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Ruolo dell’istruzione e dell’educazione nella società contemporanea L’autonomia scolastica tra efficienza, efficacia e qualità.

Tavola I.10 Modelli adottati nei sistemi educativi europei: educazione preprimaria e istruzione obbligatoria a tempo pieno A.S: 2003/

I. 8 Osservazioni conclusive

II.1 Ruolo dell’istruzione e dell’educazione nella società contemporanea L’autonomia scolastica tra efficienza, efficacia e qualità.

Pur se a livello comunitario in materia di istruzione (par. I.5), non vengono prodotti atti vincolanti, ma solo Raccomandazioni,122 il loro impatto sulle politiche nazionali, è particolarmente influente.

Quando si affronta l’analisi dei fenomeni educativi è necessario ampliare la prospettiva interpretativa attraverso uno sguardo capace di cogliere sia l’istituzione scolastica con la rete di interrelazioni123 locali che la caratterizzano, che gli input che provengono dal contesto globale124 che, in virtù del processo di sussidiarietà verticale, influenzano le politiche educative nazionali in tema di istruzione.

Solo attraverso una prospettiva di lettura ad ampio raggio è possibile comprendere come politiche educative mirate a disciplinare un settore specifico dell’educazione – che nel nostro caso riguarda gli alunni stranieri - vadano in realtà a confrontarsi con altri elementi normativi che, se da una parte, prospettano spazi di innovazione e di cambiamento, dall’altra generano spesso situazioni ambigue e contraddittorie difficili da districare.

La prospettiva contenuta nella “strategia di Lisbona” di un’ economia europea basata su una “conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale”,125 ha contribuito ad attivare un processo di adeguamento dei sistemi di istruzione dei Paesi membri, che hanno avviato una revisione e una ridefinizione dei propri orientamenti dando corso a incisivi processi riformistici. L’idea della conoscenza collocata in una prospettiva evolutiva all’interno di una dimensione politico-sociale europea, ha reso necessario promuovere una maggiore efficacia dei sistemi educativi attraverso il passaggio da forme centralizzate ad assetti di maggiore apertura e partecipazione locale (Serpieri, 2008).

L’investimento in capitale umano e sociale ha richiesto una revisione dei processi formativi finalizzati all’acquisizione delle competenze in uscita dall’obbligo scolastico, ritenute necessarie per entrare nella logica del Life- long Learning126.

Prospettiva che ha dato enfasi ad una definizione di conoscenza considerata come autorealizzazione individuale e come esercizio di cittadinanza attiva e di inclusione sociale che ha modificato il modello formativo ridefinendo il rapporto tra insegnamento e apprendimento e quello tra conoscenze e competenze (Scurati, 2005). Un apprendimento contestualizzato e co-costruito mira a sviluppare la capacità di selezionare le conoscenze affinchè vengano trasformate in capacità di tipo pratico

122 L’istruzione è un settore in cui i paesi membri sono chiamati al raggiungimento di obiettivi comuni, l’UE ha

competenze di sostegno e coordinamento e solo in casi indispensabili, l’intervento.

123 Determinate sia dalle politiche di decentramento attivate sulla base del principio di sussidiarietà orizzontale che dalle

configurazioni storiche che caratterizzano il contesto locale.

124 Che definiscono mediante indicatori, standard e benchmark livelli di monitoraggio comparativi internazionali sui

livelli raggiunti dagli stati membri rispetto agli obiettivi prefissati (indicatori internazionali dell’educazione dell’Ocse, il TIMSS, l’OCSE-PISA sulla valutazione competenze dei quindicenni in alcune aree disciplinari)

125 L’obiettivo da cui emerge la stretta correlazione tra educazione-economia è stato fissato dal Consiglio Europeo del

2000 e ridisegnato all’interno del nuovo quadro di cooperazione “ET2020”

applicabili in contesti d’uso e a facilitare processi cognitivi capaci di connessioni plurime in continuo andirivieni tra i saperi teorici e pratici, tra conoscenze dichiarative e procedurali127 (Benadusi, Nicefaro, 2010).

E’ all’interno di questa visione della conoscenza scandita da un percorso di “incontro-scontro” (Barzanò 2008) tra idee globali e politiche nazionali che devono essere interpretato il processo di decentramento e l’autonomia scolastica che trova i suoi riferimenti normativi nella legge 59/97 e nel D.P.R.275/99, che hanno attribuito alle scuole autonomia funzionale, organizzativa e di ricerca e sviluppo.

