• Non ci sono risultati.

La figlia unica: la rinuncia al maschio e il disinnesco del binarismo di genere

La doppia agnizione – tra Pericles e Marina e tra Pericles e Thaisa – ricompone, nelle ulti- me scene del dramma, il nucleo famigliare disgregato: Pericles credeva la moglie morta di parto e inghiottita dalla ‘tomba’ d’acqua in cui l’aveva egli stesso gettata; ugualmente, pensa- va che la figlia Marina fosse stata uccisa dai suoi genitori adottivi a cui proprio lui l’aveva affidata, confidando a torto nella loro benevolenza. La ricomposizione del nucleo famigliare si situa in una posizione antitetica rispetto alla situazione di partenza, quella di una famiglia in cui la madre non c’è e la figlia la sostituisce dove non dovrebbe, nel letto coniugale. Il Peri-

cles è un dramma che si apre sotto il segno inquietante della perversione e dell’incesto e si

chiude all’interno di un ordine ristabilito in cui domina la virtù e l’affetto bonificato dallo spauracchio della pulsionalità e del desiderio sessuale illecito. Nell’Historia Apollonii regis

Tyri, la violazione sessuale della figlia da parte del padre viene drammatizzata (con un innesto

Suzanne Gossett, “Introduction”, op. cit., p. 131.

di narrazione mimetica all’interno di un impianto narrativo diegetico) attraverso il dialogo tra la giovane vittima e la sua nutrice, un dialogo all’interno del quale la prima rivendica la perdi- ta di senso della parola padre: la ‘disfunzionalità’ del ruolo genitoriale è subito introdotta e 182

capitalizzata semanticamente. La figura shakespeariana di Marina è una figura antinomica rispetto alla figlia di Antiochus, ne rappresenta la polarità opposta. La traccia morale del dramma shakespeariano è, quindi, facilmente, quasi banalmente, decodificabile, e basterebbe di per sé a giustificare l’assenza di un figlio maschio: nella fonte latina, alla ricostituzione del- la famiglia disgregata (madre, padre e figlia quattordicenne) segue, infatti, la notizia dell’arri- vo di un figlio maschio che assicura ad Apollonio la continuità dinastica. Quando Apollonio diviene Pericles, però, quel figlio maschio scompare e la conclusione della storia affidata a Gower non presenta alcuna allusione all’eventuale arrivo di un nuovo membro della famiglia. L’eredità si sposta dall’asse biologico a quello politico: erede di Pericles non sarà un suo fi- glio maschio ma il genero, il marito della figlia Marina, ossia Lysimachus.

Gli studiosi hanno a lungo dibattuto su quello che Valeria Tirabasso definisce «esilio del materno» e che trova la sua elaborazione critica più radicale nel pensiero di Janet Adelman, 183

la quale sostiene che il Pericles recepisca una vera e propria fobia nei confronti del corpo femminile e che rappresenti una vicenda di riappropriazione di virilità da parte di un’identità contaminata dalla sessualità femminile e, quindi, disorientata in seguito allo scardinamento degli steccati di genere . Il Pericles, effettivamente, comincia con una contaminazione: 184

quella tra il suo protagonista e il segreto celato dietro il trono d’Antiochia, la relazione ‘pec- caminosa’ tra padre e figlia, e continua con la presenza di un corpo gravido, quello di Thaisa, che viene, non a caso, sbrigativamente ‘scaricato’ in mare dopo il parto e quindi escluso dalla scena a causa, appunto, della sua ‘oscenità’ contaminante. Thaisa ritorna, dopo essersi fatta sacerdotessa di Diana, solo per ritrovare suo marito e ristabilire un nucleo famigliare triango-

«“Cara nutrix, si intellegis quod factum est, periit in me nomen patris”» (2.5).

182

“Thou art my child : padri e figlie in Pericles”, in Clara Mucci – Chiara Magli – Laura Tommaso (a cura di),

183

Le ultime opere di Shakespeare, op. cit., p. 59.

