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MAGGIORITARIO: IL MATTARELLUM

CONSOLIDAMENTO DEL BIPOLARISMO

3.2.3. IL 2013 E LA SVOLTA TRIPOLARE

Dopo il governo Berlusconi IV, in conseguenza della netta vittoria della coalizione di centro-destra alle elezioni del 2008 , è la crescita esponenziale del Movimento 5 Stelle che rende prevedibile una profonda variazione del sistema partitico , e di conseguenza dell'assetto parlamentare , nello scenario politico che si sarebbe andato a determinare.

Tra le due tornate elettorali , dunque , si assiste ad un notevole smottamento degli assetti politici e degli equilibri tra le forze politiche, e in questo quadro non è trascurabile l’esperienza del governo guidato da Monti : si tratta di un governo tecnico, costituito nella necessità di una forte crisi economica , e ritengo importante volgere lo sguardo sulla sua natura e le caratteristiche salienti di questa esperienza , che non è stata la prima nella storia repubblicana.

Finora infatti si è analizzato come l’influenza esercitata dai sistemi elettorali sul sistema partitico e su quello parlamentare sia, a sua volta, produttiva di ulteriori effetti sulle geometrie e le architetture costituzionali delle coalizioni. A proposito di queste ultime , ne abbiamo sempre osservato la genesi e lo sviluppo in riferimento alla creazione di maggioranze parlamentari ed al loro rapporto (numerico e politico) con le maggioranze di governo.

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Uno scenario che almeno parzialmente deroga agli schemi che abbiamo analizzato è proprio quello costituito dalla formazione di un governo tecnico, e l’interrogativo che inevitabilmente ci troviamo a porci è quello concernente il nesso causale tra il sistema elettorale e la fabbricazione di convergenze parlamentari che favoriscono la creazione di esecutivi “non politici”.

Le esperienze di governo tecnico che hanno caratterizzato il sistema politico italiano sono separate da quindici anni e risultano classificabili in momenti che presentano caratteristiche differenti ma di simile articolazione per ciò che attiene al sistema partitico.

In premessa va sottolineato come l’esperienza dell’esecutivo guidato da Ciampi , che prese forma nel 1993 , non è ascrivibile alla dinamica sopracitata in quanto non presenta la principale caratteristica che costituisce l’elemento prototipico del governo tecnico, vale a dire l’assenza di figure partitiche nella squadra dell’esecutivo.

La comparazione dunque va svolta tra il governo Dini e appunto quello guidato da Monti.

L’analogia più immediata non è solo la presenza esclusiva di personalità che almeno apparentemente si collocano esternamente all’arco delle formazioni politiche, ma l’inevitabile eterogeneità delle formazioni di maggioranza.

Nel 1995, quando l’ex ministro del Tesoro non poteva contare su una maggioranza precostituita o, per lo meno, sufficientemente definita150, furono Pds, Partito Socialista, Partito Popolare Italiano,

Federazione dei Verdi e Lega Nord che costituirono l’assetto di sostegno al governo.

Ritengo che questa composizione sia sintomatica di un profilo peculiare del sistema partitico e dell’importanza della contingenza storica nelle sue scelte strategiche.

Il profilo programmatico comune concordato su quattro assi portanti (manovra finanziaria, riforma previdenziale, nuova legge elettorale per le elezioni regionali e legge sulla par condicio nell’accesso dei partiti ai media) ritengo non sia sufficiente per spiegare una

150 Cfr. G.MAESTRI, Il Governo Dini: una maggioranza “a tutti i costi”? , 2/2013 , in

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convergenza di identità politiche così distanti : in questo senso considero che la capacità di darsi un comune obiettivo risiedesse nella contingenza di comuni interessi “di fase” , trasversali e finalizzati più all’attuazione di tattiche elettorali che ad un senso di forte responsabilità politica.

L’eterogeneità del raggruppamento di maggioranza era il riflesso di un’opposizione altrettanto politicamente variopinta (Alleanza Nazionale , Rifondazione Comunista, Forza Italia, Centro Cristiano Democratico e Federalisti Liberaldemocratici) che contestava la legittimità non meno del merito politico della scelta di un esecutivo tecnico.

Se la successiva esperienza analoga , quella del governo Monti , si inserisce nel 2011 ed in un contesto politico mutato anzitutto sotto il profilo del sistema partitico , la dinamica dell’assetto parlamentare non è dissimile : una forte maggioranza che teneva insieme i due principali poli politici , ancora politicamente saldi prima dell’irruzione del tripolarismo , relegava come unici attori dell’opposizione la Lega Nord e l’Italia dei Valori.

