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Le conseguenze inattese delle politiche per l’immigrazione: gli immigrati tra pregiudizi e stereotip

Tavola I.10 Modelli adottati nei sistemi educativi europei: educazione preprimaria e istruzione obbligatoria a tempo pieno A.S: 2003/

I.7. Le conseguenze inattese delle politiche per l’immigrazione: gli immigrati tra pregiudizi e stereotip

Alcuni autori sostengono che gli effetti perversi e inattesi delle politiche migratorie nazionali oscillano da atteggiamenti di fatalistica rassegnazione a una cinica fiducia negli anonimi meccanismi di mercato e hanno agito in termini di diffusione dei pregiudizi relativi alla diversità degli immigrati (Pollini, Scidà,2004 p.173 ) e

hanno messo a rischio diritti civili riconosciuti dalla Costituzione ad ogni persona e […] creato un clima che serve a suscitare gli istinti su una subcultura xenofoba112, che

compromette un’ ordinata convivenza civile (CNEL, 2010 p. 5).

Se le condizioni per garantire le pari opportunità nell’accesso ai diritti sociali sono definite da una rigidità normativa poco inclusiva, la condizione degli stranieri rischia di saldarsi ad un’emarginazione economica e occupazionale che alimenta l’economia sommersa e crea un sottoproletariato che ha, per definizione, un rapporto di pura sopravvivenza con la società ospitante (Pace, 2007).

Si attivano così le condizioni che alimentano forme di discriminazione razziale che trovano origine, prioritariamente, da una discriminazione istituzionale.

Pur se gli articoli 43 e 44 del d.lgs 286/98 fanno proprio il riferimento costituzionale e la definizione contenuta nella Convenzione internazionale sulla eliminazione della discriminazione razziale113, le politiche pubbliche, limitando di fatto l’accesso a determinate occupazioni, a diritti e a benefici, innescano processi di vera e propria esclusione sociale. Basta pensare, ad esempio, alle norme di accesso all’impiego pubblico regolate dai concorsi; alla ritrosia a riconoscere i titoli di studio rilasciati dai paesi estranei al sistema occidentale o alle norme sulla naturalizzazione i cui dati forniscono “abbondanti argomenti per sostenere la tesi che la procedura, con gli elementi di discrezionalità che contiene, produce effetti discriminanti indiretti”114 (Ambrosini, 2005).

Non a caso, come la ricerca evidenzia, i fattori frenanti della mobilità sociale, legati ad ambiti115 in cui maggiormente si annidano i rischi di discriminazione razziale, riportano al prevalere del peso delle condizioni oggettive di svantaggio e di precarietà economica a cui maggiormente sono esposte alcune categorie sociali.

In questo clima contraddittorio, a cui si contrappone una politica centrata sui grandi temi e sulla revisione dei grandi impianti normativi – cittadinanza, garanzia dei diritti e pari opportunità – il tema dell’immigrazione continua ad essere

112 Atteggiamento di rifiuto o di paura nei confronti egli stranieri (Ambrosini, 2005)

113 La Convenzione internazionale identifica il fenomeno come “ogni comportamento che, direttamente o

indirettamente, comporti una distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore, l’ascendenza o l’origine nazionale o etnica, le convinzioni e le pratiche religiose, e che abbia lo scopo o l’effetto di distruggere o di compromettere il riconoscimento, il godimento o l’esercizio, in condizioni di parità, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale e culturale e in ogni altro settore della vita pubblica”

114 La discriminazione indiretta, non riconducibile ad elementi di esclusione dichiarati, viene generalmente identificata a

posteri in base alle evidenze statistiche che dimostrano la penalizzazione degli immigrati in determinati ambiti di vita sociale (Ambrosini, 2005, p. 265)

sempre presente negli organi di stampa e negli interventi delle forze politiche e sociali con accenti spesso radicalmente bipolari, e’ risorsa/minaccia, serve rigore/solidarietà e accoglienza, si cerca sicurezza/integrazione, autodifesa identitaria/multiculturalismo (De Vita, p. 19).

Continua cioè a prevalere una sorta di tensione sul modo si vedere i migranti, riconosciuti, per un verso come risorsa, in quanto lavoratori, ma anche come artefici delle tensioni sociali, cause prime delle nostre mancanze di lavoro, di alloggio, di sicurezza116, beneficiari di diritti non spettanti che “sfruttano a loro vantaggio lo Stato sociale” (Giddens, 2007, p.137).

