La struttura del Blackfriars rendeva più semplice il ricorso agli effetti speciali – macchi106 -
nari agganciati al tetto che permettevano la resa delle scene aeree, come in The Tempest, e del- la discesa del deus ex machina, come il Giove sul dorso di un’aquila del Cymbeline – e l’espe- rienza del teatro come uno spazio di artificio, come materializzazione di una realtà di finzione alternativa e solo in parte mimetica rispetto alla vita, propiziò, in un certo senso, la riflessione meta-teatrale che è una delle principali caratteristiche di questo nucleo di opere finali . La 107
nuova playhouse della compagnia era, infatti, come già detto, uno spazio chiuso: ciò significa che non vi era più la necessità di dipendere dall’illuminazione naturale e il ricorso alle candele produsse, da una parte, il consolidamento della partizione a cinque atti con quattro intervalli per rendere più frequenti le pause utili all’eliminazione della parte carbonizzata del moccolo, e, dall’altra, più significativamente, una maggiore attenzione alle soluzioni stilistiche e al con-
Clara Mucci, I corpi di Elisabetta: sessualità, potere e poetica della cultura al tempo di Shakespeare, Pisa,
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Pacini Editore, 2009, p. 200.
Sui teatri privati d’età giacomiana, si vedano due studi imprescindibili: Keith Sturgess, Jacobean Private
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Theatre, New York, Routledge, 1987; per una visione più globale, ci si riferisca a Eoin Price, ‘Public’ and ‘Priva- te’ Playhouses in Renaissance England: The Politics of Publication, New York, Palgrave Macmillan, 2015.
Basti pensare all’insistenza sulla marca semantica dell’arte-artificio-trucco in The Tempest e alla sua manife
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sta coincidenza tra tempo dell’incantesimo di Prospero e tempo dell’illusione scenica. La riflessione sulla meta- teatralità della drammaturgia shakespeariana romanzesca verrà ripresa puntualmente nelle sezioni dedicate all’a- nalisi delle singole opere e rappresenterà uno dei focus principali di questo studio nei capitoli a seguire.
trollo interpretativo del momento attoriale . Lo spazio era ridotto, la sala più piccola e, dun108 -
que, la platea si trovava più vicina al palco. Se questo dato non comporta necessariamente un maggior coinvolgimento del pubblico rispetto a quanto accadeva on-stage, certamente deter- mina, però, in chi mette in scena l’esigenza di esacerbare lo scrupolo nei confronti del detta- glio: non è detto che lo spazio raccolto incoraggi il calore e la partecipazione emotiva del pubblico, ma è indubbio che ne favorisca la risposta critica, la predisposizione a esaminare in modo più severo le performance attoriali.
Yet Blackfriars plays were performed on a small, crushed stage in the midst of spectators who took boxes around or stools on the stage itself. […] At the Globe, high-paying audience had sat away from the stage, either in the “Lord’s Room” or in the upper gallery. At the Blackfriars, the high-paying audience sur- rounded the stage, judging the performance minutely, locally and critically . 109
Gli attori erano tenuti, pertanto, ad adottare uno stile recitativo più naturalistico e sorveglia- to: la lingua dell’ultima fase shakespeariana, così densa e affaticante, talvolta sprezzante del- l’intelligibilità, già li metteva di fronte a una notevole sfida interpretativa, a cui si aggiungeva la prossimità del pubblico alla platea, una condizione che di per sé predisponeva all’amplifi- cazione di ogni eventuale errore o fraintendimento di registro. Nel teatro greco classico, una rivoluzione importantissima fu quella avviata da Timoteo di Mileto che propose uno sbilan- ciamento del rapporto tra melodia e parola nei generi performativi a favore della parte musi- cale, incontrando le resistenze dei tradizionalisti e il favore di Euripide che, a partire dal 415 a.C., inclinò per una composizione tragediografica innovativa rispetto alla concezione del ruo- lo del coro, ridimensionato a favore degli intermezzi musicali monodici. Questo evento segnò una cesura, un trapasso fondamentale nella storia della drammaturgia antica. La questione del- la cesura tra midness e lateness shakespeariana, tra Shakespeare tragico e Shakespeare roman-
Sull’illuminazione in teatri aperti e chiusi, uno studio oltremodo esaustivo è quello di Robert Graves,
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Lighting the Shakespearean Stage, 1567-1642, Carbondale and Edwardsville, Southern Illinois University Press,
1999: si leggano, più in particolare, le pp. 125-157.
Tiffany Stern, “Taking Part: Actors and Audience on the Stage at Blackfriars”, in Paul Mezner (a cura di), 109
Inside Shakespeare: Essays on the Blackfriars Stage, Selinsgrove, PA, Susquehanna University Press, 2006, p.
zesco, dipende anche da una rivoluzione in parte simile. La differenza tra uno spazio scenico all’aperto, come quello del Globe, e uno spazio scenico al chiuso, come quello del Black- friars, implicava la possibilità di introdurre degli intermezzi musicali, una pratica che trovò nella rappresentazione indoor un’opportunità di valorizzazione. Il primo Blackfriars, quello precedente alla ristrutturazione, era stato scenario di alcune rappresentazioni di performance corali da parte di ragazzini. Quest’uso era presto decaduto, ma non il rapporto di quel teatro con l’esecuzione musicale. Un altro aspetto estremamente significativo è che, prima del 1610, anno in cui il Blackfriars venne riaperto dopo esser rimasto chiuso per due anni a causa della peste e cominciò, dunque, ad essere effettivamente utilizzato dai King’s Men, la parte musica- le era assolta dai membri interni alla compagnia e non vi era l’abitudine a ricorrere a risorse specializzate esterne. Nella retta finale della produzione shakespeariana, invece, la possibilità di ricorrere a musici esterni alla compagnia, in grado di accedere a una gran varietà di stru- menti musicali, fece sì che gli intermezzi divennero un elemento drammaturgico fondamenta- le, non solo evasioni o inserzioni esornative, ma veri e propri momenti di interlocuzione e po- tenziamento emotivo, di sottolineatura retorica della pregnanza semantica di un evento dram- matico inscenato . Quando Ferdinand, in The Tempest 1.2.406-408, ‘sente’ una melodia pas110 -
sargli sopra il capo («The ditty does remember my drowned father. / This is no mortal busi- ness, nor no sound / That the earth owes – I hear it now above me»), il suono proveniente da sopra è il canto eseguito nella sezione di spazio sopraelevata rispetto al palco: il ricorso allo spazio della galleria superiore dovette essere particolarmente frequente nel dramma. È dunque vero che il margine di sofisticazione tecnico-formale dei romances è maggiore rispetto alle altre opere shakespeariane, ma questo anche perché l’adozione del Blackfriars come spazio scenico mette in campo risorse architettoniche e meccaniche, equipaggiamenti e contributi umani e materiali sconosciuti al Globe, ed è altrettanto vero che, grazie a una serie di contin- genze e di occasioni materiali, Shakespeare poté sviluppare una drammaturgia più adatta alla
Un ottimo contributo sul ruolo esercitato dalla musica nella dialettica con l’evento scenico è quello di David
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Lindley, “Blackfriars, Music and Masque: Theatrical Contexts of the Last Plays”, in Catherine M. S. Alexander (a cura di), The Cambridge Companion to Shakespeare’s Last Plays, Cambridge, Cambridge University Press, 2009, pp. 29-43.
fruizione intellettuale che emotiva o, perlomeno, maggiormente predisposta a favorire proces- si meditativi.