Dopo essersi recato a Tarso e aver aiutato i sovrani Cleon e Dionyza a risolvere una grave carestia, Pericles si rimette in viaggio verso Tiro, ma una furiosa tempesta lo getta, naufrago, sui lidi di Pentapoli, dove viene trovato da tre pescatori: Pericles è l’unico, tra gli uomini che si erano imbarcati con lui, a essere sopravvissuto. La figura del pescatore è, tradizionalmente, investita di un valore salvifico, ‘soteriologico’, che è comune alla mitologia greca e all’imma-
Michael Baird Saenger “Pericles and the Burlesque of Romance”, in David Skeele (a cura di), Pericles: Criti
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ginario cristiano, e di un’attribuzione di povertà che è propria della tradizione ellenistica. 178
Nel romanzo di Apollonio il pescatore è uno solo, ma la sua funzione, quella di salvatore e di aiutante, è la medesima. L’inserto shakespeariano sintetizza questo doppio associazionismo, la ‘provvidenza’ e la povertà, applicando all’episodio del salvataggio da parte dei pescatori una patina ‘pauperistica’ ed eleggendo uno di loro – fattosi teller – ad autore di una vera e propria meditazione ‘darwiniana’ sulle logiche predatorie della società e sulla dialettica interclassista.
FIRST FISHERMAN
Why, as men do a-land—the great ones eat up the little ones. I can compare our rich misers to nothing so fitly as to a whale: ’a plays and tumbles, driving the poor fry before him, and at last devour them all at a mouthful. Such whales have I heard on o’th’ land, who never leave gaping till they swallowed the who- le parish: church, steeple, bells, and all. (2.1.28-34)
Se è innegabile l’eco proverbiale dell’adagio «the great ones eat up the little ones», l’amara riflessione del pescatore comunque riflette il clima turbolento della Londra pre-capitalista del tempo e quel milieu che aveva influenzato anche il Coriolanus, un dramma contemporaneo al
Pericles che assorbe le tensioni di classe e riassume nella figura tragica dell’eroe protagonista
una paura del contagio che è insieme sociale e personale, un culto per la purezza, a livello ci- vile e a livello intimo, che è destinato a soccombere e a essere storicamente e moralmente
Il geografo Pausania (V 13,4-6), ad esempio, riferisce un mito relativo alla guerra di Troia – un tempo, dun
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que, remoto e come tale percepito al momento della scrittura, nel II d. C. – durante la quale si era diffuso un vati- cinio secondo cui sarebbe stato impossibile vincere senza prima recuperare l’arco di Eracle e un osso di Pelope. Proprio per questo venne fatto venire Filottete (che possedeva l’arco) e da Pisa fu fatta arrivare la scapola di Pe- lope. Questa, però, andò persa durante una tempesta. A ritrovarla fortunosamente fu Damarmeno, un pescatore d’Eretria che la restituì, ottenendone in cambio l’onore di essere custode dell’osso. La reliquia ‘miracolosa’ fini- sce nella rete del pescatore e il pescatore si fa salvatore inatteso, figura benefica e ‘provvidenziale’. Nel Cristia- nesimo, l’immagine del pesce ricorre negli episodi evangelici: la chiamata dei pescatori; la pesca miracolosa; la moltiplicazione dei pani e dei pesci. Tertulliano, nel suo trattato De Baptismo, prima opera cristiana in lingua latina (III d. C.), definisce, in 1.3, i Cristiani pisciculi, perché la salvezza, per loro, sarebbe passata attraverso l’acqua battesimale. Il nome greco per dire pesce – Ἰχθύς – era l’acrostico della confessione associata al nome di Gesù – 'Ιησοῦς Χριστός Θεoῦ Υιός Σωτήρ, ossia “Gesù Cristo, Figlio di Dio Salvatore” – e immagini di pesci, come simboli cristologici, erano notoriamente ricorrenti nelle prime catacombe cristiane ed erano anche veri e propri segni identificativi. Vi è, inoltre, un’altra associazione da considerare, quella tra il pescatore e una condi- zione di povertà. L’idillio XXI di Teocrito, spurio e databile al I d.C., è un dialogo tra due pescatori che intessono un vero e proprio elogio dell’indigenza: uno dei due, a un certo punto, racconta all’altro di aver sognato di pesca- re un pesce d’oro; al resoconto di questa singolare evasione onirica, il compagno puntualmente ribatte che, se i sogni sono lo spazio della speranza, è la consapevolezza del reale a dover spronare il sognatore a cercare un pe- sce di carne con cui sfamarsi.
