Il termine ‘puritano’ oggi è utilizzato nella sola accezione spregiativa di ‘bigotto’, di qual- cuno che mostri un’intransigenza morale applicata al tema della sessualità. È una deriva assai singolare perché, se ora lo associamo più o meno direttamente a una qualche sorta di ortodos- sia dottrinaria, in origine il Puritanesimo identificava una visione eterodossa dei dettami, una ribellione ai codici comportamentali imposti, una militanza anti-sistema, un vigore polemista. Come etichetta, cominciò ad affermarsi intorno agli anni Sessanta del Cinquecento e presto cominciò a definire quella variante confessionale del Protestantesimo sorta all’interno del solo particolarismo dell’Inghilterra di età elisabettiana e giacomiana. Il Puritanesimo non era un movimento opposto all’Anglicanesimo, termine di per sé anacronistico nel contesto della pri- ma modernità inglese ma, in un certo senso, rappresentava l’ala estremista del Protestantesi- mo e, pur essendo nato come specificità inglese, cominciò a estendersi all’Irlanda, al Galles 133
e all’America del Nord, dove esercitò un’influenza potente e ancora durevole. Gli aspetti che contraddistinguevano i Puritani furono soprattutto il rifiuto particolarmente esacerbato del- l’autorità papale e di ogni genere di mediazione tra il fedele e la Bibbia oltre all’attenzione
«Under Elizabeth and James, this hot Protestantism flourished within the established church, and it is mislea
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ding to think of a Puritan opposition at loggerheads with an ‘Anglican’ establishment. As historians of the period regularly remind each other, ‘Anglicanism’ is an anachronistic nineteenth-century term, and its use tends to ob- scure the firmly Reformed character of the Church of England before the rise of the Laudians. Whilst radical Puritans attacked bishops, and sometimes separated altogether from the national church, moderate Puritans were active participants in the Protestant mainstream»: John Coffey-Paul C. H. Lim, “Introduction”, in John Coffey- Paul C. H. Lim (a cura di), The Cambridge Companion to Puritanism, Cambridge, Cambridge University Press, 2008, p. 4.
posta alla routine della preghiera e della meditazione, lo zelo quasi fanatico nell’osservanza dei doveri confessionali e nella pratica della pulizia interiore, di abitudini spiritualmente rige- nerative. Il rigetto del Papa e di figure gerarchicamente sovraordinate che fungessero da guida nell’accesso alle Scritture si traslò, sul piano morale, in una veemente messa in discussione dell’autorità del padre o, più in generale, di un assetto ‘patriarcale’ della società. Questa rivo- luzione del pensiero fu una conseguenza di una riconsiderazione generale dei ruoli all’interno del matrimonio, di un’operazione di ‘simmetrizzazione’ affettiva e di corrispondenza non solo della devozione, ma anche delle reciproche responsabilità: quel contratto prima unidirezionale che imponeva alla moglie una fedeltà e una devozione al marito che questo non era tenuto a corrisponderle diveniva, ora, per la prima volta, reversibile. Il Puritanesimo fu un movimento severo ed estremamente esigente sul piano morale, ma l’elemento rivoluzionario rispetto al passato è che il rigore del giudizio, per la prima volta, non si applicava più solo alla moglie. Una delle ‘storture’ sociali sentite come più aspramente problematiche era quella dell’adulte- rio e della conseguente generazione illegittima: basti pensare all’opera che ha contribuito maggiormente alla costruzione dell’immaginario puritano nel suo momento radicalizzato e oramai degenerato, The Scarlet Letter di Nathaniel Hawthorne, per comprendere quanto acu- tamente venisse percepito come nodo sociale lo spauracchio della nascita irregolare, della ses- sualità adulterina e scomposta. Tuttavia, la determinazione nel rifondare nel senso dell’equili- brio e della simmetria i rapporti tra i sessi all’interno del matrimonio e nel censurare le spinte centrifughe implicò anche il superamento del ‘doppio standard’: sia le donne sia gli uomini erano uguali di fronte alla responsabilità del fallimento coniugale e il tradimento era sottopo- sto a uno stesso stigma, indipendentemente dal fatto che venisse commesso dal marito o dalla moglie.