Riscontro sia ancora il comportamento , cioè la strategia politica dei partiti , l’elemento centrale della dinamica in oggetto : le uniche due forze che non appoggiarono l’esecutivo guidato da Monti nella tornata elettorale del 2008 erano entrambe coalizzate all’interno dei due principali poli , i cui appartenenti avevano poi deciso di fornire sostegno al nuovo governo.

Nella comparazione tra due esperienze per taluni aspetti analoghe il prevalente fattore di contatto risiede nella centralità del sistema partitico e delle scelte delle formazioni. Questo ci indica da un lato le costanti variazioni nell’evoluzione dei rapporti di forza , interni alle coalizioni e non , e dall’altro una non trascurabile volatilità nelle scelte strategiche : è il caso della Lega Nord , che nelle due esperienze citate (e che non sono cronologicamente troppo distanti per un raffronto) determina una scelta politica antitetica.

L’inquadramento storico al cui interno si sviluppano le due esperienze di cui sopra ci permette di cogliere il rapporto tra l’impianto delle strategie politiche e il sistema elettorale, in quanto al momento della formazione dei due esecutivi la legislazione elettorale

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non è la medesima: Dini si insedia alla presenza del Mattarellum , Monti in periodo di vigenza della Legge Calderoli.

Se nel primo caso la disciplina è ascrivibile ad un sistema maggioritario, nel secondo caso siamo in presenza di un impianto formalmente proporzionale ma fortemente corretto con elementi alteranti.

Sussiste dunque un singolare incrocio tra questo aspetto e la cifra dominante delle due esperienze, cioè il concorrere di una pluralità di formazioni alla determinazione di un comune obiettivo ; rientra in gioco , in entrambe le situazioni , quella prassi della mediazione politica che riporta al centro del dibattito programmi su cui convergere e logiche compromissorie con cui fare i conti.

Osserviamo quindi come lo sviluppo delle due vicende non sia interconnesso con gli effetti tipici delle leggi elettorali rispettivamente vigenti.

Questo ulteriore profilo ci indica che quella trasversalità di scelte e tattiche da parte del sistema partitico produce un’influenza della legislazione elettorale in una logica di prospettiva politica : è cioè quest’ultima che porta i gruppi dirigenti a ragionare su quelle strategie elettorali che determinano alleanze, fratture e aggregazioni , peraltro spesso molto funzionali ad una forma di autoalimentazione e molto meno alla volontà di costituire un assetto politico più stabile. E’ in quest’ottica che ritengo si possa affermare che la dinamica che concerne i governi tecnici investe indirettamente la legislazione elettorale, ma non ne dipende immediatamente dal punto di vista delle scelte politiche.

Come anticipato , alle elezioni del febbraio 2013 , si registrano dati del tutto anomali e che rendono immediatamente evidente l'aprirsi di una nuova stagione politica ; la parentesi del governo tecnico , e le conseguenze prodotte sul sistema politico , costituiscono almeno in parte l’apripista per una notevole variazione nei rapporti di forza. Il premio di maggioranza scatta per la coalizione di centro-sinistra , guidata dal Partito Democratico che in virtù del premio ottiene 292 seggi con il 25,43% dei consensi , ma l'aggregazione guidata da Bersani e sostenuta da Sinistra e Libertà (3,2% , 37 seggi) , Centro

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Democratico (0,49% , 6 seggi) e Svp (0,43% , 5 seggi) , supera di pochissimo la coalizione di centro-destra, trainata dal 21,56% del Pdl e sostenuta dalla Lega Nord (4,09%) e da Fratelli d'Italia (1,96%) : otterrà globalmente 124 seggi , solo 16 di più della formazione politica che costituisce la vera novità non solo di questa tornata elettorale, ma della stagione politica in corso151.

Il Movimento 5 Stelle , che da solo raccoglie oltre il 25,5% dei consensi e 108 deputati , stravolge completamente la prospettiva politica delle altre forze in campo : peraltro, mai era successo che una forza politica candidata per la prima volta alle elezioni politiche conseguisse un così alto numero di consensi ; neppure Forza Italia, con la sua prorompente entrata nello scenario politico del 1994, era riuscita a raccogliere un tale quantitativo di voti.

