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Parte prima – ispirazione

Nel documento Collana SPIRITO E VITA - 51 (pagine 79-83)

nella prima parte le tre brevi riflessioni sono quelle attorno alla se-quela Christi, il cortile come lo spazio dove la profezia si rende visibile e accessibile, e la Chiesa, come il corpo mistico di Cristo, là dove si trovano le nostre radici, dove si nutre l’anima di ciascuno di noi.

* Relazione condivisa a San Salvador, il 26 ottobre 2011, durante la Visita d’In-sieme della Regione Inter-America.

1.1. Sequela Christi

Al primo numero del Cg26 leggiamo: “In ascolto dello Spirito ci sentiamo chiamati a ritornare a don bosco come guida sicura per camminare nella sequela di Cristo con un’ardente passione per dio e per i giovani, soprattutto i più poveri”.

Per noi oggi credo che sia urgente insistere su questo nucleo centra-le della nostra vocazione. davanti al reacentra-le rischio di diventare esperti, o almeno funzionari, educativi, ma non arriviamo a essere veri evan-gelizzatori, è fondamentale partire da questa convinzione basilare, evitando uno svuotamento abbastanza prevedibile. All’interno della nostra riflessione come regione, propongo come primo punto quello di chiederci se siamo veramente attenti a questa profonda chiamata, tante volte richiamata dai nostri Rettori maggiori, fino a don Pascual Chávez.

In alcune parti della Congregazione, dove la globalizzazione e la post-Cristianità stanno lasciando i loro segni, tracce evidenti di vuo-to esistenziale e aridità spirituale, iniziamo anche noi ad ascoltare il grido dei giovani, che tipo di adulto stanno cercando. In relazione a questo stato di vuoto, non sarebbe fuori posto porre la domanda se i giovani vedono in noi questa presenza viva di Cristo che noi pubbli-camente professiamo di annunziare. I giovani si chiedono “se siamo veramente delle persone oranti”. Per loro interessa che noi non siamo gente che soltanto parla pedagogicamente di dio, della preghiera e della fede, ma anche gente che vive ciò di cui parla. Come persone che abbiamo la responsabilità di governo e di animazione, vedo op-portuno confrontarci sulla domanda se alla capacità del parlare bene su dio, segue, o meno, una testimonianza coerente che siamo anche persone che parlano con dio.

All’interno di questo discorso di vita autenticamente spirituale, lo stesso vale per il vissuto dell’Eucaristia. I giovani ci sentono dire che l’Eucaristia è centrale: è o non è una realtà centrale nella nostra vita?

Credo che sia corretto e giusto anche esaminare fino a che punto l’esperienza della nostra vita comunitaria quotidiana dice quello che predichiamo.

là dove abbiamo degli studi e delle riflessioni sull’indebolimento

della vita religiosa, non stupisce incontrare indicatori che rilevano un indebolimento della stessa esperienza della fede degli stessi religiosi.

Questo primo punto del Cg26 ci invita a confrontarci con un reale rischio che corriamo – continuare ad essere impegnati nel lavoro pedagogico e anche in quello pastorale, ma con una certa stanchezza e disaffezione spirituale, con una vita religiosa e credente piuttosto debole.

1.2. “Essere nel cortile”

Al secondo numero del Cg26 siamo invitati a riscoprire l’essere nel cortile: “Ritornare a don bosco significa ‘essere nel cortile’, ossia stare con i giovani, specialmente i più poveri, per scoprire in loro la presenza di dio e invitarli ad aprirsi al suo mistero di amore.”

l’invito è chiaro quanto è impegnativo. Aggiungerei che, fin dal tempo di don bosco, l’invito a essere nel cortile ha rappresentato un vero banco di prova. la presenza dei Salesiani con i giovani per noi è un termometro, un chiaro indicatore della nostra gioia di essere salesiani. lo dimostra la Lettera da Roma, 1884, con il famoso grido

“dove sono i nostri Salesiani?... negli antichi tempi dell’Oratorio lei non stava sempre in mezzo ai giovani e specialmente in tempo di ricreazione? Si ricorda quei belli anni? Era un tripudio di paradiso, un’epoca che ricordiamo sempre con amore, perché l’amore era quello che ci serviva di regola, e noi per lei non avevamo segreti”.

