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Pur nel breve arco cronologico che la caratterizza, inferiore al secolo, la dinastia Yuan costituisce una tappa di grande rilevanza nello sviluppo della civiltà cinese. Per la prima volta ci si trova dinnanzi ad una dinastia di origine non cinese, mongola appunto, che partendo dal nord riesce a consolidare il proprio potere sull’intero universo cinese. Questa dinastia si presenta come una forza unificatrice proveniente dall’esterno, che inserisce l’impero cinese all’interno dello sterminato dominio della pax mongolica. Proprio per questo l’impero Yuan si presenta come un contesto culturalmente assai ricettivo, in grado di inglobare le più eterogenee tendenze. Nascono nuovi linguaggi, nuovi stili dovuti ad possibilità di movimento e contaminazione culturale sconosciute alle epoche precedenti. Anche nell’ambito quotidiano il dominio mongolo favorisce la penetrazione di nuovi elementi o la diffusione di nuove abitudini, come ad esempio la diffusione di colture agricole sconosciute fino a quel










29 Tra le maggiori personalità dell’epoca Song, a Zhu Xi si deve una generale riformulazione teorica del confucianesimo, che va generalmente sotto il nome di neo-confucianesimo. Egli fu particolarmente attivo nella re-interpretazione, in una chiave che fosse adeguata alle esigenze dell’epoca, di tutti i principali testi della tradizione confuciana. Zhu Xi, The Four Books – The Basic Teachings of The Later Confucian Tradition (Translated by Daniel K. Gardner), Hacket Publishing Company, Indianapolis/Cambridge, 2007.

momento30. Ancora oggi in Cina, a proposito dell’impero Yuan, prevalgono narrazioni che storicamente possono, ad una prima analisi, lasciare adito a qualche dubbio. Si tratta non a caso di questioni che riguardano quella che può essere definita la geografia politica dell’impero Yuan: non è chiaro se la Cina sia stata preda di conquista o essa stessa motore di conquista. Ancora oggi pressoché la totalità della manualistica scolastica utilizzata nelle scuole cinesi l dinastia Yuan come il periodo in cui la Cina avrebbe conosciuto la sua maggiore espansione, giungeno - non senza intenzionali paragoni con il presente – al rango di potenza globale. Per molti cinesi il periodo Yuan non è quindi tanto il periodo in cui la Cina sarebbe caduta sotto un dominio straniero, bensì quello in cui il resto del mondo sarebbe finito sotto il dominio cinese. Non è un caso quindi che in aggiunta agli attuali abitanti della Mongolia, anche i cinesi mirino ad appropriarsi della simbolica figura di grandi condottieri come Genghis o Khubilai Khan per giustificare una storica supremazia sull’intera area centro-asiatica. La globalizzazione ante litteram rappresentata dalla pax mongolica non sarebbe quindi che speculare alle attuali aspirazioni che la Cina vorrebbe proiettare a livello globale. Questa lettura, che potrebbe apparire una mera forzatura del dato storico con chiare finalità nazionalistiche, non sarebbe tuttavia possibile se effettivamente tutto il periodo Yuan non si presentasse come un periodo di ambivalenti e ambigue narrazioni anche dal punto di vista geografico e culturale. I mongoli crearono in fatti in Cina una sorta di doppio binario culturale, che prevedeva da un lato un profondo processo di sinizzazione e dall’altro una netta separazione dell’elemento etnico mongolo rispetto alla componente cinese han. Per poter estendere, consolidare e far accettare il proprio dominio sul territorio cinese - ed in particolar modo su quella porzione che aveva fatto parte del dominio dei Song meridionali - i mongoli furono costretti alla sinizzazione, adottando usi e costumi delle classi dominanti confuciane, cercando in primis di inglobare e guadagnarsi il favore di quella classe confuciana che in tutti i modi avversava il potere instaurato dai barbari. I sovrani Yuan compresero la necessità di presentarsi all’interno del cosmo cinese secondo la figura dei tradizionali imperatori cinesi, seguendo le imposizioni e le gerarchie proprie dell’universo culturale cinese. Soltanto in questo modo essi poterono essere accettati all’interno dell’universo cinese. Un esempio assai interessante da questo punto di vista è rappresentato dalla fondazione di Pechino, città che proprio sotto il dominio mongolo viene per la prima volta elevata al rango di capitale i tutto l’impero. Come ben testimoniano approfonditi studi l’accettazione della nuova e periferica capitale avvenne in larga parte perché i fondatori seppero riprendere in essa – promuovendola conseguentemente all’interno dell’universo cinese – l’immagine di Hangzhou, la capitale Song dalla mitica bellezza. Ancora oggi una semplice passeggiata nel parco di Beihai a Pechino consente di vedere come un paesaggio tipico della Cina meridionale sia stato volutamente e strategicamente posto al centro di una periferica e continentale capitale: tale infatti, ieri ancor più di oggi, doveva essere apparire tale città antica città che doveva rappresentare la nuova visione imperiale