Janet Adelman, “Masculine Authority and the Maternal Body: the Return to Origins in the Romances”, in

184

lare, altamente stilizzato e simbolico, risanato dalla minaccia della sessualità, de-erotizzato e sublimato. Suggerire la possibilità – o la realtà – di una nuova gravidanza di Thaisa signifi- cherebbe, quindi, reintrodurre in scena la componente ormonale, per così dire ‘ipersessuale’, della femminilità. Proprio per questo, Thaisa viene sì restituita alla scena, ma isterilita, esclusa dalla dimensione procreatrice dell’esistenza. Si è già discusso a lungo, nel secondo capitolo, a proposito dei significati e dei moventi che hanno spinto Shakespeare a caratterizzare Marina come una paladina della verginità, come un difensore indefesso della sua virtù, un concetto insieme puntuale ed esteso ad un modo d’essere che travalica la mera scelta dell’astinenza sessuale. Una delle controversiae di Seneca il Vecchio, databile all’età di Caligola, s’incar185 -

dina sul seguente spunto: una vergine catturata dai pirati viene venduta da un lenone a un bor- dello ed è costretta a prostituirsi. Grazie alle preghiere riesce a dissuadere i suoi clienti dall’a- vere un rapporto sessuale con lei e a convincerli a darle comunque un compenso, ma un solda- to non si lascia persuadere e cerca di usarle violenza . Il caso si risolve con l’assoluzione 186

della vergine che, giudicata integra moralmente e fisicamente, può accedere al sacerdozio. Il paradosso di cui il caso fittizio di questa giovane donna insieme vergine e prostituta si fa por- tatore è lo stesso che riguarda Marina. La controversia di Seneca il Vecchio introduce il tema della sacerdos prostituta ricavandolo da una suggestione proveniente, con tutta probabilità, dal filone romanzesco a lui coevo. L’Historia Apollonii contiene lo stesso motivo che, così, arriva fino al teatro shakespeariano e viene applicato a Marina. Northrop Frye spiega la castità femminile delle eroine dei romances come del simbolo di un’armonia generale, come carica di «spiritual energy» . Naturalmente, inoltre, il tema dell’ossimorico ‘eros casto’ – come il 187

motivo della prostituta vergine – e la figura dell’eroina virtuosa appartengono alla tradizione La controversia è un caso giuridico fittizio su cui gli studenti delle scuole di retorica, in età imperiale, si eser

185 -

citavano.

«SACERDOS CASTA E CASTIS, PURA E PURIS SIT. Quaedam virgo a piratis capta venit; empta a lenone

186

et prostituta est. Venientes ad se exorabat stipem. Militem, qui ad se venerat, cum exorare non posset, colluctan- tem et vim inferentem occidit. Accusata et absoluta remissa ad suos est; petit sacerdotium» (1,2). L’edizione cri- tica di riferimento è quella teubneriana. Si veda Lucius Annaeus Seneca Maior, Oratorum et rhetorum sententiae,

divisiones, colores recensuit Lennart Håkanson, Leipzig, Teubner, 1989.

«This harmony of the soul, in its turn, is symbolized by female chastity, which in all pastoral romance to Mil

187 -

ton’s Comus is an attribute of the higher order of nature, and a containing of spiritual energy», Northrop Frye, A

di riferimento a cui Shakespeare attinge: se nel romanzo post-classico, però, l’eliminazione della componente predatoria dalla sessualità svolge perlopiù la funzione semiotica di rappre- sentare un’istanza decolonizzante dal punto di vista politico, nel contesto della prima moder- nità inglese, è assimilabile al concetto del companionate marriage e alle riflessioni scaturite per iniziativa del movimento puritano circa la necessità di superare una visione patriarcale e sbilanciata dei rapporti affettivi. Di eroine ‘fredde’, apparentemente asessuate, il teatro shake- speariano se n’era certamente già servito ben prima dell’inizio della flessione romanzesca: in

Measure for Measure, Isabella appare vittima – quasi stabilendo una simmetria col fratello

