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FONDAMENTI E PROIEZIONI IDEOLOGICHE E CULTURALI DEL NUOVO ORDINE CINESE: ARMONIA, ORDINE ED ASCESA PACIFICA

2.3 Geografie della riforma

Il percorso di riforme avviato alla fine degli anni Settanta ha profondamente modificato la geografia interna della Repubblica Popolare Cinese, portando a nuove forme di orientamento e di equilibrio a livello interno. Si può infatti dire che la strategia seguita da Deng Xiaoping sia stata una strategia fortemente consapevole del forte impatto geografico che essa avrebbe avuto sia a livello interno che internazionale. Ad oltre trent’anni dall’inizio del gaige kaifang 改革开放, risulta evidente come l’obiettivo delle ormai celebri quattro modernizzazioni non si limitasse al puro e semplice raggiungimento degli obiettivi esplicitamente enunciati nelle massime di Deng. L’obiettivo risultava, senza dubbio, di assai più largo respiro, essendo concepito come un percorso a tappe che avrebbe dovuto ridare alla Cina una adeguata posizione sulla scena internazionale, riuscendo finalmente a realizzare in maniera compiuta l’innesto tra la cultura cinese e la modernità.

La scelta denghista di voltare pagina rispetto all’epoca maoista implicava infatti la chiara volontà rovesciare radicalmente, anche dal punto di vista geografico, gli assiomi della narrazione maoista improntata, come ampiamente sottolineato, su una visione fortemente continentale della potenza cinese. Durante la guerra civile e la resistenza anti-giapponese il punto forte della strategia e della resistenza maoista era stato appunto quello di fare affidamento sull’immensità continentale del paese,










124 Circa il valore simbolico rappresentato da Hong Kong nella rielaborazione dell’immaginario nazionale cinese contemporaneo si rimanda a Gordon Mathews, Dale Lü, Jiewei Ma, Hong Kong, China: learning to belong to a nation, Routledge, London/New York, 2008, pp. 1-21.

prendendo le dovute distanze, anche dal punto di vista ideologico, dalla zona costiera, considerata irrimediabilmente compromessa con le pratiche capitalistiche. La nascita della nuova Cina non avrebbe quindi potuto che essere affidata alle straordinarie risorse umane e materiali delle aree rurali, autentico zoccolo duro della tradizione cinese in contrasto con lo stile, cosmopolita e decadente, in auge su vaste aree della fascia costiera. A livello interno tutta la propaganda e la narrazione geografica maoista è impegnata in questa celebrazione della continentalità cinese, che si mescola inoltre con una generale celebrazione dello spirito e della vita rurale in contrapposizione con lo stile di vita urbano126. I modelli universalmente noti all’epoca erano “imparare da Dazhai” oppure “imparare da Daqing”, in un chiaro

tentativo di elevare ad esempio quella Cina periferica quanto mai lontana dallo sviluppo urbano127. Il

tentativo di Mao era quindi quello di limitare al massimo l’influsso culturale della città, portando ad esempio e a modello l’esperienza rurale: questo spiega ad esempio la grande attenzione che, in generale, tutti i movimenti di massa lanciati dal maoismo avevano per la realtà rurale, vista come unica ed autentica fonte di formazione. Da qui la scelta di inviare forzatamente in campagna “ad imparare dai contadini” gli esponenti della dissidenza e coloro che erano giudicati come esponenti di una borghesia urbana e, in quanto tali, considerati ostili alla linea politica maoista. In particolare, con la rivoluzione culturale e con la chiusura delle università negli anni di maggiore scontro ideologico, milioni di studenti e di quadri, più o meno giovani, erano stati spediti ad imparare dai contadini fin nelle più remote aree del paese. La città andava del tutto epurata dalle pericolose tendenze borghesi che si potevano annidare o sviluppare al suo interno ed andava trasformata, nella migliore delle impotesi, in una sorta di enorme fabbrica, anche al costo di modificarne e deturparne secolari equilibri e paesaggi. Da qui la demolizione delle vecchie mura, la realizzazione di stabilimenti produttivi e fabbriche all’interno di templi o antiche residenze, proprio per segnare concretamente il passaggio dalla città borghese a quella maoista.