Sarà una lista centrista composta da Udc e Scelta Civica la quarta forza parlamentare, raccogliendo il 10,56% alla Camera e poco meno al Senato , dove spiccano due elementi : i 56 senatori del Movimento 5 stelle (23,8%) e la prevalenza di rappresentanti della coalizione di centro-destra su quella di centro-sinistra, nonostante il dato aggregato dei consensi veda quest'ultima lievemente in vantaggio (31,63% a 30,72%) , ma evidentemente penalizzata dal calcolo dei seggi su base regionale : ne otterrà 113 il centro-sinistra e 116 il centro-destra.

La prima considerazione riguarda inevitabilmente il forte arretramento delle due principali coalizioni.

Una fotografia del trend elettorale dei due principali blocchi politici non ci aiutano soltanto a comprendere meglio il risultato straordinario del Movimento 5 Stelle ma fotografano come , nelle elezioni in oggetto , sia variato completamente quell'insieme di effetti che il Porcellum aveva prodotto su centro-destra e centro-sinistra. Se nel 2006 e nel 2008 questa legge elettorale aveva prima alimentato e poi in qualche modo stabilizzato gli effetti di quel bipolarismo che già costituiva la cifra distintiva dell'assetto politico italiano dal 1994, con queste elezioni ha contribuito a una fortissima modifica dei rapporti di forza stessi all'interno del sistema partitico. Le due principali coalizioni, infatti, hanno perso complessivamente quasi 11 milioni di voti. In particolare il centrodestra ha perso poco più di 7 milioni di voti, ossia il 42% dei suoi consensi del 2008, mentre il centrosinistra ha perso più di tre milioni e mezzo di voti,

151 Cfr. Archivio storico elezioni-Ministero dell'Interno/Elezioni politiche 2013 , in

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vale a dire il 27% dei suoi consensi nel 2008.

Il centro-destra in particolare, passando dal 46,8% del 2008 al 29,2% del 2013, registra un autentico crollo verticale. Inoltre nel 2008 le due coalizioni considerate insieme rappresentavano ben l’84,4% dei voti validi, mentre nel 2013 rappresentano “solo” il 58,7%.

Analizzando il voto territorialmente, il centrodestra perde voti in tutte le regioni, ma in particolare in Liguria (-51%), Sicilia (-49%), Sardegna e Trentino Alto-Adige (-48%), Marche (-46%), Emilia- Romagna e Friuli-Venezia Giulia (-45%). Al di sotto della media nazionale sono invece le perdite registrate nella maggior parte delle regioni meridionali e in Umbria. In maniera simile, il calo del centrosinistra avviene in tutte le regioni del paese (con l’eccezione del Trentino-Alto Adige). Le perdite maggiori, al di sopra della media nazionale, si registrano nelle regioni meridionali, e in particolare in Molise (-40%), dove sicuramente si è scontato il fatto che Di Pietro non fa più parte della coalizione, in Abruzzo (-38%), in Sicilia (-34%), in Sardegna, Puglia, Campania e Calabria (-31%) e, infine, in Liguria (-32%) e nelle Marche (-36%)152.

Il Pd, infatti, è passato dal 33,2% del 2008 al 25,4% del 2013, perdendo per strada quasi tre milioni e mezzo di voti. E anche il confronto con la lista dell’Ulivo nel 2006 non è lusinghiero: i voti persi anche in questo caso sono stati circa 3 milioni e 300mila, passando dal 31,3% al 25,5%. Il calo del Pdl di Berlusconi è ancora più marcato, sia in termini percentuali che in valori assoluti. Il Pdl infatti è passato dal 37,4% del 2008 al 21,6% del 2013, ossia ben 15,8 punti percentuali in meno. Oltre sei milioni di elettori hanno abbandonato il partito di Berlusconi. Nel 2006 Forza Italia e Alleanza Nazionale avevano ottenuto (se sommati assieme) quasi 14 milioni di voti. Oggi tale consenso si è dimezzato. E anche se al Pdl di oggi sommiamo i voti dei due partiti “scissionisti” (Fli e Fratelli d’Italia), si arriva a poco più di otto milioni di voti : rispetto ai circa 13 milioni e 600mila del 2008, è percepibile un totale stravolgimento. La lista di Monti, che ha preso quasi tre milioni di voti, pari all’8,3%., alla Camera ha danneggiato i suoi alleati: Fli e l’Udc. In particolare, il partito di Casini, che nel 2006 aveva ottenuto il 6,8 % e nel 2008 il 5,6%, nel 2013 non arriva al 2%, perdendo nell’arco di sette anni quasi due milioni di voti. Forte, rispetto al 2008, è stato pure il calo della Lega

152 Cfr. R.D'ALIMONTE, N.MAGGINI, Centrodestra e centrosinistra perdono quasi 11 milioni di

voti , in Dossier CISE , Elezioni Politiche 2013, a cura di L.DE SIO , M.CATALDI e F.DE

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Nord, passando dall’8,3% al 4,1% e lasciando per strada circa un milione e 600mila voti.