V. Dan Dijck (1994) ritiene che i pregiudizi etnici si riproducono e si diffondono seguendo essenzialmente tre percorsi:

- accentuando l’enfasi sulla diversità culturale;

- ponendo in primo piano la competizione con i membri degli altri gruppi etnici in termini distribuzione delle risorse (lavoro, casa servizi);

- sottolineando il pericolo rappresentato dagli “altri” che, in forza della loro diversità, minacciano sia la sicurezza personale che la nostra identità culturale (Pollini, Scidà, 2004).

In questo contesto l’impatto dell’immigrazione sul piano dell’incontro, soprattutto quando si instaura tra membri economicamente e culturalmente più deboli, genera spesso una forme di rigetto e di intolleranza, o semplicemente forme di tolleranza che si trasformano in indifferenza (Bauman, 2001), che trovano legittimazione nei fatti di cronaca diffusi dagli organi di stampa, che acuiscono le percezioni di insicurezza nell’opinione pubblica, e negli interventi politici spesso intrisi di toni, non sempre latenti, di intolleranza e di discriminazione.

Del resto

quando il razzismo sale di grado, quando arriva a coinvolgere i parlamentari e i membri del governo, è pubblicamente legittimato. L’uomo della strada si sente legittimato dall’alto a tenere comportamenti aggressivi (Zincone, 2002).

La concezione dell’alterità come risorsa che conduce il sistema sociale ad evolversi e a costruire nuovi equilibri, superando le eterogeneità presenti nel sistema societario, è un processo ancora in fieri, anche se qualcosa, almeno in termini di consapevolezza, si sta muovendo.

Se sul piano politico le istituzioni appaiono affannate e inadeguate, a livello micro- sociale ed individuale si presentano posizioni più aperte allo scambio interculturale ancora estranee alle elite politiche nazionali.

Attualmente appare largamente diffuso il termine di società tollerante, che indica l’insieme degli atteggiamenti che dovrebbero naturalmente essere presenti in un

116 La disuguaglianza nella distribuzione delle risorse è maggiormente avvertita in quelle aree disagiate ove imperversa

la lotta quotidiana per la sopravvivenza ed è all’origine di quel meccanismo di dislocazione che, disconoscendo il ruolo delle responsabilità politiche, dirige i sentimenti di ostilità verso i soggetti immigrati ritenendoli gli esclusivi colpevoli delle tensioni sociali.

sistema pluralistico. Ma se si intende per società tollerante l’esito di pratiche coerenti e sinergiche tra istituzioni, gruppi ed individui, non si può definire, la nostra, una società tollerante dati i caratteri, più volte richiamati, di episodicità e di approssimazione che caratterizzano la gestione statale dell’immigrazione.

Se la spinta tollerante può trovare attualmente effettivi riscontri solo sul piano dei comportamenti individuali, è possibile individuare, come propongono Pollini, Scidà (2004), cinque possibilità di soluzioni diverse di tolleranza; l’indifferenza117, il

relativismo culturale118, l’interesse funzionale119 e il meticciato120. Nella quinta

posizione si colloca il dialogo, propria di chi è disponibile ad un incontro e ad un confronto capace di salvaguardare le reciproche differenze. Questa forma di tolleranza attiva, trova conferma nell’art 1 della Dichiarazione di principi di

tolleranza del 1885 sottoscritto nell’ambito della Conferenza UNESCO che definisce

la tolleranza né come concessione, né come compiacenza, ma “come un’attitudine attiva animata dal riconoscimento dei diritti universali della persona umana e delle libertà fondamentali altrui”(Pollini, Scidà pp. 171.180).

117 Come afferma De Vita (1996, p. 53) esclude l’oppressione ma non include la relazione e il rispetto 118 Accettazione acritica e passiva

119 L’apertura e lo scambio verso culture altre sono legate alla possibilità di trarne vantaggi personali per raggiungere

specifici interessi (l’utilizzo della manodopera straniera a basso costo ne rappresenta un esempio ed è uno strumento di vantaggio scaturito dall’economia globalizzata)