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Tavola I.10 Modelli adottati nei sistemi educativi europei: educazione preprimaria e istruzione obbligatoria a tempo pieno A.S: 2003/

I. 8 Osservazioni conclusive

II.2 Dall’ uguaglianza all’equità.

L’autonomia si confronta con i cambiamenti che si manifestano nel territorio, ma al centro degli stimoli c’è l’immigrazione che porta con sé problemi di accoglienza e di inserimento che sembrerebbero risolvibili con una buona organizzazione, ma che in realtà richiedono condizioni pratiche di azione, oltre che tempi e spazi adeguati per valorizzare le singolarità e le differenze che si presentano più pressanti con l’accrescersi di classi sempre più eterogenee.

La presenza degli alunni stranieri nelle scuole riapre il problema del diritto allo studio e problematizza il dilemma di come affrontare il rapporto tra due istanze spesso considerate antitetiche e inconciliabili tra loro, che invece trovano sempre più spazio nelle riflessioni teoriche e nell’operatività quotidiana scolastica: l’uguaglianza e la differenza (Besozzi, 1996).

La scuola è considerata dalla maggior parte degli autori (Pocaterra et al., 2009) risorsa fondamentale di integrazione culturale e di promozione sociale, strumento e mezzo di trasformazione generazionale del territorio, “luogo nevralgico di una interculturalità possibile” (Susi, 2008).

Ne deriva l’immagine di una scuola che sembra delimitata da confini che segnano il divario tra due realtà: quella educativa e quella sociale dove le forme di convivenza e di scambio tra culture assumono posizioni antitetiche (par.I.6 e I.7). Lo scollamento tra gli orientamenti di politica scolastica e quelli che innervano gli altri settori di intervento sociale, se da una parte rischia di vanificare la funzione integrativa della scuola (Besozzi 1996) dall’altra sembra delegarle una vasta gamma di problemi sociali che la scuola stessa non riesce da sola a risolvere (Bottani, 2006).

Il tema dell’equità risulta, infatti, scottante sia per l’inclusione che per la coesione sociale e investe in modo attivo il ruolo della scuola nella sua funzione di agente di mobilità ascendente, ma l’equità di un sistema scolastico ha anche a che fare con i fattori che si situano a monte del sistema di istruzione (condizionamenti socio- ambientali e familiari).

Molte ricerche139 dimostrano che l’incidenza delle origini sociali – misurate soprattutto dal titolo di studio dei genitori – rappresenta ancora un fattore che incide sulla possibilità di abbandono scolastico e di iscrizione agli indirizzi professionale, ma mostrano anche che, a parità di condizioni, quindi assenza/presenza di bocciature, gli esiti scolastici tra alunni italofoni e alunni stranieri non sembrano differire (Cecchi 2010; Fondazione Agnelli, 2010).

Ciò significa che non è tanto la differenza etnica la causa delle difficoltà scolastiche, quanto l’estrazione sociale. Partendo dal presupposto che gli alunni stranieri non condividono tutti la stessa condizione sociale, ne consegue che il rapporto con la scuola e la sua funzione educativa cambiano notevolmente (Fischer, 2003).

Da alcuni anni si assiste ad uno slittamento semantico tra il referenziale dell’uguaglianza140 a quello dell’equità, che sembra generato sia dalle nuove sfide

139 ISAE 2007, Cecchi e Flabbi 2007, Cariplo 2009

poste dalla società multiculturale che dall’effetto di riflessioni teoriche sorte in plurimi settori ed ambiti disciplinari.

Considerando il prospetto di riferimento (par. II.I) esposto da Bottani, Benadusi (2006) il referenziale dell’equità viene a rompere il monopolio di efficienza/efficacia e qualità alla fine degli anni Novanta e nel decennio iniziale del Duemila.

Pur se entrambi si riferiscono ad un elemento inerente alla distribuzione di un bene o di un prodotto e alle modalità con cui viene ripartito tra individui e gruppi sociali, è l’evoluzione concettuale dell’atto della distribuzione a produrre lo spostamento semantico e la problematizzazione dell’uso del referenziale egualitario.

