• Non ci sono risultati.

LA VICENDA STORICA DELLA DIGNITA’ : DALLA TRADIZIONE GIUDEO CRISTIANA AL SECOLARISMO CONTEMPORANEO.

Nel documento Persona,dignità,libertà contrattuale (pagine 48-54)

IL CONCETTO DI DIGNITA’ NEGLI ORDINAMENTI EUROPEI.

3.2 LA VICENDA STORICA DELLA DIGNITA’ : DALLA TRADIZIONE GIUDEO CRISTIANA AL SECOLARISMO CONTEMPORANEO.

Dopo il paragrafo precedente, siamo arrivati alla duplice conclusione che nella realtà giuridica attuale le difficoltà definitorie circa il concetto di dignità rimangono e che la dignità ha perso la portata assoluta che la caratterizzava. Sembra, peraltro, che il secolarismo delle società contemporanee si trovi sempre più in difficoltà nella ricerca dell’assoluto, che non solo non riesce ad afferrare, ma nel quale finisce addirittura per smarrirsi. La dignità non potrà, quindi, rappresentare la “religione civile” del nuovo millennio, ma dubbi si aprono anche circa il suo

93 Hoffmann, op.cit., 648.

94 Moller, Paternalismus und Personlichkeitsrecht, Berlino, 2005. 95

Dreier, Grundgesetz, Artikel 1 Abs. 1, Tubinga, 2004, Rn, 66 ss.

inquadramento nel catalogo dei diritti fondamentali ereditato dalle dichiarazioni dei diritti della Rivoluzione Francese. 97

Per questa ragione “il patrimonio spirituale e morale e l’eredità religiosa, culturale e umanistica”98 della dignità vanno indagate; per trovarne il fondamento e capirne rilevanza e importanza oggi. A partire dall’originario concetto di dignitas romana, la storia della dignità è storia di delimitazione del confine fra ciò che è degno e ciò che non lo è99. Essa costruisce una gerarchia alla cui sommità si trovano tutti quegli atti che si possono definire come integranti la pratica della dignità e alla cui base si trovano gli atti che non integrano suddetta pratica. La società romana distingueva fra soggetti “degni”, ovvero soggetti titolari di responsabilità che erano fonti di privilegi, riconoscimento e prestigio, e soggetti “indegni”, ovvero soggetti privi di diritti oltre che di doveri. Poiché la responsabilità, al tempo, non aveva ancora assunto un valore autonomo, si tendevano a sovrapporre responsabilità e dignità. Il termine latino dignitates potrebbe oggi essere tradotto con il vocabolo “responsabilità”100, creando un legame diretto fra lo status individuale nella società e l’attribuzione della qualità di dignità.

E’ la tradizione giudaico-cristiana che rovescia totalmente questo quadro improntato sull’humanitas di carattere stoico. L’Antico Testamento e la sua rivelazione dell’esistenza di un patto fra Dio e l’uomo, la sottolineatura che l’uomo è stato creato ad immagine di Dio, sono tutte formule che danno sostanza ed espressione ad una nuova definizione di dignità. L’individuo essere umano viene a caratterizzarsi in tutta la sua unicità e infungibilità, perché unica tra le creature viventi ad essere stata fatta ad immagine e somiglianza di Dio. Ma allo stesso tempo, egli è anche parte di una grande

97 Commentando la Carta di Nizza, Braibant ne La Charte des droits fondamentaux de l’Union Europeenne,Parigi,

2001,88 sottolinea che la dignità “ non figurava nelle Dichiarazioni adottate dalla Francia e dagli Stati Uniti alla fine del XVIII° secolo e neppure nei testi adottati nei due secoli successivi. Per tradizione, carte e Dichiarazioni dei Diritti si fondavano maggiormente sulle nozioni di libertà e uguaglianza.”

98 Isensee, op. cit., 199.

99 A questo proposito Byoi, ne La Dignitè:questions de principes, in Justice, ethique et dignitè, Parigi, 1998, 47 ss

afferma che “la storia del concetto si identifica soprattutto nel seguire i percorsi di delimitazione di quelle frontiere ( di dignità e non dignità ).”

