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Tavola II.7 La presenza degli alunni stranieri per classe – A.S 2008/

III.5 Italiano come L2 (lingua seconda)

L’educazione linguistica rappresenta la precondizione per una piena partecipazione dei migranti al contesto ospite.

Gli studi sui rischi psicologici e sociali dell’immigrazione sottolineano le difficoltà a cui è sottoposto il migrante legate al gap comunicazionale e alla perdita di un codice espressivo connesso ai valori, alle abitudini e ai costumi culturali che prima dell’esperienza migratoria rappresentavano l’involucro di sostegno e di sicurezza del migrante (Losi, 2010).

Il mantenimento della lingua di origine è un punto importante della riflessione delle politiche di integrazione e di quelle educative a seguito dell’inversione di tendenza, operata alla fine degli anni settanta, da numerosi linguisti, pedagogisti, psicologi e sociolinguisti, sulla valorizzazione del bilinguismo quale componente essenziale nello sviluppo intellettuale e affettivo del soggetto e fattore di ricchezza e di benessere sociale ed economico (Baldoni, 2000; Favaro, 2004; Morelli, 2006, Ogini, Nosenghi, 2009).

Nonostante la presenza di un orientamento attento alla diversità linguistica, sia a livello sociale che educativo, gli interventi rimangono isolati.

Anche dal punto di vista linguistico si assiste ad una scarsa accortezza per quanto concerne la comprensione della lingua da parte della popolazione straniera; la stessa segnaletica stradale o la modulistica amministrativa mantengono un codice linguistico riservato alla popolazione autoctona. La lingua italiana, come lingua ufficiale non lascia spazio a forme di tutela delle diversità linguistiche se non in alcune aree del territorio nazionale. Le dodici comunità di lingua minoritaria riconosciute in Italia vivono tradizionalmente nelle regioni di confine158; altre comunità storiche159 risultano disperse nel territorio italiano, mentre il sardo e il friulano sono state riconosciute rispettivamente, come lingua da tutelare e lingua minoritaria (Morelli, 2006, pp. 6-7).

L’Italia è un paese con una sorta di integrità monolingua, al punto che l’apprendimento dell’italiano come L2 è diventato un diritto, ma anche un dovere necessario al rilascio del permesso di soggiorno160.

A livello educativo non sono molte le scuole che attuano corsi di insegnamento improntati al bilinguismo, mentre varie sono le offerte per l’acquisizione della lingua italiana promosse dalle istituzioni scolastiche e dai diversi attori del privato sociale. Anche le università hanno attivato offerte formative per la preparazione tecnico pratica dei docenti all’insegnamento dell’italiano come lingua seconda proponendo livelli di competenza desumibili dal Quadro di riferimento europeo presente nel grafico sottostante e nella tavola III.1

dove vengono presentate, in ordine decrescente, le competenze linguistiche di acquisizione della lingua seconda.

158 Valdostani, germanofoni, ladini, sloveni.

159 Alberesh/albanesi, greci, franco-provenzali, catalani, croati, occitani

L’eterogeneità degli alunni stranieri e delle appartenenze culturali, è caratterizzata, da un punto di vista linguistico, da una forte frammentazione. Spesso alla lingua ufficiale si intrecciano differenze dialettali connesse alle aree territoriali di provenienza per cui il codice materno non sempre coincide con la lingua di scolarità che è quella del paese di provenienza (Baldoni, 2000).

Molti studi hanno rilevato che esiste un bilinguismo sottrattivo (Baldoni, 2000; Caon, 2008; Favaro, 2002) che compare quando lo sviluppo della lingua seconda avviene a discapito della madrelingua o quando

la L2 rimpiazza la madre lingua, obbligando il soggetto ad eseguire operazioni operative cognitive per le quali non possiede la competenza necessaria in ciascuna delle due lingue. Fenomeno che colpisce maggiormente i bambini nati in Italia o che vi sono giunti in età molto precoce, perché non hanno ricevuto una quantità sufficiente di input dalla madrelingua prima di essere esposti alla L2 (Caon,2008, p.155).

La difficoltà, quindi, deriva dal non aver avuto il tempo di assimilare nella L1 una alfabetizzazione strumentale preparatoria all’astrazione concettuale.