Il paradigma dell’uguaglianza, comincia, infatti, ad essere interpretato come riduttivo nel momento in cui si giunge alla consapevolezza che la massificazione dell’uguaglianza in un settore agisce simultaneamente su altri. Operare per azzerare la disuguaglianza in un ambito, compromette, infatti, necessariamente, la disuguaglianza in un altro settore.

L’avvento di questa consapevolezza innesca un processo di problematizzazione del referenziale stesso producendo uno slittamento semantico.

Come si è avuto modi di sottolineare nel paragrafo II.1 l’ascesa e/o la caduta di alcuni referenziali trovano un immediato sostegno da parte degli organi internazionali deputati al monitoraggio comparativo tra gli Stati membri. Le diverse concezioni dell’equità improntano, infatti, sia le macro che le micropolitiche141 che vengono messe in atto negli istituti scolastici. A livello macro i progetti di comparazione europea, tendono ad assegnare priorità al tema dell’equità, che si traduce nella costruzione di indicatori di valutazione dell’equità dei sistemi formativi142.

Senza entrare nel merito dell’ampio dibattito filosofico da cui prende avvio la problematizzazione, non si può disconoscere l’apporto del filosofico americano John Rawl, che ribaltando il rapporto equità- utilità innescato dal neo –utilitarismo,143 apre il grande dibattito sul concetto di equità intesa come giustizia, e di Sen, premio Nobel per l’economia che, pone due quesiti fondamentali: uguaglianza di che? Uguaglianza fra chi?

Quesiti questi che vengono ad acquisire concretezza nella riflessione teorica, soprattutto in quanto correlati all’evoluzione della conoscenza nella società dell’informazione. Il problema dell’uguaglianza, infatti, sorge, in un momento storico specifico, quello successivo alla seconda guerra mondiale, dove l’obiettivo si concentrava nella rivendicazione ad un accesso gratuito all’istruzione. Solo successivamente, con la raggiunta consapevolezza che dietro una rivendicazione

141 Le micro politiche scolastiche in tema di equità, possono essere desunte dalle modalità di

insegnamento/apprendimento che vanno dalla formazione delle classi, al modo di organizzare la didattica e alle pratiche di valutazione (Landri, 2006)

142 Il progetto PISA dell’OCSE, ma anche il progetto G.E.R.E.S.E Gruppo di Ricerca sull’Equità dei sistemi formativi

finalizzato dall’Unione Europeo per costruire indicatori per i Paesi membri. I progetti mirano ad individuare variabili osservabili a livello macro su scala internazionale. Il gruppo G.E.R.E.S.E ha costruito un sistema pluriprospettico ampio raggruppabile in tre categorie: disuguaglianze tra individui; disuguaglianze tra gruppi; soggetti al di sotto di una soglia minima di competenze

143 L’utilitarismo identifica la giustizia con l’utilità di cui troviamo una accezione soggettivistica che è quella che

particolare d’uguaglianza, c’è sempre una questione di equità, che la nozione viene a perdere la sua consistenza concettuale.

Effettuare una scelta che dia conto dei criteri che legittimano un ambito di uguaglianza, rispetto ad altri dei quali si tollera la disuguaglianza, significa, in educazione, chiedersi se si aspira all’uguaglianza dei risultati - riduzione del divario negli esiti scolastici che comporta una giusta uguaglianza dei risultati e disuguaglianza nei trattamenti - o a quella dei trattamenti – insegnamento non discriminante uguale per tutti che postula come giusta una disparità dei risultati-. Si potrebbe parlare di equità, come giusta eguaglianza nella distribuzione del bene finale, utilizzando una sua combinazione con una giusta disuguaglianza nella distribuzione strumentale che, richiedendo trattamenti differenziati, legittima una diversificazione dei mezzi in funzione di un’ uguaglianza di risultati.