The consequence of many of the reforms which they propo- sed was to bring the freedom of women in line with the freedom of men, either making women more free to choose, or making men less so. The Puritan attack on the double standard is an
attack on traditional male freedom . 134
Juliette Dusinberre, Shakespeare and the Nature of Women, New York, Palgrave Macmillan, 1996, p. 41. 134
Edmund Leites sottolinea come furono i Puritani coloro che, non in via esclusiva, ma co- munque maggiormente significativa, contribuirono a trasformare l’Inghilterra in una società più sobria e a mutare la concezione medievale – e, ancor prima, classica, aristotelica – della donna come creatura lussuriosa e portata per natura ad assumere comportamenti sessuali ec- cessivi o sconvenienti . In questo senso, il movimento si adoperò per l’allineamento di mari135 -
to e moglie di fronte al giudizio sociale, davanti al quale occupavano una posizione di parten- za perfettamente ugualitaria. I Puritani nutrirono una vera e propria ossessione per la costanza affettiva, per il tema della devozione reciproca e della corresponsabilità coniugale; nondime- no, risemantizzarono il concetto di castità, non più applicabile al solo celibato, ma esteso an- che alla condizione matrimoniale. La castità non veniva concepita come astensione dai rap- porti sessuali, ma come valorizzazione della sessualità all’interno di un progetto di coppia più ampio, incardinato sulla sovrapposizione di aspirazioni mondane e religiose, appetiti carnali e spirituali. Il piacere sessuale non s’identificava più con gli aspetti meccanici dell’eros, ma con un appagamento comprensivo di fattori fisici, emotivi, spirituali, etici, sociali . Quel che 136
Leites dimostra, nel suo studio, è che l’utopia puritana di materializzare una virtuosa coinci- denza di autocontrollo e libertà e di ricollocare nello spazio del rapporto di coppia il criterio di individuazione identitaria finì per incepparsi e fallire; egli riconosce, contestualmente, in Pa-
mela di Richardson il momento letterario in cui la crisi dell’ideale puritano emerge più prepo-
Edmund Leites, The Puritan Conscience and Modern Sexuality, New Haven, CT, Yale University Press,1986,
135
pp. 1-21.
«The pleasure which the Puritans felt a man should find in his wife did not arise from the from the gratifica
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tion of the senses. Their interpretation of pleasure was more comprehensive» (Juliet, Dusinberre, Shakespeare
and the Nature of Women, op. cit, p. 115). Si veda anche Ann Hughes, “Puritanism and Gender”, in Coffey-Lim
(a cura di), The Cambridge Companion to Puritanism, Cambridge, Cambridge University Press, 2004, p. 295: «There are also positive assessments of the impact of Puritanism on the more usual experience of men and wo- men in propertied households, such as those by Anthony Fletcher and Diane Willen. [...] Puritanism was a de- manding creed: both men and women had to demonstrate their godliness through zealous fulfilment of their ‘rela- tive’ duties. The frequently stressed parallel between the marital relationship and the ties between Christ and his church implied a relationship of love as well as of subordination. In Ephesians wives were instructed to ‘submit yourselves unto your husbands, as unto the Lord’ but husbands were to ‘love your wives, even as Christ also lo- ved the church’ (5:23–5). Thus a Scottish minister advised husbands to treat their wives with the ‘sanctified af- fection’ of Christ for his church. Consequently Fletcher has argued that Puritanism promoted passionate, sexually fulfilling marital partnerships». Si legga l’intero contributo di Ann Hughes su Puritanesimo e gender issues alle pp. 294-304.
tentemente . Quel che è più interessante è che alcuni studi recenti hanno dimostrato come 137
l’età giacomiana fosse, in effetti, attraversata da una profonda conflittualità sorta a causa del movimento puritano e come, all’interno di esso, una febbrile concitazione avrebbe, nel giro di qualche decennio, provocato frammentazioni sociali e violente tensioni politiche: Bozeman indaga le cause e parla di «precisianist strain», dello sforzo autodisciplinante, il puntiglio me- todico, il fanatismo moralista come reazione alla destabilizzazione sociale in atto nell’epoca post-Riforma; Como si occupa delle conseguenze e – anticipato dallo studio di Lake sulla complessa realtà confessionale inglese della prima età Stuart e, in seguito, da quello di Win- ship su ascesa e declino del Puritanesimo nel Vecchio e Nuovo Mondo – evidenzia come la disgregazione cui approdò il Puritanesimo risultò un fattore determinante nello scoppio della guerra civile inglese negli anni Quaranta del Seicento . 138
Se è vero, dunque, che, nell’epoca in cui il movimento puritano s’affermò, la questione del- la moralizzazione e della responsabilizzazione dei rapporti affettivi si configurò come ambito di controversia e sollevò l’urgenza di rifondare gli equilibri di genere e ripensare la condizio- ne femminile, occorre chiedersi quanto, di questo fermento ‘riformatore’ applicato alla sfera dei sentimenti e della loro collocazione sociale, la drammaturgia romanzesca shakespeariana recepì. Secondo Juliet Dusinberre, lo spazio scenico – in quanto percepito, in realtà, come ‘non-letterario’ – rispose, in quegli anni, a un’urgenza sociale di superare la ‘letterarizzazione’ del femminile (e la polarizzazione tra donna-angelo e donna-diavolo), raccogliendo, per così dire, la sfida della complessità nella rappresentazione di genere, nel contesto, tra l’altro, di una conflittualità marcata tra bolla cortigiana e orizzonte urbano.
