprio sulla scia della strategia economico e politica voluta da Deng Xiaoping. Si trattava di una Cina particolarmente attenta nell’implementare politiche che potessero attrarre un flusso sempre maggiore di quegli investimenti stranieri, che erano fondamentali per la realizzazione della riforme. La Cina si presenta in questa fase come un paese concentrato essenzialmente sulla propria dimensione interna, consapevole di non essere ancora nelle condizioni di esercitare un determinante ed attivo ruolo dal punto di vista internazionale. Come si vedrà in seguito la politica di riforme, nonostante l’indubbio successo, aveva favorito l’emergere di tensioni sociali e

culturali, alquanto prevedibili in un contesto di un così rapido e radicale cambiamento123: il momento

sicuramente più emblematico e drammatico in tal senso sarebbe stato il movimento studentesco sulla piazza Tian’anmen nel maggio del 1989.

Gli anni che vanno dalla salita al potere fino alla morte avvenuta nel 1997, vedono quindi Deng Xiaoping porsi ad assoluto garante del processo di riforme, che egli saprà rilanciare anche nei momenti di maggiore tensione, come nel corso dello storico viaggio nel sud del paese nel 1992, pochi anni prima della morte. Un altro punto di particolare importanza a cui rimane indissolubilmente legata la sua figura è inoltre il ritorno di Hong Kong alla Repubblica Popolare, ritorno avvenuto nel 1997, per ironia della sorte pochi mesi dopo la morte del leader a cui nel frattempo era succeduto Jiang Zemin (1926-) alla guida del partito e dello stato. Le trattative tra Gran Bretagna e Repubblica Popolare per il ritorno










122 Lawrence C. Reardon, Learning How to Open the Door: A Reassessment of China's "Opening" Strategy, in The China Quarterly, No. 155,1998, pp. 479-511.

123


Shaoguang Wang, Openess and Inequality: The Case of China, in Lowell Dittmer, Guoli Liu (Eds), China's

Deep Reform: Domestic Politics in Transition, Rowman & Littlefield, 2006, pp. 251-283.

della colonia sotto la sovranità cinese costituirono un indubbio successo per Deng Xiaoping, che potè