Quando invece lo sviluppo della lingua seconda viene associato al riconoscimento, alla valutazione e al mantenimento della lingua materna, si sviluppa un bilinguismo additivo, “un sapere aggiuntivo di bilinguismo in fieri” (Baldoni, 2000 p.22)

Questi elementi forniscono una parziale idea dell’attenzione metodologica necessaria a progettare percorsi di apprendimento dell’italiano come L2 che deve essere tarata secondo l’età in cui avviene l’apprendimento, l’inserimento educativo e scolastico effettuato nel paese di origine e la biografia linguistica individuale.

Caratteristiche queste che differenziano il percorso dell’apprendimento dell’italiano orale connesso ai diversi significati che la lingua assume: come lingua per comunicare, da usare nella vita quotidiana, lingua per narrare, come veicolo identitario per riferire stati d’animo ed esperienze personali, lingua di apprendimento della letto scrittura, che impegna aspetti tecnici di comprensione e di produzione e come lingua per lo studio delle discipline, che rappresenta il punto critico più arduo che l’alunno deve affrontare.

Nelle scuole vengono adottate più soluzioni di insegnamento della L2 che vedono anche il coinvolgimento degli Enti locali e delle associazioni presenti sul territorio che generalmente organizzano corsi in orario extrascolastico con attività aggiuntive. All’interno delle istituzioni scolastiche operano generalmente insegnanti facilitatori e/o alfabetizzatori che lavorano, su progetto, su gruppi di livello secondo i bisogni delle biografie linguistiche individuali e la classe in cui l’alunno è inserito.

III.6 Osservazioni conclusive

La sfida posta dagli alunni immigrati richiede alla scuola di rispondere ai bisogni della diversità linguistica e culturale in termine di personalizzazione dei percorsi formativi.

Sul piano operativo questo comporta la condivisione collegiale di strategie articolate in una prospettiva pluridimensionale capace di investire più settori ed attori: dalla dirigenza, alla segreteria, all’istituto scolastico, al plesso e alla classe.

La questione centrale riguarda, infatti, le decisioni che vengono assunte collegialmente, le strategie che i docenti adottano di fronte alle dinamiche migratorie,

le decisioni e le non decisioni che gli attori compiono (Baldoni, 2000).

L’età, la scolarità pregressa, le peculiarità dell’iter scolastico in riferimento alla frequenza e all’area regionale, urbana o rurale in cui è avvenuto il percorso, la biografia linguistica, la lingua materna, il progetto migratorio e le condizioni di inserimento della famiglia (Favaro, 2000), sono tutti aspetti fondamentali da cui partire per un’idonea azione formativa capace di coordinare gli esiti positivi di istruzione e formazione e di ostacolare l’insorgenza di fenomeni di disagio e di fragilità scolastica legati al gap linguistico e a fattori plurimi che la prospettiva sistemica analizza in un’ottica multifunzionale. Per poter attivare progetti di integrazione la scuola dovrebbe favorire la valorizzazione delle differenze culturali in un clima improntato al dialogo e al cambiamento reciproco.

Il progetto appare però un modello sociale ed educativo ancora in fieri perché, come afferma Bauman, per poter costruire una possibile interculturalità “occorre mettere in discussione le premesse apparentemente indiscutibili del nostro modo di vivere” (Bauman, 2006) fondate sull’individualismo che, di fatto, nega l’alterità.

Attualmente non ci troviamo di fronte ad un modello italiano che agevola questo percorso che dovrebbe disegnare in maniera chiara e integrata l’approccio ai temi dell’interculturalità (Giovannini 2006).

La breve esperienza temporale dell’immigrazione in Italia rispetto agli altri paesi, la conflittualità politica su questi temi (par. II.3), la mancanza di corrispondenza tra le affermazioni di principio dell’uguaglianza e l’effettiva discriminazione nell’ accesso ai diritti, hanno prodotto un profondo scollamento tra una lettura politica emergenziale del fenomeno, tenuta in vita dai media e intrecciata con i problemi della sicurezza nazionale e internazionale e gli orientamenti di politica educativa. L’esito che ne deriva è il forte divario tra lo scambio simbolico, in cui operano prevalentemente le istituzioni educative, che gestiscono più frequentemente lo scambio tra culture, e lo scambio materiale, proprio degli interventi politici rivolti all’immigrazione.

PARTE II