Il capitolo relativo all’analisi di Pamela comprende le pp.118-139: secondo Leites, l’eroina del romanzo rie
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sce a mantenersi virtuosa perché ha interiorizzato il modello di comportamento puritano che mette al centro un’e- tica affettiva fondata sulla virtù e sull’annullamento della polarizzazione agente/patente d’amore. Ma, benché l’autodisciplina riesca a tenerla al riparo dalla tentazione di cedere alle avance del padrone, Pamela non è vera- mente emancipata da un sostrato pulsionale, amorale e puramente erotico che percepisce come eccitante un rap- porto manifestatosi in termini di dialettica tra un soggetto ‘aggredente’ e un oggetto ‘aggredito’.
Si vedano: Theodore Dwight Bozeman, The Precisianist Strain: Disciplinary Religion and Antinomian Bac
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klash in Puritanism to 1638, Chapell Hill, North Carolina University Press, 2004; David R. Como, Blown by the Spirit: Puritanism and the Emergence of an Antinomian Background in Pre-Civil-War England, Stanford, CA,
Stanford University Press, 2004; Peter Lake, The Boxmaker’s Revenge: ‘Orthodoxy’ , ‘Heterodoxy’ and the Poli-
tics of the Parish in Early Stuart London, Stanford, CA, Stanford University Press, 2001; Michael P. Winship, Making Heretics: Militant Protestantism and Free Grace in Massachusetts, 1636-1641, Princeton, Princeton
Shakespeare and his fellow dramatists write for an audience accustomed to reject the literary as false, accustomed to asso- ciating literary positions about woman the goddess and woman the devil with an alien and reprobate aristocratic tradition. Atti- tudes to women in the drama reflect the alignment between the court and the middle class, and in a period when antagonism between the two receive a good deal of attention. […] The dra- matists were in a unique position for condemning and exposing false literary attitudes to women, whether satirical or romantic. The drama was not considered a literary form in Shakespeare’s time . 139
È, dunque, probabile che Shakespeare, tanto educato ai classici e ai classici moderni quanto consumatore della produzione letteraria a lui coeva, avesse sviluppato un interesse per il ma- teriale romanzesco di una tradizione ai suoi tempi in voga anche perché, grazie al tropo della costanza amorosa e del ‘paradosso’ dell’eros casto , gli consentiva di trattare, dietro lo 140
schermo della trasfigurazione del romanzo ridotto a pièce, temi percepiti come attuali e co- genti e, così, di offrire al suo pubblico molteplici livelli di appagamento: l’intrattenimento, la ritualità, la riflessione socio-politica. Stanley Wells sembra sorprendersi quando, osservando come tutte le eroine dell’ultimo Shakespeare siano caratterizzate come estremamente virtuose, nota un’anomalia nella condizione di Innogen.
Each of the last four plays that bring Shakespeare’s solo playwriting career to an end – the tragicomedies, or romances – features a heroine of exceptional virtue. Innogen, in Cymbeli-
ne, stands out for the others in that she is already married at the
start of the action, though recently and secretly. There is no doubting the intensity of her love for Posthumus, but interestin- gly in the light of the heroines of the other three plays – it ap- pears to be represented as a kind of married chastity. 141
Juliet Dusinberre, Shakespeare and the Nature of Women, op. cit, p. 7. 139
Sono questi, come già spiegato nel primo capitolo, dei moduli narrativi che nel filone romanzesco post classi
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co in lingua greca rispondevano a profonde mutazioni politiche e a un’impossibilità di continuare ad applicare le meccaniche del potere anche alle unioni sentimentali (si veda il primo capitolo).