Credo che sia importante rilevare che l’assenza dei salesiani dal cortile non è solo una assenza fisica. È anche un’indicazione che pian piano stiamo abbandonando il privilegiato spazio della umana convi-venza, da dove crescono poi i pilastri di una vera esperienza educativa.

dobbiamo avere il coraggio di ammettere che l’assenza fisica sta ad indicare una crescente distanza affettiva. Il cortile per noi è uno spa-zio fisico, ma più ancora è uno spaspa-zio dove si intrecciano tra di loro il bisogno dei giovani di essere ascoltati, come anche il loro bisogno di essere accompagnati nella ricerca del senso che può, anzi deve, passare attraverso quelle relazioni con adulti maturi gli educatori rappresen-tano e facilirappresen-tano.

l’assenza dal cortile, come assenza fisica e insieme assenza paradig-matica, la vediamo riflessa nel mancato accompagnamento dei giova-ni, sia a livello di gruppi come anche a livello personale. Il deficit che notiamo nell’accompagnamento spirituale, non è che la conseguenza inevitabile di una mancata presenza adulta educativa, che attraverso l’assistenza ha la capacità di suscitare processi di maturazione, umana e spirituale. Tutti sappiamo che i processi iniziati nell’assistenza, a loro volta, conducono alla richiesta di un accompagnamento spiritua-le più profondo e vocazionalmente proficuo.

A questo punto è illuminante la riflessione che papa benedetto ha condiviso al Congresso Continentale latinoamericano delle Vocazione, nel mese di febbraio scorso. Cito solo una breve frase del discorso che va letto nella sua totalità: “È necessario offrire alle giovani generazioni la possibilità di aprire il proprio cuore a una realtà più grande: a Cristo, l’unico che può dare senso e pienezza alla loro vita… Certamente, la testimonianza personale e comunitaria di una vita di amicizia e d’inti-mità con Cristo, di totale e gioioso dono di sé a dio, occupa un posto di prim’ordine nell’opera di promozione vocazionale”.2

1.3. Con Don Bosco nella Chiesa

Il terzo numero del Cg26 ci invita a vedere la nostra vocazione sa-lesiana a livello ecclesiale. la vocazione religiosa sasa-lesiana ci pone con un carisma specifico nel corpo mistico di Cristo che è la Chiesa. Qui troviamo la radice di ciò che siamo, della nostra identità: “Approfon-dendo l’itinerario spirituale di don bosco… ci impegna a sviluppare una testimonianza visibile e credibile della nostra vocazione, una radi-cale sequela di Cristo, un forte senso di appartenenza alla Chiesa, alla Congregazione e alla Famiglia salesiana, una chiara percezione della nostra identità spirituale e pastorale”.

Il tema della Chiesa per don bosco era di fondamentale impor-tanza. Fin dall’inizio del suo ministero, non abbiamo solo l’amore

2 benedetto XVI, messaggio al II Congresso Continentale latinoamericano delle Vocazioni, Cartago, 31 gennaio - 5 febbraio 2011.

di don bosco per la Chiesa e per il Papa. notiamo, soprattutto, una visione della sua azione pastorale che andava di là dal territorio. la sua comprensione della Chiesa interpretava in maniera larga la sua azione pastorale. la Chiesa era il Corpo mistico di Cristo che bisognava pri-ma di tutto apri-mare, per poi far apri-mare. Il forte senso di appartenenza alla Chiesa non arriva se non frutto di un continuo sforzo a livello affettivo e effettivo, come direbbe san Francesco di Sales.

Conseguenza di questo amore, sarà lo sforzo che facciamo a livello locale di inserirci sempre di più nel tessuto della Chiesa locale, evitare un isolamento che non fa bene a nessuno. non sarà sempre facile tale processo. Il punto rimane, però, che la distanza e il ghettismo non ci portano nessun bene.

Nel documento Collana SPIRITO E VITA - 51 (pagine 79-83)