All’interno di questa visione, anche gli equilibri geografici all’interno del paese erano sostanzialmente più favorevoli alle zone più centrali, corrispondenti al tradizionale bacino della Cina propria. Proprio in queste aree il governo aveva promosso la realizzazione di strategici impianti produttivi, ovviamente a gestione statale. La zona costiera era stata volutamente lasciata in disparte, o comunque non adeguatamente valorizzata, a dispetto di una posizione strategicamente vantaggiosa dal punto di vista commerciale, come stavano del resto ad indicare i segni della forte presenza occidentale fino alla metà










126 Quella proposta da mao è stata spesso definita una forma di radicalismo agrario, non privo di contraddizioni ed esiti disastrosi dal punto di vista pratico, come la tristemente celebre carestia che fece seguito al Grande Balzo in Avanti. Per una approfondita analisi della politica agraria maoista nella fare successiva alla fondazione della Repubblica Popolare si rimanda a David Zweig, Agrarian radicalism in China, 1968-1981, Harvard University Press, 1989, pp. 16-31.

127 Nongye xue Dazhai 农业学大寨 (nell’agricoltura imparare da Dazhai),e gongye xue Daqing 工业学大庆 (nell’industria imparare da Daqing) sono stati celeberrimi della propaganda maoista. Dazhai era un piccolo centro nella Cina settentrionale citato ad esempio per la produzione agricola; Daqing una cittadina del nordest della Cina, fondata negli anni Cinquanta in una zona ricca di risorse petrolifere. Nella Cina proiettata verso la costa dello sviluppo post riforme un richiamo a realtà continentali di questo genere sarebbe pressoché impensabile.


del XX secolo. La scelta di Mao fu, volutamente, quella di lasciare in secondo piano tutta la fascia costiera, colpevole da un lato di aver ceduto alle lusinghe del capitalismo occidentale e, dall’altro, di disporre ancora di una fittissima rete (in alcuni casi secolare) di contatti transnazionali con le comunità di huaren 华人 (cinesi d’oltremare), anche quest’ultimi percepiti come ideologicamente avversi al regime di Pechino.

Pur sapientemente confezionata nel nome della continuità, la politica denghista rivoluziona in maniera pressoché totale la visione maoista, riprendendo volutamente un percorso che per molti versi era stato bruscamente interrotto nei tre decenni precedenti. La prima sfida o scelta critica di Deng Xiaoping infatti fu non solo quella di favorire questa politica di apertura e riforma, ma soprattutto quella di dare ad essa un chiaro connotato territoriale, ancorandola di fatto anche geograficamente ad una specifica realtà territoriale. La strategia iniziale fu di mettere in pratica questa apertura in aree sperimentali ed apparentemente periferiche: apparentemente in quanto tale era la percezione geografica prevalente secondo l’ottica maoista. La scelta di Deng fu infatti quella di aprire alcuni Zone Economiche Speciali (ZES o, in cinese, jingji tequ 经济特区) sulla costa cinese meridionale. In tali zone si sarebbe potuto i mettere in pratica un modello di sviluppo che tenesse conto degli obiettivi delle “Quattro Modernizzazioni”128.

Fu nel corso dell’undicesimo congresso del Partito Comunista Cinese tenutesi nel 1978 che venne ufficialmente lanciato il programma di riforma economica, un programma che sarebbe definito più nello specifico nel corso dei primi anni Ottanta. Una delle prime strategiche scelte fu quella di concentrare l’esperimento delle riforme in alcune aree particolari, senza toccare o compromettere fin dall’inizio tutta una serie di complicati equilibri interni. La scelta di aprire le ZES era quindi all’inizio fortemente ispirata ad una grande cautela, senza per questo rinunciare ad una visione che rivoluzionava il tradizionale equilibrio geografico maoista: Deng riteneva infatti che per poter agganciare lo sviluppo e la modernità fosse indispensabile per la Repubblica Popolare Cinese riconcentrare l’interesse sulla fascia costiera: proprio quell’area che aveva rappresentato la membrana, il punto di incontro tra Cina ed Occidente, tra cultura cinese e modernità129. La zona costiera era stata relegata ad area sostanzialmente periferica nel corso del maoismo, che anzi vedeva in essa il luogo da cui il capitalismo aveva – e avrebbe anche in seguito – tentato di prendere il controllo sull’intero paese. Proprio per questo la narrazione geografica maoista aveva sempre privilegiato altre aree del paese, lasciando particolarmente in secondo piano le un tempo fiorenti città della costa, in cui si erano a suo tempo insediati gli interessi mercantili occidentali, in uno stato di sostanziale abbandono130. Per svariati decenni le regioni costiere della Cina non avevano conosciuto investimenti o adeguamenti dal punto di










