Credo che sia importante che fin dall’inizio si faccia una distin-zione ben chiara: la conoscenza delle sfide, in reladistin-zione al tema della evangelizzazione, non si riduce ad una forma di esercizio sociologico.
Qui tutto inizia da un “atteggiamento del cuore”, da una certa forma cordis, che completa, sostiene e arricchisce una forma mentis e che insieme alimentano il nostro desiderio di essere pastori e educatori dei giovani. È una cosa se decidiamo di affrontare il tema della nuova evangelizzazione partendo da un desiderio solo analitico, che finisce per proporre soltanto tecniche e scelte metodologiche, e un’altra cosa se esaminiamo lo stesso tema partendo da quella che è, fin dall’inizio, la sola preoccupazione della Chiesa – quella pastorale. Cioè la Chiesa che fa suo il mandato affidatole da parte di gesù. A noi urge man-tenerlo vivo, perché dalla fedeltà a questo comandamento dipende la nostra vera gioia.
Il documento (al n. 6) elenca sei di queste sfide. mi fermerò sulla prima che mi sembra la più critica e alla luce della quale si leggono tutte le altre che seguono. I Lineamenta indicano come sfida centrale lo scenario culturale di sfondo. Un ambiente quello nostro che sta assu-mendo una fisionomia di profonda secolarizzazione. Con tale termine si vogliono indicare alcune conseguenze per la nostra missione evan-gelizzatrice, cioè la perdita della capacità di ascolto e di comprensione della parola evangelica come un messaggio vivo e vivificante:
“la secolarizzazione si presenta oggi nelle nostre culture attraverso l’im-magine positiva della liberazione, della possibilità di immaginare la vita del mondo e dell’umanità senza riferimento alla trascendenza (…) sviluppare una mentalità in cui Dio è di fatto assente, in tutto o in parte, dall’esistenza e dalla coscienza umana (Lineamenta, n. 6).
In un ambiente culturale così segnato, non ci deve far meraviglia notare come questi tratti di un modo secolarizzato di intendere la vita, segnano il comportamento quotidiano di molti cristiani. Per noi educatori e pastori, l’incontro nostro è con giovani che sono figli di questo ambiente. Il loro modo di sentire e di capire è fortemente se-gnato da una cultura secolarizzata.
C’è da aggiungere che uno dei forti contenuti della secolarizzazio-ne è la così detta morte di Dio. Annunciata a suo tempo da nietzsche, questa “morte” ci ha procurato non solo un mondo pieno di orfani, ma un mondo pieno di eredi, cioè di altrettanto dei che hanno subito preso il posto del dio morto. In questo complicato scenario, si aggiun-ge il fatto che la presente cultura europea è afflitta da una permanente allergia a tutto quello che è cristiano. Tale allergia diventa cronica se in mezzo si presenta il contributo dei cattolici.
Tale situazione non ha fatto altro che favorire uno sterile culto dell’individuo. dove manca dio, entra con grande pompa l’uomo al suo posto.
due aspetti che i Lineamenta indicano in questo stato di cose sono molto pertinenti per la nostra riflessione. Il primo è quello che stiamo notando nell’Europa Occidentale e del quale già cominciamo a vedere l’effetto nel resto dell’Europa: il rischio di perdere gli elementi fonda-mentali della grammatica di fede. non illudiamoci – con l’aggressiva avanzata del secolarismo ci troviamo davanti ad un vento che fa ca-dere ciò che non ha solide radici, ciò che non è costruito sulla roccia, saldo nella fede. la perdita del vocabolario della fede non è frutto di una scelta politica, ma risultato di tutta una cultura fine e sottile che fa vedere dio come superfluo, perfino inutile.
durante il convegno “Dio oggi. Con lui o senza di lui cambia tutto”, tenuto a Roma nel mese di dicembre 2009, il cardinale Camillo Ruini così risponde alla domanda se la situazione è tanto preoccupante:
“È preoccupante sul piano culturale, perché oggi sono molto forti e dif-fuse, fino ad apparire prevalenti, le tendenze a negare o a ignorare dio: lo si riduce a un prodotto della nostra mente, del nostro desiderio o della nostra struttura psichica, oppure si sostiene che per via razionale di dio non si possa conoscere nulla, che lo si possa conoscere solo attraverso una scelta di fede puramente soggettiva. Questo è motivo di preoccupazione per noi”.2
Il secondo aspetto di questa sfida e che notiamo come una sua conseguenza è il rischio di “cadere in un’atrofia spirituale e in un vuoto del cuore, o al contrario in forme surrogate di appartenenza religiosa e di vago spiritualismo” (Lineamenta, n. 6).
di fronte a questa sfida, se non viene colta nella sua radicale iden-tità, noi rischiamo di creare un mondo parallelo dove la facciata della fede nasconde un vuoto pericoloso. Continuiamo ad agire, cioè, in un contesto che non riusciamo veramente a formare, meno ancora a trasformare. Per noi educatori e pastori si traduce, in effetti, in quello stato strano di cose dove continuiamo ad offrire risposte a domande che non esistono più – la famosa frase: “Si è sempre fatto così!”.
le altre sfide indicate nei Lineamenta sono molto attuali. breve-mente mi riferisco a due grandi sfide, come quella del «clima di estre-ma fluidità e “liquidità” dentro il quale c’è sempre meno spazio per le grandi tradizioni, comprese quelle religiose». Un tema questo molto sviluppato dal polacco Zygmunt bauman, sociologo e filosofo nelle università di Varsavia e di leeds, in Inghilterra.
l’altra grande sfida è quella «dei mezzi di comunicazione sociale,
“luogo” della vita pubblica e della esperienza sociale… (con i suoi) in-dubbi benefici (ma anche con i suoi) rischi – una profonda concentra-zione egocentrica su di sé e sui soli bisogni individuali… un’esaltaconcentra-zione della dimensione emotiva… la perdita di valore oggettivo dell’esperienza, della riflessione e del pensiero… la progressiva alienazione della dimen-sione etica e politica della vita… la cultura dell’effimero, dell’imme-diato, dell’apparenza… (insieme alla) audacia di abitare questi “nuovi areopaghi”».
2 Corriere della Sera, 2 dicembre 2009, intervista di gian guido Vecchi.