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I REFERENDUM DI SEGNI E LE ELEZIONI DEL

PARLAMENTARE E SULLE COALIZIONI DI GOVERNO

2.6. I REFERENDUM DI SEGNI E LE ELEZIONI DEL

Quella del 1987 fu l'ultima tornata elettorale a cui partecipò il Partito Comunista Italiano, e nel 1991 coloro che non accettarono la liquidazione di quella storica , intensa e lunghissima esperienza nel Pds , fondarono Rifondazione Comunista.

Questo dato è insufficiente per comprendere la svolta storica impressa al campo della sinistra italiana , che da quel terremoto politico subì una svolta netta della sua storia , ma ci aiuta a comprendere come sull’assetto parlamentare non meno che su quello partitico , dalle elezioni del 1992 lo scenario si trovò a fare i conti con una geografia politica stravolta.

Il quadro che si andò a comporre tra questa tornata elettorale e quella successiva del 1992 è caratterizzato dalle prime avvisaglie dell'introduzione nel dibattito politico dell'argomento della stabilità e della conseguente governabilità.

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È in questo solco che debbono essere collocati i tre referendum proposti nel 1991 ad opera di Segni ed altri. La ratio sottesa a questa iniziativa, non dissimile a quella che ispirerà i referendum del 1993 e la successiva svolta maggioritaria, è quella della necessità di porre argine a quell'impianto proporzionale che così tante (e così incisive) ricadute aveva avuto sul sistema politico, sull'assetto parlamentare e sul sistema partitico, nei cinquant'anni di Prima Repubblica.

Ecco allora che Segni ed altri depositarono in Corte di Cassazione la richiesta di referendum per eliminare nella legge elettorale per il Senato quella norma che rendeva i 238 collegi uninominali effettivi solo se un candidato raggiungeva il 65% dei voti. L'elezione dei senatori avveniva, teoricamente, con criterio uninominale, ma a causa della soglia percentuale troppo alta si tornava a una ripartizione proporzionale in ambito regionale. Con il referendum, eliminato il tetto minimo del 65%, sarebbe diventato senatore (per i tre quarti dei seggi riservati al sistema maggioritario) chi avesse avuto la maggioranza relativa.

Un secondo referendum venne depositato alla Cassazione una settimana dopo per chiedere l'abrogazione della preferenza plurima per la Camera dei deputati.

La terza richiesta di referendum era invece volta ad estendere il sistema elettorale maggioritario dei Comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti anche a quelli superiori.

Il Governo ricorse presso la Corte Costituzionale, che salvò solo il quesito relativo all'abrogazione della preferenza plurima alla Camera, bocciando gli altri due. Furono quindi respinti dalla Corte i due quesiti referendari che miravano all'introduzione del sistema maggioritario nelle leggi elettorali dei Comuni e del Senato, per cui la consultazione popolare avvenne solamente sul quesito sulle preferenze plurime nelle elezioni per la Camera dei deputati.

Il referendum elettorale sulla preferenza unica si svolse il 9 giugno 1991, registrando la partecipazione del 62,5% dell’elettorato e una maggioranza favorevole molto superiore al 90%79.

Nel 1992 le elezioni furono caratterizzate anzitutto da una significativa crescita dell'astensione, dovuta ad una crisi dell'impianto tradizionale dei partiti, che iniziavano a subire una flessione e a vedere incrinato il rapporto con l'elettorato ; in questo contesto si assisteva ad un vero e proprio mutamento del sistema partitico, il cui dato più evidente in questa tornata elettorale era

79 Cfr. V.TONDI DELLA MURA, Sistemi elettorali, contesto storico-politico, compromesso

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l'assenza del Pci.

Alla Camera il Pds superò il 16% (107 rappresentanti) e il Prc ottenne il 5,62% (35 seggi).

Quelle del 1992 sono le prime elezioni di portata nazionale in cui la Democrazia Cristiana non raggiunse il 30% (fermandosi al 29,66%) , ma a fronte di questo elemento di novità , la presenza di nuove formazioni politiche -seppur mutando inevitabilmente il sistema partitico- ne confermò l'ampia articolazione : la Lega Lombarda, che alle precedenti elezioni aveva eletto un deputato (e un senatore), ottenne 55 deputati (8,65%) e 25 senatori (8,2%) , mentre la neonata Rete conquistò 12 seggi alla Camera e 3 al Senato80.

Le grandi variazioni in corso nell'assetto dei partiti tradizionali portarono globalmente ancora una volta ad una presenza quantitativamente vasta di forze politiche rappresentate : ottennero accesso alla Camera 15 liste, di cui tre regionaliste. Il combinato disposto dell'inizio del processo di trasformazione dei partiti e il mantenimento (per l'ultima volta) del sistema proporzionale puro creò quindi uno scenario profondamente multipartitico , che al Senato venne quasi totalmente replicato.

