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Conoscenze tacite e conoscenze esplicite

Il termine conoscenza è difficilmente definibile con un unico con- cetto. Essa assume significati diversi a seconda del contesto, della visione culturale della mente e della limitatezza umana che non può accedere a tutte le informazioni esistenti, ed ha in qualche modo a che fare con i con- cetti di significato, di istruzione, di comunicazione, di rappresentazione, di

101 apprendimento, di stimolo mentale e culturale, di atteggiamento naturale e inconscio.

I processi di generazione di conoscenza possono essere processi di conoscenza consapevole, dichiarata, diffusa, condivisa, ma anche di cono- scenza inespressa, implicita, che esiste nella testa degli individui, che na- sce dall’esperienza, e che, come tale, si collega alla capacità di compren- sione dei contesti di azione, intuizione sensazioni che difficilmente posso- no essere comprese da chi non condivide tali esperienze.

Nell’agire sociale molti modi di operare e molte procedure sono at-

tenuati in modo meccanico e derivano dalla conoscenza tacita87. Il sogget-

to non sempre è in grado di riconoscere in modo cosciente le conoscenze,

ma in base ad essa sono compiute molte attività quotidiane88.

87 Il primo studioso che ha introdotto il termine conoscenza tacita è stato M. Polanyi, il quale

sostiene che <<noi sappiamo più di quanto sappiamo dire>> (o esprimere), tutta la conoscenza o è tacita o è basata su conoscenza tacita, le esperienze quotidiane sono occasioni in cui l’individuo sviluppa dei saperi non intenzionali, spesso inconsapevolmente. Polanyi, ritiene vi possano essere due dimensioni interdipendenti della conoscenza, una dimensione esplicita del- la conoscenza fondata anche su una dimensione tacita precedentemente interiorizzata, cfr. Po- lanyi M.,La dimensione inespressa, Roma, Armando, 1979, op.cit. interessante è anche, dal punto di vista sociologico, il contributo di A. Marradi, che propone una visione delle conoscen- ze tacite come operazioni mentali inconsce. Il sociologo trae spunto dall’esistenza di un “refe- rente”, ovvero di un possibile oggetto dei nostri pensieri più o meno tangibile. Il concetto di referente si rifà ad antecedenti come “induzione intuitiva”, “categorizzazione” per gli psicologi cognitivisti, “tipizzazione” per i sociologi e “sapere con” e “sapere prima” per i filosofi di cor- rente fenomenologica. Le conoscenze tacite sono delle operazioni mentali spesso inconsapevo- li, che permettono ad un individuo di adattarsi ad una vasta gamma di situazioni specifiche, adottando comportamenti più idonei a raggiungere i propri obiettivi, e costituiscono un patri- monio di conoscenze presente in ogni attimo della nostra esistenza (cfr. Marradi A., Il ruolo del-

la conoscenza tacita nella vita quotidiana e nella scienza, in Lazzari F., Merler A., La sociologia della solidarietà, Milano, Franco Angeli, 2003, pp.321-336).

88 Rossi P. G., Apprendimento, conoscenza tacita, identità, autovalutazione, in Id, Progettare e realizzare il portfolio, Roma, Carocci,, 2005, p.34.

102 La conoscenza può essere classificata (sulla base delle modalità di comunicazione e trasferibilità della stessa), in:

- tacita: accessibile solo direttamente attraverso l’osservazione della pratica altrui, è difficile da comunicare verbalmente e viene trasferita a volte con l’esempio e la pratica fianco a fianco e pertanto è “tacitamente” condivisa in una comunità, ha radici profonde nell’esperienza personale e collettiva, non è formalizzabile con un linguaggio (naturale o artificiale). - implicita: accessibile attraverso colloqui, interviste e riflessioni sul campo con un esperto

- esplicita: è la conoscenza storicamente accettata dalla comunità scientifica, è formalizzata, sistematica, trasferibile con linguaggio formale, duplicabile, interpretabile.