Nel campo della sinistra, si può invece dire che Sel ottiene più o meno gli stessi voti (e la stessa percentuale) della Sinistra Arcobaleno nel 2008, mentre Rivoluzione Civile ottiene meno voti sia nel confronto con l’Idv 2008 (ossia uno dei partiti che la costituiscono) sia nel confronto con la Sinistra Arcobaleno (formata anche in questo caso da partiti che ora fanno parte del cartello di Ingroia). Nel 2006 il Prc, i Comunisti Italiani e i Verdi avevano ottenuto, sommati assieme, quasi quattro milioni di voti. Oggi, se si sommano Sel e Rivoluzione Civile, non si arriva ai due milioni. Si tratta pertanto di un’emorragia dei consensi per i partiti della sinistra “radicale”. Se si guarda ai risultati del Senato le differenze più importanti da rilevare rispetto alla Camera sono che il primo partito è il Pd con il 27,4%, mentre il Movimento 5 Stelle si posiziona secondo con il 23,8%. Al Senato, poi, la coalizione di Monti si presentava con una lista unitaria che ha ottenuto il 9,1%, quasi la stessa percentuale della somma alla Camera di Udc, Fli e Scelta Civica (10,6%). In generale, comunque, per quel che riguarda il confronto con il passato è sul sistema partitico che si riscontrano le più importanti variazioni : si tratta di elezioni politiche che hanno registrato una accresciuta volatilità elettorale che ha riguardato la maggior parte delle formazioni, colpite sia da un aumento significativo dell’astensione, sia da nuovi attori politici, in primis il Movimento 5 Stelle.. Tutto ciò sta a indicare come siamo entrati in una fase di riallineamento elettorale e di possibile destrutturazione del nostro sistema partitico153.

Anche in queste elezioni, sono gli elementi maggioritari del sistema elettorale quelli preponderanti per leggere come si va a determinare l'assetto che ne consegue: dal punto di vista del sistema partitico, sono 10 le liste che superano l’1%, lo stesso numero di quelle che entrano in Parlamento. Tuttavia i due numeri non coincidono: Rivoluzione Civile (2,2%) e Fare per fermare il Declino (1,1%) non entrano in Parlamento, mentre il Centro democratico di Tabacci e i sudtirolesi della SVP ottengono seggi rispettivamente con lo 0,5 e lo 0,4% dei voti.

Fratelli d'Italia ottiene ben 9 parlamentari conseguendo l'1,96% dei consensi.

153 Cfr. N.MAGGINI, La perdita di consenso dei partiti italiani e il successo di un nuovo attore

politico , in Dossier CISE , Elezioni Politiche 2013, a cura di L.DE SIO , M.CATALDI e F.DE

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Credo sia evidente la natura tripolare del nuovo assetto.

La presenza di tre partiti che ottengono oltre il 20% dei consensi sarebbe già un dato di per sé sufficiente a fotografare la drastica interruzione del fenomeno del bipolarismo, dopo circa un ventennio in cui il sistema parlamentare, con gradazioni ed intensità differenti, vi si è rapportato.

L'inizio della dinamica bipolare ritengo si debba ricercare a partire dalle elezioni del 1994. Qui inizia una prima fase di progressivo consolidamento, che culmina nel 2006, alla quale segue un andamento inverso ancora contenuto nel 2008, molto accelerato nel 2013 quando l’indice di bipolarismo – la

percentuale totale dei voti o dei seggi dei due poli maggiori – raggiunge il livello più basso dell’intero periodo, il 74,6% in termini di seggi e appena il 58,3% in termini di voti alla Camera dei Deputati. Al Senato le cose sono andate all'incirca allo stesso modo, anche se vale la pena sottolineare che nel

2013 i valori dell'indice sono, comparativamente alla Camera, un po' più alti – il 76,2% in termini di

seggi e il 62% in termini di voti – a causa del diverso corpo elettorale, oltre che delle diverse modalità di funzionamento del sistema elettorale154.

3.3. LA SENTENZA DELLA CORTE