Claudio, che rifiuta la morte e quindi la corruttibilità della materia – di un’utopia, quella di liberare il mondo dal sesso. Eppure Isabella è personaggio cinico e fanatico, caratterizzato in senso, se non negativo, certamente problematico, una problematicità che il personaggio di Marina invece non conosce, nella sua statura esclusivamente benefica e quasi ‘messianica’. La de-erotizzazione del femminile in Pericles sembrerebbe aderire a una posizione ideologica affine a quella che emerge dal Coriolanus, un’opera che sottolinea e drammatizza uno stato di crisi nell’associazione tra virilità e guerra, e porta sulla scena l’ostinazione di un uomo che, al di fuori dal campo di battaglia, ha smarrito la propria identità e si trova schiacciato dalla per- cezione di una verità intima che non riesce ad esprimere e dal compromesso sociale e politico che gli viene richiesto. In Coriolanus, una tragedia, l’assolutezza di carattere del protagonista che, applicando il codice che valeva in guerra al contesto civile, lo ritrova svuotato di senso, è qualcosa di appunto tragico; in Measure for Measure, il fanatismo puritano di Isabella è con- troverso; in Pericles, la difesa di Marina della propria integrità è, invece, manifestazione lu- minosa del rifiuto di oggettivazione del corpo e di becero materialismo nella visione esisten- ziale. In ogni caso, se in Coriolanus, s’incrina l’equazione tra mascolinità e forza guerriera, in

Pericles, parallelamente, s’infrange l’associazione tra la condizione femminile e il materno, si

rompe quella concezione della donna come detentrice dell’energia, spesso incontrollabile, del- la procreazione e si sradica una certa tradizione di pensiero, risalente ad Aristotele, che la vede come un contenitore di seme e, di conseguenza, confinata ad una passività prima biolo- gica e poi morale.

La prerogativa di Marina è, inoltre, come già ricordato, la parola e, con la parola, no con il sesso, come la prostituta vergine di Seneca, riesce a ottenere consenso, a conquistarsi il suo spazio di libertà e di integrità: dopo l’incontro con Lysimachus, quest’ultimo le dice che non si sarebbe mai aspettato che lei parlasse così bene («I did not think/ Thou couldst have spoke so well, ne’er dreamt thou couldst./ Had I brought hither a corrupted mind/ Thy speech had altered», 4.5.106-109). Nell’Historia Apollonii si specifica, tra l’altro, che la bambina, cre- sciuta con colei che crede sua sorella ma è in realtà la figlia biologica dei suoi genitori adotti- vi, a cinque anni viene introdotta alle arti liberali, fra cui spicca, in posizione predominante, l’insegnamento dell’arte dell’eloquenza . Nel romanzo latino Tarsia sia riceve la parola (la 188

confessione della nutrice Licoride che, in punto di morte, le rivela chi sono i suoi veri genito- ri) sia la restituisce: l’eloquio è una sua prerogativa simbolica, subita o attuata che sia. Clara Mucci, nel suo studio sui rapporti tra la straordinaria fioritura del teatro shakespeariano e il fenomeno della caccia alle streghe, osserva come, in un sistema culturale costruito su base binaria e oppositiva, l’abilità linguistica fosse considerata una dote maschile e come il lin- guaggio scomposto e impertinente (lo scolding) fosse, invece, un tratto ‘stregonesco’, un ca- rattere eversivo proprio delle donne additate come socialmente pericolose.

La lingua “lubrica” per il Malleus figura come terzo motivo per cui la stregoneria preferisca incarnarsi, per così dire, nelle donne; che solo il silenzio si addica a una donna onesta e mo- rigerata è propagandato dai riformisti e controriformisti, che si avvalgono delle Scritture per sostenere la necessità di una fa- miglia (e una società costruita sul modulo famigliare) patriar- cale controllata dall’uomo. Come scriveva San Paolo ripren- dendo a sua volta la Genesi: “La donna impari il silenzio, con tutta sottomissione. Non concedo a nessuna donna di insegnare, né di dettare legge sull’uomo; piuttosto se ne stia in atteggia- mento tranquillo. Mostrare di possedere una “scolding tongue”, una lingua da bisbetica costituiva uno degli elementi verso la definizione di “strega” . 189

«Itaque puella Tarsia facta quinquennis traditur studiis artis liberalis et filia eorum cum ea docebatur: et in

188

ingenio et in auditu et in sermone et in morum honestate docentur» (29,1).