Attualmente è condivisa l’idea che una disparità troppo accentuata nelle competenze individuali potrebbe portare a effetti negativi sulla coesione e la cooperazione sociale trasformandosi in disuguaglianza intergenerazionale e in disuguaglianze di opportunità fra gruppi sociali. Affinchè si possa agire in termini di equità si dovrebbero allora stabilire soglie minime di competenze di base che si ritiene equo siano raggiunti da tutti. Pur se questo risulta un criterio che mira a contrastare l’esclusione più che la disuguaglianza è anche vero che permette di contenere la disparità interindividuale (Bottani, Benadusi, 2006).

Da quanto illustrato è possibile desumere la complessità che innerva il paradigma dell’equità che è stato al centro di innumerevoli teorie e riflessioni.

Si ritiene pertanto opportuno utilizzare la prospettiva offerta da Benadusi, Niceforo (2010) che individuano quattro accezioni di equità che, solo per finalità analitiche, vengono analizzate distintamente.

Partendo dal fatto che gli output scolastici includono sia la carriera che l’apprendimento, Benadusi, Niceforo (2010) ci propongono la prima concezione dell’equità.

In molti casi il concetto include problematiche connesse al contrasto alla dispersione e quindi ai tassi di abbandono e di ripetenza che colpiscono in particolare alcuni segmenti della popolazione scolastica considerati a rischio di esclusione.

Secondo gli autori associare il concetto dell’equità al contrasto della dipersione vuol dire muoversi in una logica formale di inclusione che guarda alla carriera scolastica più che all’apprendimento e innesca una logica del “tenere tutti dentro piuttosto che il non lasciare nessuno indietro” (Benadusi, Gainicola, Viteritti, 2006).

Questa accezione del concetto di equità ha come effetto perverso quello di non affrontare il problema e di operare una operazione a ribasso che si traduce in mediocri livelli di apprendimento.

La seconda visione tende a promuovere “il successo scolastico per tutti”, mira a livelli di apprendimento da ritenersi essenziali e, solo in questi termini, minimi, che comportano l’applicazione di strategie di differenziazione didattica.

La scuola, riconoscendo i ritmi di ciascuno e i divari dei livelli di partenza (condizionamenti socio-ambientali e familiari), attua strategie differenziate in funzione di obiettivi fondamentali e/o competenze di base.

La terza concezione ritiene che gli stessi obiettivi siano da differenziare in relazione ai talenti (teoria plurale di Gardner) individuali e alle preferenze espresse da studenti e famiglie. Una pedagogia dunque orientata al modello di personalizzazione di processi di insegnamento-apprendimento, che si contrappone a quella pluralistica della individualizzazione.

Infine la quarta concezione più che sui temi dell’inclusione delle opportunità si focalizza sull’obiettivo dell’eccellenza, che sembra oggi particolarmente sponsorizzata dal ministro Gelmini, e sostenuta da specifiche politiche nazionali orientate alla meritocrazia.

Trovare un punto di convergenza tra queste teorie risulta un impegno complesso anche perché nella pratica operativa le opzioni risultano spesso intrecciate e innervano le micro politiche educative dei percorsi di insegnamento-apprendimento attivate nelle scuole (Benadusi, Niceforo 2010).

Di certo la possibilità di analizzare il rapporto tra gli indicatori di efficacia ed equità rappresenta uno spazio di ricerca importante per verificare empiricamente se e in quale misura queste due importanti finalità delle politiche educative possano essere considerate compatibili, convergenti o divergenti.

Il Italia la sfida dell’equità si pone in modo rilevante e molte ricerche empiriche, internazionali e nazionali, dimostrano, la poca equità del sistema scolastico italiano che non riesce a correggere l’iniqua distribuzione delle opportunità educative all’interno di in un sistema che globalmente produce risultati piuttosto mediocri, maggiormente sfavoriti da fattori di differenziazione territoriale che presentano sistemi di istruzione estremamente disomogenei anche tra scuole ubicate all’interno di macro aree regionali (Fondazione Agnelli, 2010).