della dinastia31. Accanto a questa sinizzazione persisteva tuttavia la tradizione più genuinamente mongola, gelosamente conservata proprio per evitare il totale assorbimento e assimilamento rispetto alla maggioranza han. Accanto alla ritualità confuciana coesistevano le tradizionali cacce mongole, accanto ai padiglioni della antica città proibita stavano le jurte in cui l’imperatore era solito trascorrere il proprio tempo secondo l’usanza mongola. La stessa capitale a Pechino non era che una capitale temporanea visto che, anche geograficamente, la corte oscillava tra la presenza nella spazialità cinese e quella presso le praterie mongole, al di fuori quindi dei limiti dell’universo propriamente cinese. Questo spiega in larga parte l’ambivalente rapporto della classe confuciana con il potere mongolo, nei confronti del quale i confuciani nutrirono una sorta di distacco, nonostante proprio ad essi fosse stata affidato il fondamentale compito di garantire il funzionamento della complessa macchina istituzionale dell’impero. Altri furono inoltre gli strumenti a cui fecero ricorso i mongoli per istituire e giustificare un’ideologia e un potere universale sulla Cina. Uno di questi fu senza dubbio il supporto dato al buddhismo, soprattutto in versioni come quello tantrico di origine tibetana che, pur non particolarmente diffuse in ambito cinese, finirono col godere di un’ampio sostegno governativo. Analoghi fenomeni si erano già verificati in alcune occasioni nel caso delle dinastie settentrionali di origine barbara, tuttavia fu per la prima nel corso della dinastia Yuan che l’imperatore si presentò nelle vesti universalistiche del bodhisatva buddhista. Sono storicamente noti infatti gli strettissimi legami tra il potere mongolo e la casta sacerdotale tibetana, che finì con l’attribuire una sorta di investitura religiosa alla figura di quell’imperatore cinese. Quest’ultimo si trovava quindi ad esercitare, in misura assai diversa rispetto alle dinastie precedenti, un potere su un territorio che oltrepassava i tradizionali limiti geografici dell’impero cinese, ampliando nel contempo la sfera dell’universalismo cinese32.

Questo è un punto di fondamentale importanza, a partire dal quale la stessa percezione territoriale e le basi ideologiche dell’impero cinese cambiano in misura sostanziale. È infatti proprio in virtù di un potere e di un’autorità imperiale così concepita che aree come il Tibet sono entrate a far parte dell’universo cinese, in un complesso intreccio di motivazioni politico, culturali e territoriali. Come si può notare, pur in una limitata durata temporale rispetto ad alcune delle precedenti dinastie, gli Yuan sono riusciti a modificare in maniera assai profonda la visione imperiale cinese che da quel momento in avanti mutò in maniera profonda il baricentro del potere politico e culturale. Nelle precedenti fasi di unificazione - rappresentate dalle gloriose dinastie Qin, Han, Tang fino ai Song - le capitali erano sempre state collocate in una posizione, anche a livello geografico, a tutti gli effetti centrale rispetto all’estensione del dominio territoriale: basta citare il solo esempio della capitale Tang, Chang’an effettivamente posta al centro dell’impero. A partire dagli Yuan in avanti, la centralità dell’Impero di Mezzo sarebbe stata rappresentata ed incarnata invece da una capitale periferica: segno di una










31 Stefano Cammelli, Storia di Pechino e di come divenne capitale della Cina, Il Mulino Bologna, 2004, pp. 169-226.

particolare attenzione, se non di un timore particolare, nei confronti di quanto avveniva al di fuori della vulnerabile frontiera continentale cinese33.

