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Conoscere e riconoscere: modalità del delitto e del castigo

Il pattern redentivo esplorato da Shakespeare in The Winter’s Tale (e, prima, in Pericles) e l’esperienza ‘purgatoriale’ di Leontes sembrano suffragati da un’auto-evidenza e dalla sua esplicitazione in sede critica di una trama tutt’altro che in filigrana: Tillyard parla per primo di un pattern tragico che segue l’andamento di prosperità – distruzione – rigenerazione – prospe- rità restituita di un senso più ampio di giustizia, all’interno del quale, però, la riparazione non è affidata a chi ha infranto la condizione iniziale, ossia Leontes e, collateralmente, Hermione, ma, come negli altri romances, agli eredi, Perdita e Florizel . Ernest Schanzer riprende 281

idealmente il discorso, sottolineando come il modello di letteratura di purificazione per eccel- lenza – la Divina Commedia – sia presente in The Winter’s Tale non più di quanto non sia già stato assorbito dai suoi due romances cronologicamente precedenti, Pericles e Cymbeline, e stana le simmetrie che sintetizzano in un dittico le vicende dell’opera, strutturalmente bipartito tra una prima sezione tragica e siciliana, di impronta distruttivo-invernale, e una seconda, co-

«[…] λόγῳ γὰρ ἦσαν οὐκ ἔργῳ φίλοι» (v. 339).

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Tillyard scrive, a proposito di Leontes ed Hermione, che «at the best, they mend the broken vessel of their

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fortune with glue or seccatine; and our imaginations are not in the least stirred by any future life that we can con- ceive the pair enjoying together» (Eustace Tillyard, Shakespeare’s Last Plays, op. cit., p. 42). La lettura di Til- lyard è sicuramente datata, ma ancora acuminata e senz’altro preziosa per come conduce la sua analisi delle mo- dalità in cui The Winter’s Tale affronta certe dinamiche relazionali.

mica e boema, di carattere ristorativo-primaverile : Anthony D. Nuttall parla di un dramma 282

«broken-backed», «painfully double», in cui «sixteen years elapse between the first action and the second. The violence of the division is uncomfortable, but in Shakespeare’s hands the very awkwardness of the transition becomes a source of excitement» . Dramma diviso The Win283 - ter’s Tale, ma anche dramma delle divisioni fisiche, geografiche, morali, affettive – tra Leon-

tes e Polixenes, tra Leontes ed Hermione, tra Hermione e Mamillius, tra Leontes e Perdita, tra Hermione e Perdita, tra Polixenes e suo figlio, tra Paulina e suo marito – in una struttura che riflette, nella sua consistenza anfibia, i temi affrontati sulla scena. Northrop Frye introduce, in un passo ulteriore, la dimensione della ciclicità.

[…] it is The Winter’s Tale that expresses the cyclical imagery of comedy most clearly. The “winter’s tale”, properly speaking, begins with Leontes’ guards coming to seize Hermion at the moment when Mamilius is about to whisper his tale into his mother’s ear, and it ends in a tremendo store in which Antigonus perishes and the infante Perdi- ta is exposed. Sixteen years pass, and a new dramatic action begins with a new generation, an action of irresistibly pushing life, heralded by Autolicus’ song of the daffodils, and growing to a climax in the great sheepshearing festival scene, where the power of life in nature

over the whole year is symbolized by a dance of twelve satyrs . 284

Se è vero, dunque, che vi è un momento in cui l’armonia iniziale s’infrange e il microco- smo emotivo-affettivo del re si sbriciola e, simmetricamente, vi è un momento in cui la rottura viene riparata e l’ordine ristabilito, occorre analizzare gli estremi di questo percorso ‘ciclico- purgatoriale’ e comprendere in che modo Shakespeare ha rappresentato scenicamente la di- struzione e la rigenerazione. L’inizio del momento distruttivo e propriamente tragico del

«Leontes, like Macbeth, creates a wintry landscape of death and desolation around him, destroying all happi

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ness and good fellowship. But whereas Macbeth, the winter-king, has to be killed before spring and new life – represented by Malcolm – can regia in Scotland, Leontes is made to undergo a long process of purgation», Ernest Schanzer, “The Structural Pattern in The Winter’s Tale”, in Kennith Muir (a cura di), The Winter’s Tale, London, MacMillan Publishers, 1968, p. 89.