La conoscenza tacita è una definizione problematica da descrivere in maniera formalizzata, è legata al contesto di riferimento, è personale e difficile da comunicare. Al contrario, la conoscenza esplicita è quella codi- ficata, espressa secondo modalità formali e linguistiche, facilmente tra- smissibile e conservabile, esprimibile in parole e in algoritmi; questo tipo di conoscenza, però, rappresenta solo la punta dell’iceberg dell’intero cor- po della conoscenza.

Una successiva distinzione di forme di conoscenza tacita sono le cosiddette concezioni ingenue, esse sono concezioni (ma anche strategie) che il soggetto ha elaborato partendo dalla propria esperienza, dalle pro-

103 prie azioni e dalle proprie inferenze, possono anche essere non corrette e incomplete, generalmente sono tali anche le concezioni generate da errori, incidenti critici, elaborati e vissuti anche da precedenti concezioni inge- nue89.

P. Baumard 90 propone quattro diverse forme di conoscenza (rifa-

cendosi al pensiero aristotelico):

- episteme – conoscenza generalizzabile di natura astratta ed ogget- tiva, che può essere condivisa, conservata, può essere insegnata e appresa; - techne – una conoscenza applicativa di natura astratta ma anche pratica, intesa come capacità e abilità di trasferire la conoscenza epistemi- ca nella pratica e nell’azione;

- phronesis – forma di conoscenza personale e non condivisibile di natura autoriflessiva, che proviene dall’esperienza del singolo soggetto e dalla sua personale biografia;

- metis – forma di conoscenza soggettiva, di natura nascosta, effime- ra, implicita, essa è solo narrabile o intuibile.

La suddivisione aiuta a comprendere il pensiero sulle proprie cono- scenze, come il soggetto possa interpretare le proprie conoscenze tacite, esito di un sapere agito e della personale storia, attraverso percorsi rifles- sivi, auto-biografici, introspettivi, e come venga influenzato da conoscen-

89

Ivi, p.36.

90 Fontana A., Vivere in apprendimento nelle organizzazioni. Imparare da soli e con gli altri nei contesti di lavoro, Firenze,Le Monnier,2004, p.62-63.

104 ze esplicite, acquisite nel contesto in cui lo stesso soggetto agisce e da in- fluenze culturali.

Diversi sono gli studi condotti sul rapporto tra conoscenze dichia- rative e conoscenze tacite, e diverse sono le posizioni dei ricercatori: tra

questi E. Wenger91( noto studioso vicino all’orientamento socio-culturale

e situato dell’apprendimento e della conoscenza) afferma, che solo in uno specifico contesto le conoscenze possono essere suddivise in tacite ed esplicite, l’apprendimento non è costituito solo dall’esplicitazione delle conoscenze, ma può essere anche presente una conoscenza tacita ed impli- cita, non del tutto formalizzata e cosciente, esito delle azioni, delle prati- che, delle concezioni ingenue degli individui e gruppi sociali.

Assumendo la suddivisione sopra descritta, seppure consapevoli della impossibilità di distinguere oggettivamente saperi e conoscenze nella dicotomia implicito versus esplicito, informale versus formale, come an-

che sembrava suggerire Polanyi92 e come la comunità scientifica si sta

orientando, le dimensioni tacita ed esplicita della conoscenza, possono es- sere raggruppate nella categoria di un sapere pratico, elaborato da una comunità di attori sociali sulla base di risorse cognitive ed orientamenti comportamentali situati, non contrapposto distintamente da un sapere esplicito, ma costruito a partire da esso, attraverso esperienze condivise.

91

Wenger E., Communities of practice: learning, meaning and identity, Cambridge, New York, University Press, 1998.

92 Struan J., Abilità artigianale, conoscenza tacita e altri elementi della pratica, 2004, pp.77-

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Sulla stessa linea anche M. Eraut93, conclude la sua tesi, accettando

che la distinzione tra conoscenze tacite personali e conoscenze esplicite intenzionali è una distinzione superata e che sarebbe opportuno definirle saperi pratici, tralasciando la discussione scientifica sull’argomento che per lo stesso Eraut è ormai superata e naife.