100 Ancora Byoi, op. cit., 50 ss osserva che “Essere titolare di responsabilità e di dignità non erano concetti separati

nell’ambito di una cornice gerarchica di dignità….La dignità di un individuo non è separata dalla posizione da esso occupata all’interno di un ordine politico e cosmico, che , lontano dal garantire e implicare piena libertà, si appresterà a tenere di conto degli atti compiuti all’interno di quella determinata cornice sociale. Necessiterà che quegli atti compiuti non siano o siano malamente posti in essere perché il titolare sia definito indegno.”

famiglia, la “famiglia umana”, composta da tutto il creato. In ragione della sua speciale qualità di “imago dei”, all’uomo è affidato il comando del creato stesso e ha la duplice responsabilità di essere fedele verso Dio e verso gli altri esseri che lo compongono. Su queste due nuove responsabilità verrà misurato il grado di dignità dell’uomo, una dignità che si apre verso un orizzonte universale e assoluto, che si allarga all’intera “famiglia umana”.

L’esperienza dell’Incarnazione di Dio in Gesù Cristo nel Nuovo Testamento dà alla dignità un nuovo fondamento. La dignità assume i connotati del Dio fatto uomo che si è assunto su di sé le miserie umane per redimere gli uomini peccatori, ed è stato oltraggiato e umiliato nella sua stessa dignità di uomo. Ma dopo la morte, perché Figlio di Dio, è risorto, dimostrando che la dignità nella sua essenza non può essere distrutta da qualsivoglia negazione di tipo fisico e morale101.

Vecchio e Nuovo Testamento impongono una originale e dirompente nuova definizione di dignità che verrà arricchita dal contribuito della contemporanea Patristica greca e latina e con la quale anche il successivo mondo secolare contemporaneo dovrà scendere a patti.

Il maggiore problema di questa concezione di dignità era dato dalla oggettiva difficoltà di influenza sulle dinamiche sociali. Questo problema verrà risolto dal pensiero filosofico e politico dell’età moderna, che pur essendo autonomo – per l’assenza della commistione etica-teologia - continuerà a riallacciarsi a questo stesso orizzonte religioso e alle sue influenze.

Negli anni immediatamente precedenti il Rinascimento, la dignità umana veniva identificata nella facoltà di ottenere ciò che si vuole e nella facoltà di essere quelli che si vuole essere102, con la possibilità di tendere verso il sub-mondo dei bruti e l’empireo delle creature semi-perfette.

101 Ratzinger, Introduzione al cristianesimo,Brescia, 2005; Neri I fondamenti biblici dell’età cristiana, Bologna, 1996. 102 Pico della Mirandola in De hominis digitate,Firenze, 1942, 103 ss all’interrogativo “perché l’uomo sia il più felice

degli esseri animati e degno perciò di ogni ammirazione, e quale sia la sorte che toccatagli nell’ordine universale è invidiabile non solo per i bruti, ma anche per gli astri, per gli spiriti oltremondani” dà questa risposta : “Il Sommo Padre, Dio creatore, accolse l’uomo come opera di natura indefinita e postolo nel cuore del mondo così gli parlò: “non ti ho dato, o Adamo, né un posto determinato, né un aspetto proprio, né alcuna prerogativa tua,perché quel posto, quell’aspetto, quelle prerogative che tu desidererai, tutto secondo il tuo voto e il tuo consiglio ottenga e conservi. La natura limitata degli altri è contenuta entro le leggi da me prescritte. Tu te la determinerai da nessuna barriera costretto, secondo il tuo arbitrio, alla cui potestà, ti consegnai. Non ti ho fatto né celeste, né terreno, né mortale, né immortale, perché di te stesso quasi libero e sovrano artefice ti plasmassi e ti scolpissi nella forma che avresti prescelto. Tu potrai degenerare nelle cose inferiori che sono i bruti; tu potrai, secondo il tuo volere, rigenerarti nelle cose superiori che sono divine.”