Anthony David Nuttall Shakespeare the Thinker, New Haven, CT, Yale University Press, 2007, p. 350: nel

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suo studio, l’autore, a lungo cattedratico a Oxford, intende far riflettere il lettore sull’ormai consolidata opinione generale, di impostazione neo-storicistica, secondo cui la creazione artistica shakespeariana è storicamente de- terminata. Secondo lo studioso, l’opera di Shakespeare è prodotta ‘internamente’ e non in riverbero alle stimola- zioni culturali ed è, dunque, necessario interpretarla all’interno di un frame teoretico indipendente da direttrici eminentemente politiche, sociali o religiose.

Northrop Frye, A Natural Perspective, op. cit., p. 121.

dramma coincide con la deflagrazione della gelosia delirante di Leontes che, dopo aver a lun- go insistito affinché Polixenes si trattenesse ospite ancora una settimana, di fronte a un enne- simo diniego di costui, invita la moglie a intervenire. Hermione riesce a vincere la ritrosia del- l’ospite che accorda ai padroni di casa la disponibilità a restare ancora, nonostante la sua as- senza dal regno di Boemia si protragga ormai da nove mesi. A quel punto, del tutto inspiega- bilmente, Leontes comincia a trovare disdicevole il comportamento della moglie nei confronti dell’amico, un comportamento che egli stesso aveva, fino a un attimo prima, incoraggiato. Lo psicanalista francese Jean Bergeret, nella sua opera del 1974 La personalité normale et patho-

logique, riprende la teoria freudiana del cristallo spiegando che la struttura psichica dell’indi-

viduo è come un corpo cristallizzato che, se e quando si rompe, lo fa secondo linee prestabili- te: se una mente è pre-organizzata in senso psicotico, nella circostanza di un urto, si ‘rompe’ seguendo le angolazioni della psicosi, manifestando, dunque, i sintomi di una psicosi per la quale era già, in fase di cristallizzazione, predisposta. Naturalmente, non vi è alcuna pretesa di utilizzare questo remoto concetto psicoanalitico come fosse un riferimento aggiornato della psichiatria, ma in questa sede può essere utile a esemplificare e a tradurre in immagine quanto è accaduto a Leontes: più che di latenza di uno stato psicotico, si dovrebbe parlare più pro- priamente di una struttura mentale ‘pre-organzzata’ in tal senso che, di fronte a un urto, si scompone seguendo le linee del suo corpo di cristallo psichico. Ora, che cosa avrebbe provo- cato, però, questo urto fatale all'equilibrio di Leontes in seguito al quale la sua mente struttu- ralmente predisposta all’episodio psicotico deflagra? Sembrerebbero essere, come anticipato alla fine del paragrafo precedente, le parole di Hermione, la quale sottolinea di aver parlato opportunamente solo due volte in vita sua: la prima, quando ha accettato la richiesta di matri- monio del marito, la seconda, quando ha usato l’eloquenza per vincere la resistenza dell’amico a restare ancora suo ospite.

HERMIONE

’Tis grace indeed.

Why, lo you know, I have spoke to th’ purpose twice. The one for ever earned a royal husband;

Al di là dell’ambiguità semantica che il termine friend sprigiona (un amico, ma anche compagno sessuale, un amante) , Leontes sembra turbato dall’identificazione operata dalla 285

moglie tra la parola con cui lo ha accettato in sposo e quella con cui ha convinto l’amico, qua- si che fossero parole sovrapponibili, depositarie del medesimo calibro. Com’è possibile che quella moglie un attimo prima definita tongue-tied (1.2.27), con la lingua impastata, troppo timida per parlare, improvvisamente riesca a vincere proprio con la persuasione, attuata trami- te quella parola fino a un attimo prima ritenuta impensabile, l’amico riluttante a restare? La lingua, surrogato femminile della protuberanza fallica, è inconsciamente percepita da Leontes come strumento non solo di conquista, ma di affermazione di una volizione sessuale. L’asso- ciazione fra lingua e fallo non è solo un’astrazione riconducibile a suggestioni psicoanalitiche. In un articolo di Lynda E. Boose dal titolo dal titolo “Scolding Brides and Bridling Scolds: Taming the Woman's Unruly Member”, la studiosa osserva che, all’interno di quella crisi del- l’ordine sociale che interessò l’Inghilterra della prima età moderna, alcuni reati erano automa- ticamente associati con il genere femminile e tra questi quello di scolding, del parlare rabbioso o irregolare. Ancora più significativamente, osserva che ai reati considerati esclusivamente femminili (lo scolding appunto, ma anche stregoneria, whoring) corrispondevano punizioni esclusivamente femminili che miravano più a censurare la lingua che non la trasgressione ses- suale tout court . Si può aggiungere, dunque, spingendo la riflessione ancora un po’, che nel286 -