Stanley Wells, Shakespeare, Sex, and Love, Oxford, Oxford University Press, 2010, p. 230. 141
Il riferimento è 2.5.9-19 , passo assai controverso del Cymbeline in cui Posthumus, ferito 142
nell’orgoglio per quello che crede un adulterio commesso dalla moglie, si rammarica di non essere riuscito a vincere il riserbo di lei mentre Iachimo, a quanto pare, in un attimo, è riuscito a espugnare la sua ritrosia sessuale. Wells interpreta il brano come un’allusione a una ‘re143 -
strizione’ imposta dalla moglie al marito, un accesso limitato all’intimità, mentre Anne Barton inclina per un lettura meno vaga che non teme di forzare il momento interpretativo suggeren- do la realtà di un matrimonio non ancora consumato . È possibile, però, che la «married 144
chastity» di cui parla Wells sia il risultato di un’intersezione tra il modulo dell’amore casto propriamente romanzesco e uno dei principali nodi del programma puritano di rifondazione dell’etica sentimentale e che la reticenza sessuale di Innogen vada interpretata, invece, in modo più sfumato e comprensivo della temperie sociale. Vale la pena, dunque, nei capitoli a seguire sull’analisi puntuale dei romances shakespeariani, assecondare questo spunto e verifi- care se effettivamente la drammaturgia finale di Shakespeare possa considerarsi un osservato- rio privilegiato sullo stato di salute della dialettica tra i sessi e indagare come l’uomo di teatro s’accostò alla sua ambiguità. Occorre, inoltre, dato il momento storico particolarmente con- centrato sul senso, la valenza, le deviazioni dell’istituzione matrimoniale, capire come e in che misura il microcosmo domestico – la relazione uomo-donna, moglie-marito – possa di- schiudere una semiotica del potere, una proiezione metaforica delle dinamiche politiche.
«Me of my lawful pleasure she restrained, / And prayed me oft forbearance; did it with / A pudency so rosy
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the sweet view on’t / Might well have warmed old Saturn; that I thought her / As chaste as unsunned snow. O all the devils! / This yellow Giacomo in an hour—was’t not?—/ Or less—at first? Perchance he spoke not, but / Like a full-acorned boar, a German one, / Cried ‘O!’ and mounted; found no opposition / But what he looked for should oppose, and she / Should for encounter guard».
Ibidem, p. 231.
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Anne Barton, Essays, Mainly Shakespearean, Cambridge, Cambridge University Press, 1994, p. 24.
Capitolo III
Pericles, il figlio maschio che non c’è. Micro e macrochirurgia shakespeariana sul
romanzo di Apollonio
1. Pericles e joint authorship: perché il primo romance shakespeariano non è solo shakespeariano
Il Pericles è il primo dei quattro romances e il più tortuoso a livello filologico non solo del micro-corpus romanzesco, ma dell’intera produzione shakespeariana. La sua complessa storia testuale s’intreccia al sospetto, divenuto certezza, di una co-autorialità: Shakespeare scrisse il dramma, tra gli ultimi mesi del 1607 e i primi del 1608, con George Wilkins che, già all’inizio del 1607, aveva collaborato con i King’s Men per la stesura della tragicommedia The Miseries
of Enforced Marriage. Non inserito nell’edizione in-folio del 1623, ma unico dei sette drammi
del supplemento del 1664 a essere stato reintegrato, il Pericles fonda la propria autorevolezza testuale sul quarto del 1609, un’edizione che si caratterizza per le sue lacune: prosa e versi risultano indistinguibili, manca una scansione in atti, le poche didascalie presenti sono incom- plete. La corruzione testuale s’inserisce, inoltre, all’interno di un tessuto drammatico sfibrato che presenta uno strappo significativo tra la prima e la seconda parte, la cui ragione è ricondu- cibile ad una duplice paternità. La co-autorialità del Pericles è oggi un dato sostanzialmente incontrovertibile, emerso dopo studi scrupolosi e sorretti da metodologie scientifiche. Del re- sto, la cooperazione artistica era una possibilità creativa abbastanza frequente in epoca elisa- bettiana e giacomiana, considerata allora in modo differente rispetto a contesti, modalità e oc- casioni della produzione teatrale contemporanea. La scrittura drammatica è una scrittura in- trinsecamente collaborativa e ‘impura’, sia che si tratti di un lavoro collettivo sia che si tratti di un’attività inizialmente individuale: è impossibile anche per un solo drammaturgo esercita- re il controllo sul suo manoscritto, un manoscritto che deve essere trasmesso – e, in tal caso, chi lo copia può preservare interpunzione, spelling, intere parole o parti, oppure manipolare, talvolta mai, talvolta a intermittenza, talaltra sempre – e riadattato alle esigenze tecniche pro- prie della realtà performativa, per sua natura magmatica, contingente e incline ad adattarsi, cambiare, evolvere. MacDonald P. Jackson è lo studioso che ha contribuito in modo pressoché
definitivo alla risoluzione del mistero sull’authorship del Pericles, facendo convergere meto- do statistico e analisi stilistico-letteraria, ma, prima di lui, già Jonathan Hope aveva spiegato l’origine socio-linguistica dell’instabilità connaturata al testo drammatico. Secondo Hope, in- fatti, occorre sempre guardare al fenomeno linguistico come a un processo, senza cedere alla tentazione di considerare il linguaggio un’acquisizione granitica. In quanto processo, il lin- guaggio prevede il ricorso simultaneo a forme alternative: esistono spelling diversi della stes- sa parola che vengono usati in modo intercambiabile e, in questo caso, la preferenza di una variante rispetto all’altra non costituisce un indice e non ha valore probante. Ben diverso, però, è quando le varianti non sono intercambiabili e configurano gli elementi stabili di un testo: riuscire a individuare la ‘mano’ dietro la scelta di una variante rispetto a un’altra può essere utile ai fini dell’attribuzione e della discriminazione nel contesto di una paternità mul- tipla. Per operare questa distinzione, è necessario riconoscere i fattori sociali (l’età, l’estrazio- ne, il genere) che soggiaciono a una scelta lessicale e comprendere la dinamica tra varianti. Come nella genetica, anche nella socio-linguistica, una variante è dominante e un’altra reces- siva: la prima risponde a una sfida di adattamento rispetto a una mutata condizione ambientale e finisce per prevalere gradualmente sulla seconda . Per questa ragione, MacDonald P. Jack145 -
son, servendosi soprattutto delle tecniche messe a punto da Eliot Slater (anticipate dalle rile- vazioni di Sarrazin nel 1897 e di Karolina Steinhäuser nel 1918), riesce a dimostrare che l’atto primo e secondo del Pericles sono stati scritti da un autore diverso rispetto a quello degli ul- timi tre. Dal momento che il vocabolario di ciascuna delle opere shakespeariane presenta dei legami linguistici con le altre scritte approssimativamente nello stesso periodo, sottoponendo gli ultimi tre atti al test chi quadro , risulta un’indice di compatibilità molto elevato con The 146 Tempest, un’opera in tutta probabilità scritta nel 1611, mentre, sorprendentemente, i primi due
atti registrano una correlazione linguistica con il medesimo dramma piuttosto scarsa, mo- strando, invece, legami più evidenti con Antony and Cleopatra e Coriolanus, rispettivamente
Per approfondire la questione, si legga l’intero studio di Jonathan Hope, The Authorship of Shakespeare’s 145
Plays: A Socio-linguistic Study, Cambridge, Cambridge University Press, 1994: oltre all’introduzione (pp. 3-10),
si vedano la parte metodologica (pp. 11-66) e quella applicativa (pp. 67-148).
Si tratta di un test statistico che rileva la corrispondenza tra frequenze empiriche e frequenze teoriche, occor
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l’opera precedente e successiva al Pericles. La risultanza del test confermerebbe la frattura interna al dramma e sarebbe compatibile con un’ipotesi: Shakespeare avrebbe revisionato i primi due atti del Pericles nel periodo in cui stava lavorando ad Antony and Cleopatra e al
Coriolanus e scritto gli ultimi tre leggermente più tardi, quando stava già inaugurando lo stile
dell’ultima fase produttiva, quella ‘romanzesca’ . Vistose divergenze stilistiche tra i primi 147
due atti e gli ultimi tre escludono, infatti, la possibilità di una mera stesura in due tempi, ri- conducendoci, piuttosto, all’alta probabilità di una paternità divisa . Questa considerazione, 148
insieme agli esiti statistici, sembra confermata dal lavoro effettuato sulle parti corali: i cori