sconfitto. L’inserimento dei pescatori e delle scene del bordello a cui Marina viene venduta 179
infrangono la continuità della cornice principesca e, più che bozzetti stilizzati, sono squarci sul mondo reale, sui problemi della gente comune. Il romance non è, allora, in tal senso, hi-
story-free, come, invece, sostiene Steven Mullarney.
Pericles reveals Shakespeare's systematic effort to dissociate
his art from the marginal contexts and affiliations that had for- merly served as the grounds of its possibility. […] An experi- ment never repeated: unlike The Winter's Tale or The Tempest, Pericles represents a radical effort to dissociate the popular stage from its cultural contexts and theatrical grounds of possi- bility – an effort to imagine, in fact, that popular drama could be a purely aesthetic phenomenon, free from history and from historical determination. In later Shakespearean romance, the Utopian impulse of the genre turns to the problematics and imaginary resolution of social and class divisions or to sear- ching explorations of colonial ideology and the limits of pa- triarchal power and authority; here, Utopian desire attempts to imagine a purely aesthetic realm governed by it purely aesthetic and not yet available figure, that of the author . 180
La trasparenza della dimensione estetica del romance shakespeariano viene compromessa, sin dal Pericles, da una contaminazione tra gli immaginari: gli scenari di corte convivono con quelli popolani, la lingua retorica e affettata dell’aristocrazia si mescola ai codici poco sorve- gliati dei commoners e il mondo rappresentato, benché mistificato dall’artificio drammaturgi- co, non è anestetizzato o congelato nell’impulso ‘purista’, ma mantiene saldo il principio del- l’inclusione. La storia, la società, non sono lontane dal palco, ma all’interno di esso. In Peri-
cles tutto si sdoppia e il tropo letterario derivato dalla tradizione non è ripreso pedissequamen-
te, ma accolto perché fertile, perché capace di attivare una corrispondenza con l’attualità in- glese. Nel romanzo greco, ad esempio, la puntuale ricorrenza dei pirati era precipuamente funzionale a sbrogliare un intreccio che si era aggrovigliato su se stesso o a movimentare il
plot addormentato: anche il romanzo di Apollonio se ne serve in questo modo. In Shakespeare
i pirati ricoprono la stessa funzionalità: la loro irruzione è strumentale a interrompere l’azione Bordelli, ruffiane e lenoni entrano nel romanzo greco attraverso la mediazione della Commedia Nuova che
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influenza il teatro latino, come quello di Plauto, un autore che Shakespeare conosceva molto bene.
Steven Mullarney, “All that Monarchs Do: the Obscured Stages of Authority in Pericles”, in David Skeele (a
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omicida di Leonine e a catapultare Marina dalla sua prima condizione di figlia adottiva cre- sciuta nella reggia di Tarso a quella di schiava in un bordello. Il senso della figura dei pirati è, quindi, senza dubbio, opportunistico. Tuttavia, il fatto che Shakespeare vi ricorra non è azione disinteressata e mai Shakespeare lo avrebbe fatto se non avesse rintracciato nella pirateria un nucleo cogente, un valore trascendente rispetto alla loro immanenza strumentale.
Piracy in the Mediterranean was especially severe towards the end of Elizabeth’s reign and in the first years of James’s. Pirates could be identified with the view of contemporary Medi- terranean as ‘other’ or reprobate. […] Both Elizabeth and Ja- mes were ambivalent about English pirates, who could be useful
in war and, cunningly handled, in enriching the treasury . 181
Non è un caso che la pirateria e l’ambivalenza politica nei suoi confronti fosse una delle preoccupazioni dell’Inghilterra elisabettiana e proto-giacomiana: il drammaturgo esperto è consapevole che l’inserimento del motivo dell’irruzione dei predoni – di fatto un cliché, un
topos ereditato dalla tradizione – è in grado di innescare nell’audience una dinamica proietti-
va.