La scuola assume così gli effetti di una organizzazione intesa come “servizio alla persona”, con piena responsabilità gestionale, organizzativa e di sviluppo ed è chiamata ad elaborare una strategia della propria missione e a promuovere le proprie caratteristiche, “all’utente-cliente”, attraverso la progettazione del Piano dell’Offerta Formativa anche promuovendo intese tra scuola-territorio.

Il processo di decentramento in direzione di un aumento di responsabilità delle Regioni e degli Enti Locali, se da una parte produce il crescente coinvolgimento del privato nel sociale (volontariato, associazionismo, cooperative sociali), dall’altra intensifica il ricorso significativo ai livelli di rete che modificano e contestualizzano, a livello locale, i presupposti di intesa tra scuola e territorio.

Nel nuovo processo di decentramento, strutturato sulla sussidiarietà orizzontale, vengono attribuite alle Regioni e alle Autonomie Locali128 nuovi compiti in materia di istruzione e formazione. A partire dalla legge 59/97 e dalla riforma del Titolo V della Costituzione,129 si avvia una nuova distribuzione dei poteri che fa convergere, in un processo di coordinamento e di integrazione, soggetti pubblici e privati in un’alleanza condivisa di risorse e capacità. Come afferma Serpieri (2008)

ne risulterebbe un sistema in cui non sarebbero riconosciuti poteri di supremazia, “ma rapporti potenzialmente infiniti” di tipo paritario: un “sistema reticolare”, nel quale ogni soggetto è uno snodo e si fa portatore di interessi, ma agisce sempre secondo una logica collaborativa. ( Ivi, p. 45).

In questo processo lo Stato funge da “connettore trasversale” pur se rimane titolare di legislazione esclusiva delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni di istruzione e formazione.

E’ lo Stato, infatti, a definire gli orientamenti scolastici, l’organizzazione generale dell’istruzione, lo stato giuridico del personale e l’assegnazione del personale e delle risorse finanziarie alle scuole, ripartite, con decreto del Ministro, su base regionale, in proporzione alla popolazione scolastica e al numero degli istituti.

127 Tra le diverse soluzioni metodologiche assume un ruolo importante la metodologia della meta cognizione riferita a

due processi distinti: la conoscenza del proprio processo cognitivo e la capacità di controllare i processi cognitivi al fine di realizzare un obiettivo determinato. “La formazione meta cognitiva tende ad aiutare gli individui ad impadronirsi delle capacità e attitudini indispensabili per la formazione continua che essi dovranno realizzare durante la loro vita” (Fischer, 2003, p. 127)

128 Decreto legislativo 112/98 , Decreto legislativo 267/2000 129 Legge Costituzionale n. 3 del 18 ottobre 2001

Il sistema però fatica a decollare, il ritorno di tendenze neo-centralistiche statali, le modalità di regolazione burocratica e la riduzione della spesa pubblica, frenano le spinte innovatrici provocando tensioni tra i diversi livelli politico istituzionali.

Nei fatti le scuole non sempre riescono ad instaurare un dialogo con gli Enti territoriali e a promuovere una concreta e continuativa cooperazione, spesso a causa di politiche frammentarie che fanno riferimento ad una normativa complessa che non sempre trova una uniforme corrispondenza interpretativa da parte dei diversi soggetti coinvolti nel processo (Colombo, Giovannini, Landri, 2006).

E’ in questo contesto che vanno letti i referenziali educativi di efficienza/efficacia e qualità che rappresentano elementi basilari che hanno sostenuto il processo di decentramento e l’autonomia scolastica.

Prendendo in prestito una classificazione operata da Bottani e Benadusi (2006) è possibile individuare i principali momenti storici che hanno contrassegnato la permanenza, o il superamento, di alcuni referenziali educativi, rispetto a quelli preesistenti.

Il passaggio non ha seguito un percorso lineare. Se, infatti, l’ascesa e/o la caduta di alcuni referenziali ha trovato immediato sostegno da parte degli organi internazionali deputati al monitoraggio comparativo tra gli stati membri, i confronti teorici e politici sulla prospettiva evolutiva delle finalità dell’istruzione non sono mancati.