Lo stretto connubio fra dignità-libertà, che contraddistinguerà tutto il pensiero occidentale moderno, viene così ad essere fissato. Ma è fuori dubbio che questo legame non sia esente da responsabilità, e la responsabilità in questione è quella dell’uomo nei confronti di Dio. In altre parole, l’uomo deve guadagnarsi la sua dignità non venendo meno alle responsabilità sue proprie nei confronti del Sommo Essere. La responsabilità è la contropartita dell’unicità umana, e usando le parole dei giusnaturalisti “la dignità umana è inferiore a Dio che è al di sopra della legge, e superiore agli animali che a quella medesima legge sono invece estranei”103. La libertà è data all’uomo per permettergli di agire secondo morale e si trasforma così in espressione della dignità.104

Con il giusnaturalismo si dà avvio ad un percorso di costruzione di una concezione secolare di dignità che però trova ancora le sue fondamenta nella tradizione giudaico-cristiana. Il contratto che lega Dio e l’uomo non è infatti lo stesso contratto stipulato fra soggetti liberi che dà fondamento e legittimazione al potere politico e che è comunemente noto come contratto sociale. Poiché la dignità è connotato della natura dell’uomo libero creato simile ai suoi simili, è antecedente e misura dell’ipotetico patto sociale stipulato tra gli uomini, e non viceversa.105

La tradizione giusnaturalista ha comunque il pregio di sciogliere il legame fra dignità e responsabilità proprio della dottrina stoica; due concetti che d’ora in poi troveranno come unico comune riferimento solo la libertà106.

103 Pufenforf, Il diritto di natura e delle genti,I, Este, 1839, 273 ss.

104 Ancora Pufendorf, op. cit, II, 51, afferma che la dignità dell’uomo si esprime nella libertà “piantata propriamente

nella natura sua. Infatti il nome sol d’uomo porta seco lui l’idea di una tal dignità, che qualor da un insolente cimentato e soperchiato viene, qualcuno non suol rispondere ad un cotale, se non : io non sono un cane ma son uomo come tu. Siccome per la natura, vale a dire per la costituzione esterna e interna dell’individuo suo,ognuno eguale si vede agli altri uomini, così in diritto si giudica di esigere gli stessi riguardi, e di godere delle prerogative a tutti comuni e convenienti al suo essere. Di fatti società fra gli uomini non vi potrebbe essere, se in questa uguaglianza e conformità di natura non si riguardassero, e relativamente alla medesima di trattarsi in debito non si ritenessero. Da ciò proviene, che per la legge di natura ognuno deve stimare e considerare gli altri uomini come a lui naturalmente uguali. Poiché ciascuno avendo un diritto per ferro da poter pretendere dagli altri i doveri dell’umanità, chiunque viola rispetto ad alcuno un tale diritto, un vero e reale danno gli apporta.”

105

In questo caso si nota come le posizioni di Hoffman e Pufendorf siano opposte, perché Hoffman costruisce la dignità come frutto esclusivo del contratto sociale.

106 Bioy in dignitè e responsabilità, in La dignitè, cit., 191-200, sostiene che “moralizzata, la responsabilità è legata alla

condotta individuale, è giudicata da Dio che tiene conto dell’intenzione umana individuale, dell’atto soggettivo, del suo carattere di colpevolezza. Dal punto di vista del diritto, la responsabilità si identifica con l’atto individuale e si estrinseca nella libertà di agire che ne consegue necessariamente.”

La progressiva secolarizzazione delle società moderne avrà come conseguenza un nuovo ribaltamento del concetto di dignità.

Abbiamo visto che il pensiero filosofico moderno lega la dignità alla capacità di agire moralmente, o “con responsabilità”, che è caratteristica “naturale” e universale di tutta l’umanità. Paradossalmente, così facendo, esalta la qualità della persona, che viene valutata come fine in sé stesso. Il libero arbitrio nella decisione sul che fare sta alla base del meccanismo sulla imputazione di responsabilità107, poiché saldando la dignità di soggetto dotato di volontà e libertà con la capacità di rispondere di questa autonomia lo rende responsabile.