Sull’ambiguità del termine friend, Shakespeare cesella tutta la conversazione triangolare tra Leontes, Polixe

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nes e Hermione. Quando Polixenes declina l’invito a trattenersi, Hermione, in 1.2.45-55, gli risponde che le sue resistenze le sembrano flebili («You put me off with limber vows», cf. 1.2.47) e che il «verily» di una donna è tanto potente quanto quello di un uomo («A lady’s ‘verily’ is /As potent as a lord’s», cf. 1.2.50-51): sarà costretta a tenerlo «prisoner», se continua a opporsi («Force me to keep you as a prisoner», cf. 1.2.52). Il lessico adottato, afferente all’ambito semantico della prigionia, ricorda il Cymbeline, in cui a livello linguistico, come mostrato nel capitolo precedente, si rileva la frequenza di lessemi afferenti alla sfera costrittiva: in questo caso, l’insistenza di Hermione non è manifestazione d’affetto, ma espressione di un’intenzione castrante: nella sua lingua appare esserci un’aggressività latente, un sottotesto sessuale. Shakespeare gioca su un’allusività sottile, coerente con la scelta di non drammatizzare il movente dell’accesso di gelosia di Leontes.

«The particular impact of this crisis in gender speaks through records that document a sudden upsurge in wit

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chcraft trials and other court accusations against women, the “gendering” of various available forms of punish- ment, and the invention in these years of additional punishments specifically designated for women. As the forms of punishment and the assumptions about what officially constitute “crime” became progressively polarized by gender, there emerged a correspondent significant increase in instances of crime defined as exclusively female: “scolding”, “witchcraft”, and “whoring”. But what is striking is that the punishments meted out to women are much more frequently targeted at suppressing women’s speech than they are at controlling their sexual transgres- sions», (Lynda E. Boose di “Scolding Brides and Bridling Scolds: Taming the Woman's Unruly Member”, in

la parola femminile usata a sproposito vi è un germe di pericolosità maggiore che nel compor- tamento sessuale non allineato, ed è anzi la lingua, intesa metaforicamente come abilità dialet- tica, un organo capace di imporre la propria potenza, la propria insubordinazione a un ruolo di passività: se l’uomo impone la propria potenza sessuale attivamente attraverso il suo sesso, la donna, in qualche modo, usa la parola, lo speech, per sottrarsi a quella passività impostale, la usa per trasgredire ed esprimere un’autodeterminazione. La critica, come anticipato, si è natu- ralmente interrogata sulle ragioni di questo scoppio di gelosia improvvisa di Leontes, appro- dando il più delle volte alla certezza di un’assenza di movente , ma è più opportuno parlare 287

di assenza di drammatizzazione del movente, di un disinteresse shakespeariano a proporre il fenomeno in una cornice circostanziata, all’interno di coordinate razionali e comprensibili. E, del resto, la follia è tale proprio perché inspiegabile: come osserva anche Camillo, sollecitato da Polixenes sulle ragioni della nascita di tale eccesso paranoico, è più facile evitare ciò che è nato che chiedersi perché sia mai successo: «I know not; but I am sure ’tis safer to / Avoid what’s grown that question how ’tis born», 1.2.428-429). Di chi è geloso Leontes? Dell’amico o a causa dell’amico? Dallo stato di simbiosi perfetta ed edenica – un debito nei confronti del- l’immaginario pastorale, da Dafni e Cloe in poi – in cui i due amici vivevano come fratelli sono precipitati a causa di una donna, Hermione, e proprio questa donna sottrae di nuovo l’amico a Leontes, suggerendogli di non essere lui il motivo per cui Polixenes resta: Leontes è, così, tagliato fuori da entrambi i rapporti prima esclusivi, quello con l’amico e quello con la moglie . La disparità che questi rapporti configurano genera il delirio e insinua il dubbio di 288

paternità che comincia ad attanagliarlo: il vero fulcro della questione è sempre la partizione, la Norman Norwood Holland (The Shakespearean Imagination, London, MacMillan Publishers, 1964) ‘rimpro