128 Dali Yang, Patterns of China's Regional Development Strategy, in The China Quarterly, No. 122, 1990, pp. 230-257.

129 Cartier Carolyn, Globalizing South China, Blackwell, Oxford, 2001, pp. 106-141.

130 Friedman Edward, Reconstructing China’s National Identity: A Southern Alternative to Mao–Era Anti-Imperialist Nationalism, in Journal of Asian Studies, 53(1), 1994, pp.67-91.

vista strutturale, in nome di una politica che, ideologicamente, aveva preferito concentrare le risorse in altre aree del paese. La stessa Shanghai che da sempre poteva essere considerata il principale centro urbano dell’intera fascia costiera, era stata bollata ed avversata da Mao con l’epiteto di “prostituta d’oriente”.

La scelta denghista di aprire la prima delle ZES a Shenzhen, nella meridionale provincia del Guangdong, lanciava quindi un chiaro messaggio circa il fatto che gli equilibri e gli orientamenti interni stavano per subire un mutamento di portata storica. Shenzhen era infatti, agli inizi degli anni Ottanta, una piccola cittadina a ridosso del confine tra Repubblica Popolare e i new terrotories di Hong Kong. La posizione era indubbiamente strategica: era a ridosso di un centro di primaria importanza della finanza internazionale, che avrebbe costituito quindi una fonte importante di investimenti per lo sviluppo di un adeguato sistema infrastrutturale; si trovava inoltre in una posizione che avrebbe favorito la nascita di un imponente hub portuale, che sarebbe diventato uno dei principali di tutta la fascia costiera cinese. L’esperimento denghista puntava sul riconoscimento di tutta una serie di notevoli vantaggi fiscali ed economici per quegli investitori stranieri che avessero voluto investire e realizzare impianti produttivi nell’area in questione. Evidente era, in questa prima fase, il richiamo ed il tentativo di riallacciare i contatti con i capitali delle comunità cinesi all’estero, molto spesso originarie proprio delle province in cui venivano lanciati i vari esperimenti delle ZES. A questi investimenti si aggiunsero nel corso dei decenni strategici investimenti provenienti da tutti principali attori internazionali, facendo della zona costiera cinese la cosiddetta global factory. Il successo della politica denghista può essere misurato anche utilizzando il parametro dell’impatto territoriale sulle varie aree toccate dalla riforma. Nell’arco di pochi anni la città di Shenzhen, che fece da apripista tra le varie ZES, passò da poche decine di migliaia di abitanti all’inizio degli anni Ottanta ai circa nove milioni attuali. La città è tuttora una delle più ricche e sviluppate città cinesi, sede del primo Stock Exchange cinese, ormai sempre più fortemente integrata nel complesso sistema urbano gravitante intorno ad Hong Kong, che nel frattempo è tornata sotto la sovranità cinese.

La meridionale provincia del Guangdong ha rappresentato sicuramente la provincia maggiormente toccata dalla rifoma: subito dopo Shenzhen, venne decisa l’apertura di altre ZES sempre nell’area del Guangdong, in particolare nell’area di Zhuhai e Shantou, in quello che viene oggi generalmente designato con il nome di delta del Zhujiang (Fiume delle Perle). Anche tutta questa zona sarebbe diventata nel corso dei decenni un’area strategica per la cosiddetta delocalizzazione del sistema produttivo di molte imprese occidentali, diventando uno dei centri principali di produzione di quel Made in China destinato ad invadere i mercati globali. Molti sono stati gli studi dedicati a quest’area del Guangdong, che ha assunto delle caratteristiche, per certi versi non dissimili, rispetto ai cosiddetti distretti produttivi riscontrabili in vaste aree dei paesi ad economia sviluppata, non da ultimo in Italia131. Il successo della riforma in questa parte della Cina fu dovuto in primo luogo ad una posizione










131 Per uno studio sul delta del Fiume delle Perle si rimanda a Yue-man Yeung, Jianfa Shen (Eds), The Pan-Pearl River Delta: an Emerging Regional Economy in a Globalizing China, Chinese University Press, Hong Kong,

particolarmente favorevole anche dal punto di vista dei flussi della logistica propri del mercato internazionale, unitamente alla possibilità delle aziende cinesi e joint ventures occidentali di disporre di trattamenti fiscali particolarmente favorevoli, a fronte di una forza lavoro pressoché illimitata e dal costo assai contenuto.