Già nei primi decenni successivi alla presa del potere, il dominio Yuan iniziò ad essere duramente minato da lotte intestine che ne indebolirono la coesione e l’efficienza a livello territoriale. Questa inefficienza si tradusse in frequenti carestie e inondazioni, dovute all’abbandono dei progetti di manutenzione delle fondamentali opere di ingegneria idrica: segni evidenti, secondo la visione cinese, di un mandato celeste in crisi di credibilità. Le rivolte che, con sempre maggiore frequenza ed a partire dalla seconda metà del XIV secolo, coinvolsero pressoché tutte le aree dell’immenso impero, favorirono l’emergere di un nuovo nucleo di potere che, con un proprio esercito occupò nel 1368 la capitale Yuan, l’odierna Pechino, decretando la nascita di un nuovo ciclo dinastico. Per sottolineare - nell’ottica storiografica cinese, di stampo eminentemente confuciano – il superamento del buio rappresentato dal dominio mongolo, la nuova dinastia prese il nome di Ming (letteralmente “luminosa”)34.

La dinastia Ming (1368-1644) fece dalla restaurazione del dominio han sull’universo cinese uno dei punti cardine su cui impostare la presa e il mantenimento del proprio potere: il caso ha curiosamente voluto che essa sia stata l’ultima dinastia cinese alla guida dell’impero, prima di lasciare il campo alla dinastia mancese dei Qing con cui si sarebbe conclusa la storia imperiale. Al di là della comprensibile ideologica separazione che i governanti Ming volevano sottolineare rispetto al precedente governo mongolo non han, l’impero Ming dimostra chiaramente di aver fatto propria una visione politica, geografica e culturale che sarebbe sta impensabile senza l’intermezzo mongolo. Certo la presa del potere avvenne attraverso un nuovo processo di riformulazione di quel concetto di centralità tanto caro alla tradizione cinese. Tanto la politica quanto la cultura Ming sono impegnate nel ridare alla Cina un centro politico ed una stabilità, seguendo una direzionalità che era evidentemente alternativa e contraria rispetto a quella prevalente durante il periodo Yuan. Il potere delle dinastie settentrionali, incluso il dominio mongolo, traeva la propria origine all’esterno dell’universo cinese, seguendo una direzione che potremmo semplicisticamente definire da nord verso sud: in questo modo infatti il potere Yuan era dilagato sull’intero territorio cinese ponendo fine alle dinastie meridionali. La presa del potere e il consolidamento della dinastia Ming dimostrarono invece una direzionalità opposta rispetto a quella precedentemente descritta: da su verso nord. Questo dimostra come il potere si sia ricostituito nelle zone tradizionalmente e strategicamente centrali del potere cinese, per poi allargarsi e consolidarsi verso quelle che erano le zone periferiche. Non è quindi un caso che Hongwu, il primo imperatore Ming, non abbia nel 1368 scelto come capitale del nuovo impero la Pechino mongola,










33 Thomas J. Barfield, The Perilous Frontier, Nomadic Empires and China, 221 BC to AD 1757, Blackwell Publishers, Cambridge, 1989, pp. 187-229.

34 Per un’analisi approfondita dell’affermazione del potere Ming, quale restaurazione confuciana autenticamente cinese, si rimanda a John W. Dardess, Confucianism and Autocracy – Professional Elites in the Founding of the Ming Dynasty, University of California Press, Berkeley, 1983, pp. 85-130. Si tratta di temi non del tutto estranei al dibattito politico ed ideologico della Cina odierna.