Clara Mucci, Il teatro delle streghe. Il femminile come costruzione culturale al tempo di Shakespeare, Napoli,

189

Marina non è né silente, né rinuncia a insegnare. Anzi, il suo parlare è energicamente ‘pe- dagogico’, fortemente didattico. Abile nel linguaggio, se ne serve per redimere e per guidare l’interlocutore in un processo ‘maieutico’ di riscoperta del sé e di riappropriazione di un con- tatto con la verità della propria esperienza. In questo senso, è un personaggio che non aderisce né allo stereotipo femminile della parsimonia dialettica né al modello di femminilità deviata che usa la lingua per insubordinazione. Ora, se è vero che, ad un’analisi sbrigativa, Marina potrebbe aderire ad una costruzione del femminile allineata al codice culturale binario e ai presupposti ideologici che soggiaciono alla militanza ‘anti-demonologica’ di re Giacomo Stuart, che fu il più illustre dei witch hunters, nondimeno, ad un livello più profondo, il suo personaggio sembra scardinare le polarità di genere e smussare la rigidità propria dell’antitesi: il femminile e il maschile, come costruzioni culturali, sono sottoposti a un processo di revi- sione che implica il superamento dell’impostazione dicotomica. La formazione di una nuova famiglia, quella composta da Marina, da Lysimachus e dai figli che verranno, drammatizza un processo di dis-identificazione e di discriminazione dalla famiglia di origine che si riduce, al- lora, al solo rapporto coniugale, quello tra Pericles e la ritrovata Thaisa. L’introduzione di una discendenza maschile sarebbe, quindi, non solo superflua, ma anche fuorviante da un punto di vista concettuale perché farebbe dell’eredità che passa attraverso il sangue una necessità e perché, implicitamente, concepirebbe la presenza del femminile come fonte di una mancanza anziché di una presenza, come una lacuna che deve essere risanata. La femmina sarebbe im- plicitamente considerata come l’incarnazione della mancanza del maschile. La figlia di Peri- cles sarà dunque, per questo, sempre e solo una, quella che dovrà amare e dovrà bastargli.

È possibile che l’enfasi sul rapporto padre-figlia sia anche una proiezione, più o meno con- scia, della vicenda personale di Shakespeare, un padre che ha perso prematuramente il figlio maschio, probabilmente rassegnato a non averne un secondo, affettivamente legato alle due figlie femmine rimaste; può anche darsi che Shakespeare, con Pericles, volesse in qualche misura celebrare il nuovo re, il cui lignaggio si dipanava per via femminile, in quanto figlio di

Maria Stuart . Anche se, a tal proposito, è pur vero che proprio Giacomo I Stuart insisteva 190

retoricamente sulla metafora che identificava la regalità a una forma di paternità allargata e si era fin da subito presentato come un monarca in grado di provvedere alla continuità dinastica, perché già provvisto di erede, al contrario della regina Elisabetta che aveva rinunciato al ma- trimonio e alla famiglia per dedicarsi esclusivamente all’esercizio monarchico . Come av191 -

viene in tutti i romances, anche il Pericles è pervaso da una profonda ambiguità ideologica. Il dramma sembra incidere il segmento del dibattito civile intorno alle dinamiche famigliari as- segnando una dignità al femminile pari a quella concessa al maschile. Lo spauracchio del cor- po femminile e della sessualità divorante è ricondotto allo statuto di costruzione culturale, di un processo di erotizzazione a posteriori privo di un reale fondamento, per così dire, ontolo- gico. Quello stesso processo che Shakespeare, nel Pericles, decostruisce invece che perpetua- re.