Oltre al Guandong l’esperimento delle ZES è stato progressivamente esteso ad altre zone del paese. Un’altra delle prime ZES venne creata, sempre sulla costa, nella provincia del Fujian, precisamente nella città di Xiamen. Questa città era stata per secoli un attivo e fiorente centro di attività commerciali e marittime, divenendo nel corso del XIX e del XX secolo un’importante città sede di concessioni straniere, ancora oggi chiaramente visibili nello stile coloniale di alcuni degli edifici cittadini. Anche in questo caso la scelta appare non casuale e senz’altro caratterizzata anche da implicazioni di natura simbolica. Xiamen è localizzata infatti su quella porzione di costa cinese che si trova di fronte all’isola ribelle di Taiwan, con cui in generale l’intera costa del Fujian ha da sempre intrattenuto fervidi rapporti commerciali e culturali132.

Come si può notare quindi la scelta di concentrare l’esperimento riformista nelle aree appena citate rispondeva ad un criterio che andava ben oltre il puro e semplice dato economico, implicando una strategia politica e culturale che sarebbe divenuta via via più chiara nel corso dei decenni successivi. Le prime ZES erano non a caso sorte proprio a ridosso di tre aree geografiche particolari, considerate parte integrante della Cina ma sottratte – seppur in modo diverso – al diretto controllo di Pechino: Shenzhen a ridosso di Hong Kong, Shantou a ridosso di Macao e Xiamen di fronte all’isola di Taiwan. Questa scelta implicava necessariamente un riorientamento anche ideologico della politica cinese rispetto alla questione dell’alterità politica ed economica di queste specifiche aree, concepite però non più in termini puramente ostili ed alternativi rispetto al governo di Pechino. Ulteriore segnale di una rinnovata strategia geografica fu la scelta di decretare l’intera isola di Hainan nel Mar della Cina Meridionale - estrema provincia meridionale della Repubblica Popolare Cinese – zona economica speciale. L’isola rappresenta ancora oggi un punto dalla fondamentale e strategica importanza per la Repubblica Popolare Cinese, comprendendo alcuni arcipelaghi il cui possesso è contestato tra Repubblica Popolare, Vietnam e la stessa Taiwan. Questo ha portato alla nascita della cosiddetta questione del Mar Cinese Meridionale, una questione oggi di particolare rilevanza ed attualità vista la chiara volontà cinese di proiettare il proprio potere e la propria influenza sull’intera area del Sudest asiatico133. Anche la scelta di Hainan appare quindi un segnale evidente di un progressivo cambiamento di prospettiva,










2008. Sulla ridefinizione degli equilibri geografici nei primi due decenni della post riforme si veda Dali L. Yang, Beyond Beijing: liberalization and the regions in China, Routledge, London/New York, 1997.

132 Fondamentale è stato il ruolo svolto dalla città di Xiamen, e dalla provincia del Fujian in generale, nella creazione di una secolare rete commerciale e di immigrazione con tutta l’area del Sudest asiatico, definita dagli studiosi the Amoy network (dal nome attribuito alla città dai mercanti europei). Si può sostenere che la Cina post riforme abbia ampiamente riattivato questa rete di contatti per favorire sviluppo, investimenti e relazioni transnazionali sulla costa. Si veda Chin-Keong Ng, Trade and Society, the Amoy Network on the China Coast, 1683-1735, Singapore University Press, Singapore, 1983.

133 Tamara Renee Shie, Rising Chinese Influence in the South Pacific: Beijing's "Island Fever", in Asian Survey, Vol. 47, No. 2, 2007, pp. 307-326.

che ha portato progressivamente ad un riavvicinamento al mare ed alla liquidità propria dell’Asia meridionale, a dispetto del pilastro della continentalità su cui aveva fatto perno la narrazione geografica maoista.