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vera’ a Shakespeare di essere «quite perfunctory about the source of trouble; he doesn’t even bother to motivate Leontes’ jealousy», mentre Kermode si limita a constatare che «Shakespeare removes Leontes’ motives for jea- lousy» (p. 284); George Wilson Knight (The Crown of Life: Essays in Interpretation of Shakespeare's Final

Plays, London, Methuen, 1947) parla di un male di Leontes auto-prodotto e senza causa: «his evil is self- born

and unmotivated» (p. 84); D. A. Traversi (Shakespeare: The Last Phase, Stanford, CA, Stanford University Press, 1955) segue laconicamente l’indicazione, senza approfondire: «in Leontes it is the evil impulse which co- mes to the surface, destroying his friendship with Polixenes and leading him to turn upon Hermione with an ani- mal intensity of feeling» (p. 112).

Polixenes descrive l’esclusività del rapporto con Leontes in termini di compenetrazione e di prossimità fra

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terna: «We were as twinned lambs that frisk i’th’ sun / And beat the one at th’other: what we changed / Was inno- cence; we knew not / The doctrine of ill-doing, nor dreamed / Than any did. Had we pursued life, / And our weak spirits ne’er been higher reared / With stronger blood, we should answered heaven / Boldly, ‘not guilty’, the im- position cleared / Hereditary ours» (1.2.67-75).

visione, già potentemente presente nel Cymbeline e, in nuce, nel King Lear, secondo la quale l’amore è un capitale che, se viene diviso, perde di valore. Stanley Cavell, nella sua affasci- nante lettura di The Winter’s Tale , ritrae Leontes come uno scettico che per conoscere deve 289

prima riconoscere attraverso i sensi, colto da un impulso distruttivo che gli fa preferire il nulla alla possibilità della separazione e della partizione. Come nel Cymbeline, opera ‘sorella’, an- che in The Winter’s Tale, il mondo con cui l’eros e gli affetti si scontrano è quello delle logi- che economiche, che riverberano nella lingua, permeandone il lessico e gli spettri semantici . 290

Allo stesso principio di collusione tra capitalizzazione e dispersione, istanze economiche e ragioni affettive, non si sottrae, come vedremo, neanche The Tempest: la coerenza di intenti che ‘assorella’ le tre opere è nitida. Mamillius, di cui il padre inizia a osservare il naso e i tratti somatici per scorgervi una somiglianza di cui inizia a dubitare, si fa allora quasi correlativo oggettivo, traslato allegorico del rifiuto di Leontes di integrare l’alterità, un bambino generato, ma disconosciuto come figlio, partizione indebita di sé che Leontes non accetta. Il nome, Ma- millius, che rimanda in tutta evidenza alla mammella, ci offre allora una chiave per conferma- re un sospetto che il bambino non sia ‘solo’ della madre perché ancora dipendente da lei e non biologicamente di Leontes, ma perché da questo ultimo inconsciamente non viene riconosciu- to, forse è addirittura rifiutato . I numerosi riferimenti di Leontes al mondo animale ampli291 292 -

ficano la portata dell’allusione alla dimensione biologica, al dato del sangue che non è stato

Il riferimento è al saggio “Recounting Gains. Showing Losses. Reading The Winter’s Tale”, in Stanley Cavell,

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Disowning Knowledge in Seven Plays of Shakespeare, Cambridge, Cambridge University Press, 2003.

Oltre al lessico della partizione, di cui Stanley Cavell nello studio sopracitato individua puntualmente ogni

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occorrenza, The Winter’s Tale sembra coprire diffusamente anche l’ambito semantico della prigionia, già visto- samente presente nel Cymbeline. «My prisoner? Or my guest» (1.2.55): Hermione chiede a Polixenes cosa voglia essere, se prigioniero ed ospite, non lasciando di fatto all’amico del marito alcuna possibilità di fuggire a un rap- porto impostato in senso coercitivo. Quando Paulina descrive il parto di Hermione, lo fa utilizzando un’immagi- nario afferente alla dimensione della prigionia, come se il grembo materno fosse una prigione: «This child was

prisoner to the womb, and is / By law and process of great Nature thence / Freed and enfranchised, not a party to

/ The anger of the king, nor guilty of – / If any be – the trespass of the queen» (2.3.57-62).