optando piuttosto per la più meridionale Nanchino, geograficamente più vicina al centro della civiltà cinese. Il rapporto ormai sempre più complesso dell’impero con le proprie periferie, il cui controllo appariva tuttavia fondamentale per la stabilità del sistema politico anche a livello interno, indusse ben presto i regnanti Ming a mutare d’avviso, scegliendo anch’essi come capitale e ideale centro del potere la precedente capitale Yuan, che venne per l’occasione rifondata e ricostruita tuttavia con criteri che dovevano incarnare il nuovo ordine cinese. Secondo una sensibilità che può essere definita geopolitica ante litteram, appare evidente come la difesa e il controllo delle potenziali fonti di instabilità provenienti dalla frontiera nord-orientale fosse considerata di fondamentale importanza per la stabilità del potere centrale Ming, per quanto interamente han35. La scelta quindi di spostare la capitale dalla più meridionale Nanchino all’attuale Pechino aveva il carattere della necessità, dovendo garantire il controllo cinese su un’estensione territoriale che oltrepassava gli ormai tradizionali limiti della Cina propria. La sopravvivenza delle dinastie cinesi è legata non solo ad una stabilità all’interno dell’universo cinese, bensì a rischi e fattori che possono profilarsi dall’esterno.

Questo fattore fa sì che, dal punto di vista ufficiale, vi sia un indubbio approccio continentale e per certi versi heartlandico nella geografia politica dell’impero Ming. La realtà tuttavia si dimostra assai più complessa e variegata nelle proprie narrazioni, a testimonianza di un periodo aperto a grandi cambiamenti ed aperture verso l’esterno.

Dal punto di vista delle relazioni con il mondo esterno, una Cina nuovamente unita e centralizzata, riprende la tradizionale visione dei cerchi concentrici, istituendo ancora una volta le tradizionali ambascerie del dono e del tributo, tramite le quali i paesi limitrofi riconoscevano di fatto la supremazia culturale e politica cinese nell’ambito regionale. Numerosi studi hanno dimostrato tuttavia come questo tipo di relazioni riflettessero anche una grande vivacità nei rapporti commerciali. In particolar modo la fascia costiera della Cina meridionale divenne in epoca Ming un fondamentale punto di diffusione delle merci e della cultura cinese in larga parte del sudest asiatico, come testimoniano ancora oggi i ritrovamenti di resti di vasellame Ming sparsi in tutto il bacino dell’Oceano Indiano36. Se la visione confuciana esaltava quindi le narrazioni terrestri, relegando l’immaginario marittimo in una posizione secondaria, un’analisi più approfondita non può che rivelare una realtà ben diversa: quella di una Cina che intraprende la via del mare, lanciando uno sguardo oltre il limite della propria frontiera marttima. A differenza di quanto stava per avvenire in Occidente, questa sorta di esplorazione non assunse in Cina i caratteri di una vera e propria strategia di stato, rimanendo spesso affidata alla gestione di poteri e di comunità locali, che stavano proprio allora gettando le basi di quel fenomeno dei cinesi d’oltremare che è ancora oggi fondamentale per comprendere l’impatto globale della strategia










35 Alastair Iain Johnston, Cultural Realism: Strategic Culture and Grand Strategy in Chinese History, Princeton University Press, 1995, pp. 175-240.

36 Gang Deng, Maritime Sector, Institution and Sea Power in Pre-modern China, Greenwwod Press, 1999, pp. 163-220.

culturale cinese37. Il mare è importante ma, nella tradizionale e ufficiale cinese, è sulla solidità della terra che si misurano le gerarchie e i rapporti di forza.

Non mancano interessanti eccezioni a questa visione tra le quali, proprio in epoca Ming, spicca la figura di dell’ammiraglio Zheng He (1371-1435) che, non a caso, sta conoscendo uno straordinario e rinnovato interesse nelle narrazioni cinesi contemporanee. Eunuco, mussulmano in servizio alla corte imperiale Ming, Zheng He compì - nell’arco di anni che vanno dal 1405 al 1433 - tutta una serie di spedizioni nel sudest asiatico a capo di una imponente flotta cinese, andando dall’Asia meridionale fino alle coste dell’Africa. Espressamente volute da Yongle (1360-1424), forse il più autorevole imperatore della dinastia nonché uno dei più celebri dell’intera storia cinese, le spedizioni di Zhenghe avevano espressamente il compito di affermare la supremazia regionale cinese sull’intero scenario asiatico. Esse infatti si muovevano lungo rotte da lungo tempo percorse dai mercanti di origine cinese, verso cui il potere imperiale intendeva ora rivolgere una sorta di interesse strategico. Tali spedizioni sono inoltre passate alla storia per la loro imponenza, se si pensa che i cantieri navali imperiali di Nanchino furono per anni impegnati nella costruzione di migliaia di navi dalle dimensioni tutt’altro che ridotte. Molto celebri sono ancora oggi in Cina le carte che Zheng He e il suo staff eseguirono nel corso delle sopra citate spedizioni, con molta probabilità le prime autentiche testimonianze circa l’esistenza di un approccio cartografico cinese38. Nella storia cinese infatti la scrittura aveva sempre privilegiato, anche dal punto di vista della legittimazione del potere, altre forme di grafia, soprattutto grazie al ricorso alla simbologia e all’astrazione dei caratteri propri della scrittura cinese.

