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CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE.

Nel documento Persona,dignità,libertà contrattuale (pagine 147-153)

IL DILEMMA TRA DIGNITA’ E PARI DIGNITA’.

Parlare del tema della dignità è sembrato a me fondamentale , in un periodo storico in cui tutti si ergono a difensori del valore della vita e in cui si fa un gran dibattere sul diritto laico o il diritto “morale”.

Come ho già detto all’inizio di questa mia argomentazione, al civilista, più di altri si impone oggi di scontrarsi con le problematiche relative alla persona umana e al rispetto di essa che può essere racchiuso nell’idea di dignità.

Quando si parla di vita da difendere è principalmente quella umana e individuale che ci viene alla mente, così come la dottrina della Chiesa cattolica ci ha insegnato. Il tema della vita è divenuto, oggi più che mai, un valore etico e ha riproposto in tutta la loro irrisolvibilità i dilemmi attorno alla dignità umana.

Quello che il diritto privato può e deve fare è associare al sostantivo dignità un attributo di quattro sillabe, pari, che da solo permette di collegare al sentimento di empatia per l’argomento dignità un percorso di realizzazione attuabile dello stesso. Il principio di rispetto tra eguali che la pari dignità richiama è l’unico argine rimasto di fronte al quale i flutti del mare tempestoso delle acque della politica si infrangono e il diritto è il solo che può far si che ciò accada. Per trovare le origini di questo principio non dobbiamo affannarci a ricercare nelle carte ingiallite delle vecchie costituzioni, perché tale principio è inscritto nel concetto stesso di convivenza civile che sta alla base di quel patto sociale fra uomini nei confronti dello Stato dal quale si è originata la società civile.

Nei due profili della dignità che ho analizzato, quella umana e sociale, ho evidenziato l’importanza del principio libertario, inteso come fondante le istituzioni democratiche e liberali. Il tratto distintivo del pensiero liberal-democratico non è infatti l’invenzione del principio di uguaglianza, che è preordinato rispetto al diritto e alle sue cristallizzazioni, ma la generalizzazione dello stesso, ovvero l’aver reso uomini questuanti, desideranti, litiganti di pari rango o dignità. Nel diritto pubblico questo è avvenuto attraverso la regola della decisione a maggioranza e nel diritto civile attraverso lo strumento della libera scelta consapevole come frutto del principio di autonomia contrattuale. Non si è quindi uguali come proprietari o contraenti, ma come individui che godono di un uguale diritto a vivere una vita piena dove aspirazioni, idee e volontà diverse hanno tutte la stessa dignità. Questo non esclude il contemperamento di interessi diversi, che è la funzione principale del diritto, a patto che le valutazioni conseguenti siano giustificabili nel senso della

promozione della convivenza e dell’incremento del benessere individuale e sociale. In definitiva, la sostanza di queste scelte rimane oggetto delle più svariate valutazioni di opportunità ma il liberalismo democratico le impone un contenuto negativo minimo : escludere che la finalità abbia al suo centro la degradazione del soggetto ad oggetto o mero termine materiale di interessi individuali e collettivi o finalità altrui. Solo in questo senso l’art. 3 della Costituzione dispiega tutta la sua pienezza etica.

E qui assume rilievo nuovo la figura dello stato di necessità, che è stata, in maniera controversa, richiamata nel diritto internazionale come elemento giustificante il diniego dei diritti fondamentali dei “soggetti non-combattenti” ( i terroristi attentatori, nei confronti dei quali anche la tortura è stata resa ammissibile ), ma che, se valutata sotto un altro profilo, può essere l’espediente attraverso il quale affermare pienamente la propria dignità, sociale piuttosto che individuale, e fungere da corollario all’espressione del libero consenso contrattuale. Lo stato di necessità - nel caso della dignità sociale è soprattutto quello economico che si pone in rilievo - potrebbe evitare che le decisioni sull’uso strumentale del proprio corpo siano non più sottoponibili ad atti d’imperio, ma alla mediazione dello strumento della libertà consensuale. All’accordo lecito e a tutti gli effetti obbligatorio, o al patto riprovato, l’esperienza legislativa e giurisprudenziale offre una serie di utilizzabili varianti regolamentari, tutte accomunate dall’idea sottintesa che pur lasciando piena la disponibilità circa il proprio corpo certe utilità promananti dalla persona non possano costituire oggetto di obbligazione. Fra questi ricordiamo il contratto non consensuale che si perfeziona solo al momento dell’effettiva esecuzione della prestazione incidente sul corpo; l’attribuzione gratuita condizionata al compimento della prestazione; l’atto di disposizione solidaristica circondato da cautele tali da resistere l’inquadramento nella categoria contrattuale stessa. L’applicazione di tali schemi è variabile dipendente dalla discrezionalità dell’interprete orientata dalla lettera dei principi costituzionali, dall’uso delle “clausole generali” ed è quindi inevitabilmente soggetta ad oscillazioni ed incertezze. Su tale versante anche il sostantivo dignità trova una applicazione sempre più crescente, ma per sottrarlo da quella dimensione naturalistica e filosofica che lo rende impalatabile alle logiche empiriche della scienza giuridica deve essere accompagnato dal termine “pari”.

La recente ultima campagna elettorale per le elezioni nazionali ha avuto come slogan di successo il “non mettiamo le mani nelle tasche degli italiani”; giuridificando questo slogan si potrebbe concludere che esso rappresenta il maggior pregio della tradizione liberale. Esso evoca, infatti, l’idea di fastidio, quasi fisica, di una intrusione clandestina sulla persona. E se la intromissione dello stato è giustificata molte volte dal fallimento della mano invisibile smithiana, non è accettabile

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