Va, tuttavia, chiarito che il nome Mamillius non è conio shakespeariano, ma deriva dal romanzo di Robert

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Greene Mamillia, pubblicato nel 1583.

«I’fecks; / Why, that’s my bawcock. What? Has smutched thy nose? / They say it is a copy out of mine.

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Come, captain, / We must be neat – not neat, but cleanly, captain. / And yet the steer, the heifer and the calf / Are all called neat – Still virginalling / Upon his palm? – How now, you wanton calf!/ Art thou my

ancora interiorizzato, ma è rimasto esteriore, come un ramo che, anziché ampliare, decurta il suo tronco.

Dall’eccesso paranoide del re alla seconda parte, quella che la traghetta la parabola del pa- dre/tiranno errante verso la redenzione, si procede attraverso uno switch centrale, rappresenta- to dal motivo dell’orso che incalza Antigonus : in quel punto si colloca il twist, decisamente 293

brusco, tra parte invernale, d’ambientazione siciliana, e parte primaverile, d’ambientazione boema, impulso distruttivo e impulso generativo, come due poli alternati e complementari del corso vitale che la struttura a dittico del dramma proietta formalmente. L’Alcesti di Euripide ugualmente ha una struttura a dittico: la prima parte d’andamento tragico che culmina con la morte di Alcesti e la seconda d’andamento comico che culmina con il ritorno di Alcesti alla vita. L’uso del dispositivo scenico dell’orso è, nel Winter’s Tale, funzionale a introdurre un elemento farsesco . Andrew Gurr individua una precisa indicazione meta-teatrale, quando il 294

pastore anziano, in conversazione con suo figlio, in 3.3.110-111, pronuncia, riferendosi al fa- gotto contenente Perdita neonata da lui ritrovato assieme al corredo che poi sarebbe risultato fondamentale al momento dell’agnizione, queste parole: «thou net’s whit things dying, I with things new born». Sono una rielaborazione di una citazione presente in Tragoedia et comoedia di Evanzio, autore di commentari terenziani molto noti che i ragazzini inglesi, nel Cinquecen-

Sulla giustificazione drammatica della presenza dell’orso (non un orso reale, ma un attore che indossa pelli

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d’orso) e sulle sue diramazioni simboliche, s’interroga Dennis Biggins in un celebre articolo del 1962 dal titolo “Exit Pursued by a Beare”: A Problem in The Winter’s Tale”, in Shakespeare Quarterly, 13, 1, 3-13. Biggins arri- va alla conclusione che «in the figures of Antigonus and the bear Shakespeare brings together for dismissal seve- ral themes – destruction, broken integrity, Heavenly vengeance – that must now, at this transitional stage in the play, be cleared away so as to permit new thematic and atmospheric development. Leontes’ false suspicion, his tyranny and cruelty, his inclemency, are focussed and magnified to extreme proportions before being finally dis- sipated in the strong light of comedy» (Dennis Biggins, “Exit Pursued by a Beare”, op. cit., p. 13). Louis Clubb (“The Tragicomic Bear”, in Comparative Literature Studies, 9, 1972, pp. 17-30) sostiene, invece, che l’orso di- spieghi una simbologia duplice, tanto comica quanto tragica, e sia per questo spesso utilizzato nei drammi pasto- rali.

Andrew Gurr, “The Bear, the Statue, and Hysteria in The Winter’s Tale”, in Shakespeare Quarterly, 34, 4,

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to, erano soliti studiare a scuola . Il terzo momento della dialettica, quello conclusivo e risto295 -

rativo-redentivo, è rappresentato, invece, dal ritorno alla vita della statua, anticipato dal rico- noscimento ‘raccontato’, secondo un dispositivo diegetico, e non mostrato di Perdita. Florizel, figlio di Polixenes, è innamorato di lei, la quale, però, è cresciuta allevata da un pastore e non possiede dunque un lignaggio adeguato a un principe: Polixenes ha ripudiato il figlio e ne ha ostacolato le nozze. Nel conversare con Perdita, che Leontes naturalmente ignora essere sua figlia, Paulina scorge negli occhi del re “troppa giovinezza”, il riaffiorare improvviso di un’ombra di desiderio sessuale: «Your eye hath too much youth in’t» (5.1.224). Nel Pandosto di Greene, il motivo incestuoso viene esplorato e conduce il re al suicidio, una volta venuto a conoscenza del fatto che la fanciulla di cui si è innamorato è in realtà sua figlia: in Shakespea-