È senz’altro interessante notare come nella Cina contemporanea, sempre più interessata a vedere riconosciuti anche il proprio status e le proprie aspirazioni di potenza marittima, la figura di Zheng He sia oggetto di un grande interesse e di una grande rivalutazione sia in ambito accademico che per quanto riguarda quella che potrebbe essere definita la cultura popolare.

La storiografia occidentale non ha, in più occasioni, mancato di sottolineare come a queste aspirazioni marittime da parte della potenza imperiale cinese non abbia fatto seguito una efficace politica e presenza d’oltremare, almeno paragonabile a quella delle potenze occidentali, ormai prossime ad affacciarsi coi propri vascelli proprio sui mari dell’Estremo Oriente. In modo particolare la stessa dinastia Ming avrebbe abbandonato questa politica di attenzione per il mare, grazie a quella che sarebbe passata alla storia come la haiijin 海禁, con cui di fatto molte delle attività marinare della costa venivano messe al bando.39 Fatto quest’ultimo che non riuscì ovviamente ad interrompere la










37 Sul ruolo non ufficiale dell’immagiario geografico costiero cinese e sulla sua importanza nella attuale percezione geografica cinese, si rimanda a Carolyn Cartier, Globalizing South China, Blackwell, Oxford, 2001, pp. 72-105.

38 Edward L. Dreyer, China and the Oceans in Early Ming Dynasty, Pearson Longman, 2007.

39 Lo haijin 海禁 è passato alla storia come il segnale del definitivo abbandono da parte dell’impero cinese dell’interesse e di una strategia marittima. Reiterato più volte nel corso delle ultime dinastie Ming e Qing, lo haijin prevedeva il divieto ufficiale di solcare l’oceano con navi commerciali, difatto mettendo ufficialmente al bando le attività economiche sulla costa. Tale bando venne ripetuto più volte a partire dal 1368 fino alla fine del XVIII secolo. Tale iterazione è segno, proabilmente, della impossibilità di mettere in pratica un divieto tanto

vitalità mercantilistica delle aree costiere, relegandole tuttavia nell’immaginario geografico ufficiale alla stregua di una dimenticata periferia.

La Cina Ming si presenta quindi come una grande potenza regionale in grado di esercitare un fondamentale grado di attrazione, anche in virtù di un’indubbia ed efficace rielaborazione dell’ideologia imperiale che si traduce ancora una volta in un rafforzamento e in un aggiornamento dell’ideologia confuciana, questa volta attraverso le teorizzazioni neoconfuciane di Wang Yangming (1472-1529). È interessante notare come la riaffermazione del centralismo imperiale sia ancora una volta stata riaccompagnata da una riformulazione dell’ideologia confuciana, che ha reimpostato la proiezione cinese sia a livello interno che esterno. Questo è un punto che consente di lanciare una luce interessante anche sul dibattito in atto nella Cina attuale, dove ancora una volta il confucianesimo viene riutilizzato quale cornice per un riposizionamento sulla scena globale.

La Cina Ming è quindi un periodo di grande rinnovamento e di affermazione di una visione imperiale che si vuole presentare come autenticamente cinese, ma è anche il periodo in cui per la prima volta avviene un diretto confronto con l’Occidente, su delle basi che possono essere considerate di sostanziale parità e ben prima della decadenza dei secoli successivi.

La seconda metà del dominio imperiale Ming fu infatti caratterizzata dalle prime occasioni di incontro con la cultura e la presenza degli occidentali che, anche sulle coste cinesi, stavano tentando di stabilire nei propri empori proficue relazioni commerciali. A partire dalla seconda metà del XVI secolo una delle caratteristiche principali della presenza occidentale fu la creazione di missioni, in particolar modo