Questa nuova prospettiva di pensiero restringe l’orizzonte di riferimento del soggetto, che dal creato che sta al di sotto dell’uomo della tradizione cristiana, si riduce all’umanità in senso stretto108. La categoria stessa della dignità è così spostata dall’area della natura a quella dell’umano, rischiando di rimanere priva di senso. La fredda analisi shmittiana, secondo la quale è la divinità e non la barbarie ad essere contraria all’umanità, sintetizza in maniera efficace quanto sopra sostenuto.109

Essendo la categoria della dignità ormai perfettamente umanizzata, sarebbe più proprio definire gli atti indegni come “bestialità”, ovvero attività proprie di un mondo nettamente inferiore, che ha perso la sua pari dignità con gli umani, perché la comunanza di Creature di Dio non ha più validità in questo nuovo orizzonte che prescinde da trascendenza e sovraumano.

In questo modo viene ad affermarsi la asimmetria tra ciò che è umano e ciò che al di sotto dell’umanità, che avrà il suo tragico epilogo nell’esperienza del nazionalsocialismo e nella conseguenza di spazzare via ogni traccia di umanità nell’uomo110. L’olocausto può infatti essere

107 Mazeres in Recherche sur le fondements meta-ethiques de la responsabilità, datt., s.d., 322 ss; Klein, La notino de dignite humaine dans le pensèè de Kant et Pascal, Paris, 1968, 17 ss; Goyard – Fabre, Responsabilità morale et responsabilità juridique selon Kant, in APD, 113 ss.

108 Bioy, La dignitè, cit., 48, sostiene che così entra in crisi “la lunga costruzione della dignità della persona umana” che

aveva visto “il suo ambito di riferimento racchiuso fra le duplice dimensione dell’umanità- per la quale Dio aveva dato sé stesso- e del resto della creazione”. Al suo posto prende corpo una distinzione, consacrata dal razionalismo Kantiano secondo la quale la dignità è “tutta interna all’umanità, intesa sia come singolo individuo, che come comunità di esseri umani. Se tutti gli esseri umani hanno come potenza quella di diventare persona, se tutti gli esseri umani meritano di essere definiti persona, la morale del soggetto ricorda una dignità attaccata alla responsabilità che il soggetto assume nei confronti di certi atti e secondariamente in funzione della sua ontologia di essere umano”.

109

Schmitt , Nachwort, in Krauss-Von Schweinichen, Disputation uber den Rechtsstaats, Amburgo, 1935, 84-87.

descritto come la più storicamente evidente negazione dell’umanità negli uomini da parte di altri uomini111.

Se quel determinato concetto di dignità aveva portato a tali, impensabili, conseguenze, la necessità di rivedere tale nozione si faceva sempre più urgente, e con essa l’idea che si dovesse recuperare quella dimensione di assoluto della categoria, la cui negazione aveva generato nefasti sviluppi. Per questo, la tradizione giudeo-cristiana tornava ad essere invocata da più parti come la migliore soluzione, perché unica ad affermare l’antecedenza della dignità rispetto ai paralleli concetti illuministici di libertà ed uguaglianza.

Il Preambolo della Carta dei Diritti sottende questa idea e riconosce la finitezza dell’uomo e delle sue costruzioni normative. In esso è contenuta una attestazione di modestia, così diversa dalla fiducia illuministica nell’autosufficienza umana. Dio è sicuramente scomparso come istanza garante della identità umana, ma la necessità di trovare una entità che si sostituisca al Dio trascendente e definisca la comune natura umana, oltre ad impedire che l’uomo sia trattato non come uomo da altri uomini, rimane e fa da sfondo al Preambolo commentato.

Questo non significa che il Preambolo tradisce il principio di laicità, che è fondamentale conquista contemporanea, perché non ricopia e fa proprio il principio di dignità espresso dal pensiero cristiano, ma bensì ne assume il contenuto secolare.

L’assoluto che risplende nella clausola di dignità è dunque un riflesso del religioso112.

111 Sul punto fra i tanti si veda Revault- D’Allonnes, Ce que l’homme fait à l’homme, Parigi, 2000,30 ss; Id.; A’ l’èpreuve des camps : l’imagination du semblable, in Fragile humanitè, Parigi, 2000, 145-150; Amèry, Intellettuale ad Auschwitz, Torino, 1998, specie 66; Rossetti, Introduzione, in Ghepardi, Le quercie di Monte Sole, Bologna, 1986,8. 112 Isensee, op. cit., 209.

Nel documento Persona,dignità,libertà contrattuale (pagine 48-54)