Dalla classificazione operata da Bottani e da Benadusi, si evince che:

1. negli anni Sessanta e Settanta i referenziali dominanti erano

efficienza/efficacia e l’uguaglianza delle opportunità;

2. negli anni Ottanta e Novanta si assiste all’emergere del concetto di qualità che ha finito per assumere una posizione monopolistica;

3. dalla fine degli anni Novanta alla prima metà del decennio iniziale del Duemila

si registra invece l’ascesa del nuovo referenziale di equità che tende a rompere il monopolio di efficienza/efficacia e qualità (Ivi p. 19).

Nel processo di riconfigurazione, determinato dal decentramento e dall’autonomia scolastica, ai Programmi nazionali, prescrittivi e uniformi, si sostituiscono le Indicazioni,130 che se pur si differenziano a livello locale131, vengono uniformate, a livello nazionale, mediante il processo di standardizzazione132 che richiede alle scuole un efficiente ed efficace servizio formativo, misurabile e quantificabile.

L’urgenza di attivare un valido sistema di valutazione è uno dei nodi principali di politica scolastica dell’attuale governo impegnato a bilanciare, in ottica economica, il rapporto costi-benefici dell’istruzione che, come vedremo nel par. II.4, sembra

130 Le Indicazioni nazionali introdotte dal D.lgs 59/2004 che contenevano un grado di prescrittività individuabile nelle

formule del portfolio, unità di apprendimento e piani di studio personalizzati, verranno sostituite nel 2007 dalle “Indicazioni per il curricolo”, D. M. 31 luglio 2007.

131 Le scuole, all’interno di una flessibilità stabilita in una quota del 20%, hanno la possibilità di scegliere metodologie,

strumenti e tempi di insegnamento facoltativi e aggiuntivi.

132 I LEP (Livelli Essenziali delle Prestazione) definiscono gli standard di qualità e quantità dei risultati e contenuti del

rispondere più che a un progetto di scuola rinnovata ed equa, ad una scuola neo- tradizionale più esigente e selettiva.

La valutazione attivata mediante i test di apprendimento degli alunni se da una parte agisce nel contenere le variazioni locali, diventa il modo per valutare l’efficienza e l’efficacia del sistema di istruzione. Questa esigenza di misurazione, che investe tutti i settori sociali, crea non poche zone d’ombra.

Come afferma Domenici (2005)

La diffusione snodata della moda valutativa […] ormai estesa in ogni settore della vita organizzativa sociale […] in non rari casi ha portato a far investire risorse umane e finanziarie per le azioni di auditing o di monitoraggio più di quanto non sia stato effettivamente investito per lo svolgimento delle attività stesse da monitorare. […] La valutazione da insostituibile mezzo e strumento di conoscenza critica di una certa realtà […] sta correndo il rischio di essere scambiata […] come l’attività principale da svolgersi […] come una procedura, sì, di controllo, ma solo di tipo fiscale dell’operato di studenti, dirigenti e di strutture (Ivi p. 132-133) .

E’ in questa procedura di “rendicontazione dei risultati” dei test di apprendimento degli alunni, esterna al contesto scolastico, che viene colto il rischio di assoggettare il processo formativo alla sola valutazione esterna (Scurati, 2005).

L’efficienza e la qualità della scuola diventano così misurabili nei valori dei test che, pur avendo poco a che fare con i significati più profondi dell’educazione, concorrono a definire l’esito finale dell’esame di Stato (D.P.R. 122/2009).133

I parametri di efficienza,134 efficacia135 e qualità136 hanno sollecitato il delinearsi di due immagini scolastiche tra loro contrapposte: quella che vede un progressivo avvicinamento della scuola alla cultura d’impresa e una visione di istituzione scolastica intesa come “comunità di pratica” (Bertoldi, 2006, Moretti 2003, Orsi 2002, Scurati 2005, Tropea 2002).

Il regolamento dell’autonomia scolastica pur se si basa sul presupposto di sostenere e sviluppare l’equità sociale, ha delineato una concezione che colloca il sistema di istruzione in logiche di mercato, secondo i criteri economici produttivi di efficienza ed efficacia aziendali, che prevedono la messa in atto di procedure standardizzate funzionali alla produzione industriale, ma inadeguate al processo educativo che necessita, invece, di attente procedure di differenzazione (Domenici, 2003).