Per molto tempo la visione riformista propria del denghismo era stata valutata e celebrata soprattutto tenendo conto della rilevanza del dato economico consistente essenzialmente nella realizzazione del seppur ambizioso progetto delle “Quattro Modernizzazioni”: ad oltre tre decenni di distanza tuttavia appare evidente, fin dalle prime scelte effettuate, come la strategia denghista fosse sorretta anche da una visione di lungo periodo dalle evidenti implicazioni anche dal punto di vista culturale. L’attuale strategia culturale cinese non fa altro che sottolineare e rafforzare l’orientamento geografico che era in nuce già riscontrabile nella scelta delle prime ZES: Hong Kong/Shenzhen, ossia il mercato e la finanza internazionale; Xiamen/Taiwan, ossia il rapporto con la Cina al di fuori della Repubblica Popolare, nel nome appunto della Cina unica ed indivisibile; Hainan/ Sudest asiatico, nel nome di una Repubblica Popolare che aspira sempre più a porsi come fondamentale pilastro della sicurezza e degli equilibri regionali.

Dopo l’apertura delle prime ZES è interessante notare come vi sia stata una progressiva espansione anche dal punto di vista geografico della politica delle riforme, un’espansione che ha indubbiamente contribuito definire i contorni di quella che è l’attuale Repubblica Popolare Cinese. La progressiva espansione della base geografica e territoriale della riforma riflette infatti tutte le fasi che, anche dal punto di vista ideologico e politico, hanno caratterizzato i decenni successivi al 1978. Già nel 1984 il governo decise l’apertura di altre quattordici città agli investimenti stranieri. Si trattava di centri pressoché esclusivamente concentrati sulla costa, ed in molti casi già open ports nel corso dell’epoca dei cosiddetti trattati ineguali. Seguendo la direttrice nord-sud, erano coinvolte le seguenti città: Dalian, Qinghuangdao, Tianjin, Yantai, Qingdao, Lianyungang, Nantong, Shanghai, Ningbo, Wenzhou, Fuzhou, Guangzhou e Beihai. Da questo semplice elenco è assai facile evincere come tutta la fascia costiera della Cina fosse considerata di fondamentale importanza nell’implementazione delle politiche di riforma: è evidente la volontà di creare una fascia omogenea che comprendesse l’intera fascia costiera, dalla settentrionale Dalian fino a Beihai sulla costa del Guanxi che da sul Golfo del Tonchino134. Molti dei nomi poc’anzi citati fanno riferimento, come già sottolineato, a realtà urbane e commerciali che avevano conosciuto una grandissima fioritura e sviluppo nell’ambito dei cosiddetti treaty ports: basta pensare a città come Tianjin (che ebbe tra l’altro anche una piccola concessione italiana), Qingdao o le stessa Shanghai e Guanghou (Canton). Quei legami storici e culturali con la presenza straniera che avevano caratterizzato lo sviluppo di queste, ed altre, realtà urbane non venivano quindi più considerati, dal punto di vista ideologico, una sorta di peccato originale da espiare con la marginalizzazione propria della narrazione geografica.

La progressiva implementazione della politica di riforma mirava evidentemente a creare una sorta di










134 Wei Ge, Special Economic Zones and the Economic Transition in China, World Scientific Publishing, Singapore, 1999, pp. 45-48.

cintura o fascia costiera che non si esaurisse solo ed esclusivamente alle aree immediatamente a ridosso delle ZES. In quest’ottica possono essere letti successivi passi che hanno cercato di individuare e di sistematizzare la visione della riforma in quelle che possono essere definite delle macroaree di sviluppo, secondo un criterio ancora oggi in voga e valido per chiunque si occupi dello sviluppo cinese: l’area del delta del Chang Jiang (Yang-tze) comprendente Shanghai e parte delle province del Jiangsu e del Zhejiang, il triangolo del delta del Zhujiang (Fiume delle Perle) nel Guangdong, il triangolo Xiamen-Zhuangzhou-Quanzhou nel Fujian, le province del Guangxi e dello Hebei, la penisola dello Shangdong nella Cina nordorientale.

Uno spartiacque o una cesura fondamentale nella complessa architettura riformista del 改革开放 gaige kaifang può essere individuata proprio nei pochi anni che vanno dalla fine degli anni Ottanta all’inizio anni Novanta, una fase coincidente con profonde tensioni e grandi mutamenti a livello interno ed internazionale. Il primo decennio della riforma viene in genere dipinto come un periodo della sensibilissima transizione politica al di fuori delle secche del maoismo, pur in nome tuttavia della più assoluta fedeltà al blocco di potere legato al Partito Comunista Cinese. È una fase in cui prevale