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Ritornare a Don Bosco

Nel documento Collana SPIRITO E VITA - 51 (pagine 122-125)

Ecco allora il primo punto a cui il Rettor maggiore ci chiama: ri-tornare a don bosco; e cita una frase che si trova poi nella letteratura salesiana: “Il nostro primo impegno – primo impegno – è quello di amare don bosco, di studiarlo, di imitarlo, invocarlo e farlo conosce-re, per ripartire da lui”.

Ecco, questo è il primo punto – così, dopo una premessa un po’

generale – che io intendo condividere con voi.

nella realtà quotidiana dei nostri gruppi, nel vissuto dei vari grup-pi della Famiglia Salesiana, quanto veramente noi possiamo dire che conosciamo don bosco? non chiedo se lo amiamo, perché lo

amia-mo; non chiedo se abbiamo la voglia di essere suoi amici, perché ce l’abbiamo; però, in un momento particolare come quello sociale e culturale, che stiamo vivendo, voler essere vicini a don bosco, voler amare don bosco non basta se questo non è la prima parte di un’e-sperienza che ci porta ad una conoscenza di don bosco la quale a sua volta ci invita a leggere la nostra azione.

la mia conoscenza di don bosco è una conoscenza che mi aiuta poi nel mio agire? Il mio amore per don bosco è un amore roman-tico? Come dice il Rettor maggiore, non si tratta di nostalgia del passato ma di ricerca di cammini per il futuro.

Siamo una forza numericamente grande. Però, in una società che ha perso la memoria di dio, in una società che vive come se dio non ci fosse, noi rischiamo, se rimaniamo chiusi dentro la nostra espe-rienza, di dar ragione a chi vive senza dio. Perché? Perché, se quelli che dio ce l’hanno, che professano di credere in gesù Cristo, non lo trasmettono, significa che non è un dono così grande da doverlo condividere.

guardate allora come la testimonianza per noi oggi diventa impe-rativa non solo per il bisogno che c’è fuori, ma anche perché indica la convinzione che c’è dentro.

Se noi ci accontentiamo di chiuderci, questo vuol dire che è un regalo che conferma l’egoismo, e la fede non è un regalo che conferma la chiusura ma spinge verso l’apertura.

Seguire don bosco, amarlo, conoscerlo, farlo conoscere per ripar-tire da lui credo che sia la sfida centrale che abbiamo noi oggi come Famiglia Salesiana.

In una società che si professava cristiana – quella società che in Europa ha cominciato a sparire negli anni ’70/’80, sicuramente negli anni ’90 –, era facile appartenere alla Famiglia Salesiana perché più o meno l’atmosfera era quella che si chiamava “societas cristiana”; anche in coloro che non erano cattolici, che non erano cristiani, il rifiuto, in qualche modo, era un esplicito riconoscimento. C’era un vocabolario cristiano, c’era una memoria religiosa, anche nello stesso rifiuto.

Oggi siamo in una società che gli specialisti chiamano post-cristia-na, post-moderna; una società che è venuta dopo il cristianesimo; una società che non ha neanche un nome e noi rischiamo di rimanere

ano-nimi in questa società anonima: con il pericolo, però, che a noi, che abbiamo un dono da condividere, può darsi che capiti come a quella terza persona del Vangelo alla quale il re affida un talento: “Io l’ho sepolto perché ho avuto paura di te”. “l’hai sepolto? Potevi portarlo dai banchieri per raccogliere almeno l’interesse”. Eppure no, la paura, l’incapacità di capire che sono stato chiamato alla responsabilità, mi è stato affidato un dono – eppure io l’ho sepolto.

Faccio questo discorso non all’insegna dell’atteggiamento negati-vo; al contrario!

È una società, oggi, affamata di dio; le ricerche che abbiamo, le ricerche sociologiche, fatte da gente che non necessariamente si inte-ressa della Chiesa, ci stanno dicendo che da 15 anni a questa parte c’è un risveglio, una voglia, un desiderio di sacro, di divino, di esperienze religiose. dove? nella fascia dei giovani.

dagli anni ’60 la sociologia ci diceva: “no, il religioso va a sparire

… chi continuerà a fare esperienze religiose saranno persone intellet-tualmente incapaci, gente che non ha voglia di affrontare la vita sen-za dio”. ma verso gli anni ’90 il barometro europeo degli European Values Studies, insieme alle ricerche che abbiamo in Italia ed in altri paesi, evidenziano una grande voglia di sacro proprio da parte dei giovani: quegli stessi giovani che noi adulti abbiamo lasciato senza nessuna esperienza di dio e abbiamo buttato nel deserto della insigni-ficatività. li abbiamo abbandonati nel deserto senza mappe, abbiamo lasciato che il cuore si inaridisse.

E sono quegli stessi giovani che oggi stanno reclamando lo spazio del sacro.

In un incontro che ho avuto con un gruppo di genitori dicevo: “È facile per noi dire: ‘Ah no, a me non mi interessa più la fede’. ma noi l’abbiamo ricevuta, noi abbiamo la possibilità di dire no, perché l’ab-biamo ricevuta. Ai nostri giovani abl’ab-biamo tolto la possibilità di dire

‘sì’, perché questa opportunità non gliela abbiamo data.

Ecco, di fronte a tutto questo, se don bosco fosse con noi, sicura-mente si darebbe molto da fare.

Immediatamente dopo il Capitolo generale, nell’aprile 2008 men-tre era in brasile, qualcuno disse al Rettor maggiore: “Cosa farebbe don bosco oggi?”. Egli rispose direttamente: “lasciamo stare il

con-dizionale: don bosco oggi siamo noi e noi tutti quanti”; non solo Sdb o FmA o Cooperatori; tutti coloro che fanno parte della Fami-glia Salesiana: don bosco è in noi oggi, in questa società. don bosco non starebbe lì a mormorare, a condannare, … no, don bosco si dà da fare; apprezza il dono della fede, lo vive, lo matura in un ambiente di amorevolezza, lo matura in quanto religione che ragiona (ecco il sistema preventivo), con intelligenza (ragione), grande apertura a dio (religione), ma allo stesso tempo con grande amore familiare (amore-volezza), e si dà da fare!

dove siamo noi oggi? Questa è la sfida e la sfida è bella, la sfida è interessantissima. Certamente ci troviamo in un incrocio molto inte-ressante della storia umana; quelli che studiano l’antropologia, l’uo-mo, la persona dell’uol’uo-mo, gli studiosi della storia e dell’umanità ci stanno dicendo che viviamo in un momento simile a quello che c’era sei secoli prima di Cristo, il periodo della grande babilonia, il periodo dell’esilio del popolo eletto. Era un periodo politicamente movimen-tato, di grandi scoperte, tra cui la moneta, il cambio. Anche oggi: la società umana, in questi ultimi 50 anni, ha fatto uno sviluppo che, normalmente, si faceva in tremila anni. Il che vuol dire che stiamo vivendo un cambio velocissimo; ecco perché esiste il problema di ge-nerazioni che non si capiscono tra di loro.

Nel documento Collana SPIRITO E VITA - 51 (pagine 122-125)