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Mons. Claude Dagens

Nel documento Collana SPIRITO E VITA - 51 (pagine 101-106)

6. La voce dei pastori

6.2. Mons. Claude Dagens

Un secondo pastore di cui porto una breve riflessione, è mons.

Claude dagens, vescovo di Angoulême, che qualche anno fa, per la seconda volta, ha offerto alla Chiesa in Francia una sua riflessione sulla Chiesa nel suo paese.

In un articolo che porta il titolo Indifferenza, Visibilità e futuro del cristianesimo francese, apparso in “Il Regno” (2008, n. 2. pp. 5ss), frut-to di una conferenza tenuta a Parigi nel dicembre 2007, dagens nota come in un contesto dove la Chiesa è vista in una luce negative, i cat-tolici e i cristiani sono messi alla prova: “È innegabile che il fenomeno cristiano appare poco e non ha sufficiente esposizione pubblica”.

Egli presenta tre segni di tale stato di fatto.

Primo segno: la debole risonanza mediatica delle iniziative cattoliche.

Tutte le grandi manifestazioni cattoliche sono presentate come se fos-sero riservate a una élite di specialisti!

Secondo segno, più complesso, ma che conferma il primo: la cultura cristiana e cattolica viene considerata inadeguata ai tempi. Esiste rispet-to per la cultura catrispet-tolica, per il patrimonio, ma non fa presa sulla cultura moderna o postmoderna! Il mondo cattolico e quello sociale sembrano essere due mondi paralleli.

Terzo segno: i cattolici non sono che un gruppo religioso fra tanti.

dagens con franchezza scrive che è “necessario trarre tutte le con-clusioni possibili da questa situazione critica. bisogna essere critici verso le critiche”. E suggerisce una pista nella quale offre la sfida alla Chiesa.

Il suo discorso, come quello di mons. Fisichella, cammina sulle stesse linee dei Lineamenta. Suggerisce che, se tali osservazioni sono reali, allora bisogna avere il coraggio e riflettere su cosa ci stanno di-cendo:

La prima è un’evidenza: la Chiesa cattolica, nella nostra società plu-ralista, non è più, sempre che lo sia mai stata, in posizione egemonica e non cerca di riconquistare il terreno che avrebbe perduto.

La seconda è che in questo contesto l’adesione alla fede cristiana non può essere, non può più essere un atto di conformismo sociale. È un atto di libertà personale e anche un’importante evoluzione se pensia-mo che la cultura cattolica è spesso stata identificata con una cultura dell’obbligo e di una rigida autorità contrapposta a una cultura di libertà.

mi sembra molto intuitivo non solo quello che egli suggerisce, ma lo spirito con il quale interpreta la situazione attuale. Per chi crede non c’è un tempo migliore per testimoniare la sua fede, se non quello nel quale il Signore lo manda a viverla. Il tempo nostro è il tempo nel quale il Signore ci chiede di testimoniarlo e ci invita a farlo presente.

Conclusione

In una ricerca fatta in Italia nel 2006, diretta dal noto sociologo Franco garelli, si constata che l’idea di vocazione è ancora positiva-mente diffusa tra i giovani. Uno su dieci ha considerato l’idea di farsi prete, religioso o suora. Quello che ci fa riflettere a livello pastorale sono due note che l’autore ricava come frutto delle risposte dei giova-ni: la prima riguarda il terreno privilegiato della ricerca vocazionale, mentre la seconda è la crescente necessità di guide e di accompagna-tori spirituali dei giovani.

È raro il caso, commenta garelli, dove la chiamata vocazionale nasce dall’invito di una persona, come se tutto si limitasse a quel momento breve anche se normalmente molto serio. Più spesso il cam-mino vocazione è l’esito di una esperienza di vita, frutto di una matu-razione di fede che porta all’interrogativo vocazionale. In altre parole, il terreno al quale bisogna dare più attenzione sta diventando sempre di più quello dei gruppi, con delle proposte di fede e di carità che coinvolgono in modo integrale la personalità dei giovani.

la seconda nota è quella sulla necessità di guide e di accompagna-tori spirituali. Urge sempre di più per noi Salesiani riscoprire la forza

dell’assistenza salesiana, la presenza di adulti che rafforzano la me-moria di una fede matura, allegra e gioiosa. la presenza del Salesiano non è più un lusso ma una urgenza. Riconquistare il ‘cortile’ sulla scia della lettera di Roma ce lo stanno chiedendo i giovani, alla ricerca di quella razza che sta diventando sempre di più rara – adulti significati-vi. Ecco il commento dello stesso garelli nel suo articolo nella rivista Note di Pastorale Giovanile:

“Troppi giovani hanno difficoltà a individuare nel loro intorno imme-diato delle persone significative, capaci di richiamarli ad un’idea alta di vocazione. molti dichiarano di non essere mai stati aiutati da alcuno a com-prendere le proprie aspirazioni o a meglio perseguirle. Altri hanno difficoltà a individuare delle figure ‘vocazionali’ significative nei luoghi ordinari in cui essi scandiscono l’esistenza. Una certa quota di giovani, poi, dichiara di aver pensato – nel corso della propria sin qui breve esistenza – di abbraccia-re la vita sacerdotale o abbraccia-religiosa. Per i più si è trattato di un’intenzione dal fiato corto, come quelle che si maturano nell’infanzia o dell’adolescenza, all’epoca del catechismo, o dell’oratorio, o delle scuole cattoliche. Tuttavia, non pochi di questi giovani vi hanno riflettuto per più di tre anni, anche se poi vi hanno rinunciato. È il segno che gli ambienti e le figure religiose esercitano ancora un certo fascino sui ragazzi d’oggi”.6

6 F. garelli, “giovani e vocazione: atteggiamenti, tensioni”, in “note di Pa-storale giovanile”, 1/2009, pp. 17-21.

Capitolo ottavo

RADICALITÀ EVANGELICA E MISSIONE GIOVANILE*

Dunque, l’evangelizzatore con la sua interiorità apostolica è veramente il protagonista strategico della nuova evangelizzazione…

La nuova evangelizzazione sarà frutto di interiorità o non sarà: ciò è primario; da qui sgorga la possibilità di una “ forma nuova”

(don Egidio Viganò, ACG, n. 331).

nella sua opera Chi è il Cristiano?, Hans Urs von balthasar offre una riflessione che ci apre la porta sul tema di questo articolo. Curioso è il fatto che balthasar pone la “l’angosciosa domanda” nella bocca dei giovani:

“I giovani pongono domande. Chi sa dare la risposta? Prima di do-mandare i giovani si guardano intorno con una diffidenza metodica non ingiustificata. Questi uomini, che si dicono cristiani, su che cosa fondano la loro pretesa? Sull’abitudine, sulla tradizione, su qualcosa che hanno im-parato a memoria nell’istruzione giovanile? ma tutto questo su che cosa si fonda, su che si misura la tradizione, il catechismo, la prassi sacramentale?

Sul Vangelo?”.1

Partiamo da questa iniziale domanda, perché la risposta che più tardi offre von balthasar tocca precisamente il tema che qui trattere-mo. Scrive che “in ultima istanza (il cristiano) è colui che inserisce più profondamente l’elemento cristiano nella materia del mondo monda-no, lo ‘incarna’ in modo più radicale”. Che tutto quello che dice vita

* Si tratta dell’articolo preparato per una pubblicazione che accompagnerà il Capitolo generale 27 (2014).

1 H.U. von balthasar, Chi è il Cristiano? Meditazioni teologiche, Queriniana, brescia 1966, p. 5.

cristiana aspetta di essere tradotto “in vita ed in atto (…) nella vita cristiana quotidiana, cioè comune-mondana”. Una radicalità che si assume come impegno, come missione.2

È questo che gesù ha fatto fin dall’inizio della sua missione: chia-mò a sé dei discepoli per condividere con loro la sua esperienza, per-ché poi si donassero completamente alla causa sua e del suo vangelo.

Come nella domanda di von balthasar, nella sua essenza la missione è prima di tutto un’esperienza personale con gesù che fa dei suoi discepoli persone che sanno inserire più profondamente l’esperienza cristiana nella vita del mondo. Come i primi discepoli, ogni missio-nario è degno del suo nome nella misura in cui il suo agire trova le sue radici nell’esperienza viva della buona notizia; il suo fare si nutre di una realtà più intima e profonda che diventa visibile nella sua azione.

la seguente riflessione avrà due parti: la prima è legata alla rifles-sione della Chiesa attorno alla persona che riceve la chiamata ad essere missionario dei giovani. nella seconda parte tratteremo alcune scelte pastorali fondamentali che come humus nutrono la radicalità evange-lica ma anche illuminano la loro meta finale. la radicalità della vita evangelica la si vive come una scelta che si snoda all’interno di una esperienza comunitaria, della quale si sente la forza e il bisogno. Inol-tre, c’è da ricordare che la scelta radicale del vangelo nella prospettiva dell’azione missionaria, è di sua natura fonte di gioia e di verità, non solo per chi la vive, ma contemporaneamente per tanti giovani ai qua-li, altrimenti, questa fonte rimane sconosciuta, nascosta.

Nel documento Collana SPIRITO E VITA - 51 (pagine 101-106)