133 Il D.P.R. 122/2009 prevede che tutti i voti riportati dall’idoneità, dalle prove scritte, dalle prove INVALSI e dalla

prova orale concorrano a definire l’esito dell’esame di Stato. Inoltre il comma 9 del D.P.R. prevede che “ i minori di cittadinanza non italiana presenti sul territorio nazionale, in quanto soggetti all’obbligo di istruzione […] siano valutati nelle forme e nei modi previsti per i cittadini italiani”

134 Misura il rapporto tra risultato e la quantità di risorse impegnate. Pone cioè in relazione l’efficacia con i costi

sostenuti per la produzione di quel bene o servizio.

135 In educazione il termine viene considerato nel apporto tra risultati ottenuti e obiettivi programmati. Secondo la

filosofia neo-utilitaristica che assume la correlazione tra efficacia e utilità in un’ottica funzionalista, l’efficacia consiste nella distribuzione dell’utilità data dalla somma delle utilità individuali e quindi dal grado di soddisfazione che quel prodotto produce come soddisfazione collettiva. La variante prodotta dalla teoria del capitale umano, di stampo economico, fa invece coincidere l’utilità con il reddito futuro associato all’investimento in istruzione.

Al modello educativo viene così a sostituirsi il paradigma economico che promuove la commercializzazione educativa attraverso un prodotto dell’azienda-scuola individuato nelle

competenze, o performances, che sono quantificabili, misurabili e sottoponibili a processi di standardizzazione.[…] Il culto dell’efficienza e dell’efficacia chiede alla scuola un salto di qualità nella direzione della modernizzazione della sua organizzazione, della funzionalità delle sue procedure, della produttività dei suoi interventi (Fiorin, 2005 p.23).

In questa prospettiva, che sviluppa la cultura della meritocrazia e quella delle “eccellenze”137 rimane nell’ombra lo spazio del diritto allo studio sostanziale,138 che richiede l’esigenza di attivare percorsi formativi differenziati.

L’approccio del paradigma del “quasi-mercato” scolastico porta alla ribalta

una serie di questioni che hanno accompagnato il processo di democratizzazione degli accessi all’istruzione, come il diritto allo studio, le modalità di selezione, le cause dell’insuccesso scolastico o, in positivo, i fattori che favoriscono il successo formativo e, quindi, più in generale, la questione dell’uguaglianza delle opportunità di fronte all’istruzione (Besozzi, 2007,118-119).

Sono questi gli elementi che hanno sollecitato la costruzione di una visione di istituzione scolastica che si basa, invece, su una co-progettazione e co-produzione di un sapere contestualizzato, prodotto all’interno di una operatività scolastica scandita da elementi di partecipazione e condivisione, improntata alle esigenze della collettività, ma attenta alle caratteristiche individuali, volta a promuovere risultati culturali e conoscitivi capitalizzabili e spendibili socialmente da ognuno.

Ci sono due modi di pensare all’autonomia che si accompagnano a distintive concezioni di qualità. Essi

testimoniano la differenza netta tra qualità intesa come “sistema”, certificazione, conformità, formalizzazione, assenza di difetti, permanenza nel tempo di procedure prestabilite e, un’idea di qualità ben diversa, che adotta invece modelli di riferimento sostenibili, dinamici e contestuali, in grado di arricchirsi delle eventuali revisioni del progetto iniziale. Questa seconda concezione, aperta e flessibile, si nutre degli errori, si apre costantemente alle novità ed agli effetti inattesi, si avvale costantemente della capacità collettiva di ascolto e di quella individuale di autoascolto, nonché della capacità e disponibilità di condividere obiettivi, mete, finalità, azioni, conoscenze, passioni, climi e, persino, rituali e gioie (Moretti, 2003, p.13)

Nel dibattito culturale, sociale e nella concreta realtà operatività professionale i due poli si trovano intrecciati (Scurati, 2008) e ci interrogano sulla capacità delle scuole di riuscire a trovare un significativo e democratico equilibrio tra le pressioni esterne e la prospettiva di inclusione, definibile solo all’interno di in un percorso collettivo di

137 Tendenze queste che alla luce delle nuove riforme scolastiche, rischiano di avviare il ritorno a forme tradizionali di

selettività che mettono a forte rischio l’equità, l’inclusione e il diritto dovere di cittadinanza

riflessione e di condivisione, in cui l’apprendimento è vissuto come un’esperienza comune ed emotivamente implicante (Moretti, 2003).