Nel periodo di vigenza del sistema proporzionale abbiamo osservato come la caratteristica multipartitica del sistema politico abbia pervaso diverse legislature , esercitando una duplice influenza sui rapporti di forza tra le formazioni politiche stesse e sull’assetto politico-parlamentare.

A proposito di quest’ultimo , è da considerare che la vastità dell’offerta politica che ha contraddistinto la Prima Repubblica ha avuto anche nelle scelte strategiche dei partiti , ed in particolare nelle scelte di collocazione delle stesse rispetto all’assetto parlamentare che si andava di volta in volta a determinare , un elemento mutevole e cronologicamente trasversale. Ma, se la prassi della mediazione ha spesso raggruppato più forze moderate nell’area di maggioranza creando di riflesso un’opposizione in cui erano collocate le ali estreme dell’assetto partitico , questo schema ha sofferto eccezioni , e le elezioni in oggetto ne sono un elemento esemplificativo.

Infatti , se nel 1963 i liberali avevano ottenuto un sorprendente risultato , analoga è la vicenda del Pri nel 1992 : 4,39% alla Camera e 4,70% al Senato , con un trend in crescita rispetto al 1987.

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Le due vicende , poste a tre decenni di distanza ma sotto la vigenza del medesimo sistema elettorale , sono causa del medesimo effetto , vale a dire la presenza parlamentare di un’opposizione centrista , che si schiera alternativamente ai principali poli pur senza collocarsi alle ali estreme del sistema.

Osservo che queste due esperienze siano paradigmatiche della molteplicità di effetti che un sistema elettorale privo di elementi distorsivi può produrre : sussiste una forma di alimentazione della rappresentatività , con un ruolo di primo piano assunto dai partiti e dal loro comportamento effettivo nelle istituzioni , che consente all’elettorato di premiarne (o punirne) le scelte politiche , svolgendo dunque il ruolo di rappresentati senza che la legislazione elettorale possa – più o meo consapevolmente – influenzarne le scelte al momento del voto.

L’assenza di ogni filtro tra le decisioni politiche del partito e il conseguente comportamento dell’elettorato rende perciò variabile anche la collocazione delle formazioni stesse , che come nel caso sopracitato sperimentano dinamiche apparentemente meno inclini al loro profilo politico ; la certezza degli elettori di vedere rappresentati i propri interessi dai corpi intermedi di riferimento è , di riflesso , la possibilità per i partiti di decidere su basi squisitamente politiche e poco tattiche (cioè assai scarsamente condizionate dai correttivi del sistema elettorale) l’impostazione della propria linea politica durante la legislatura.

Nella situazione esaminata , l'esperienza del governo Amato, la cui formazione seguì questa tornata elettorale, terminò quasi in concomitanza con il referendum dell'aprile 1993, momento che costituisce l'inizio del cambio di legge elettorale e della svolta maggioritaria.

La legislazione elettorale stava dunque subendo un vero e proprio stravolgimento , ma fu il sistema politico nel suo complesso a vedere ridisegnati i suoi elementi costitutivi. Come si è provato a sottolineare , la presenza di una disciplina elettorale priva di ogni filtro verso la possibilità dell’accesso alla rappresentanza da parte delle forze politiche aveva formato e tutto sommato mantenuto un legame fiduciario tra partiti ed elettori e sulla base di questo rapporto si erano articolate le relazioni politiche che hanno prodotto una vitalità che ha riguardato il dibattito parlamentare non meno di quello

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pubblico81.

Il cambiamento di segno intervenuto nella legislazione elettorale assunse un significato più profondo , che investì dunque lo scenario politico anzitutto nella dinamica concernente i suoi attori protagonisti. Le stesse relazioni interne del sistema partitico subirono un mutamento radicale e netto , che riguardò anzitutto il fenomeno coalizionale : nella modalità di composizione e nella pratica politica di relazionarsi ad esso da parte del sistema partitico.

Questo mutamento di paradigma ci porta a riflettere dunque non solo sulla differente tipologia di influenza che il nuovo sistema elettorale esercitò sul nuovo assetto politico , ma anche su come quest’ultimo si interfacciò nei confronti di un nuovo modo di intendere le relazioni e le coordinate politiche in cui muoversi.

81 L’indubbio attivismo della vita politica italiana che caratterizzò gli anni di vigenza del sistema

proporzionale come abbiamo visto trovò traduzione in una vastissima offerta politica ; quest’ultima ci consente , alla luce del più volte richiamato multipartitismo come effetto molto frequente del sistema elettorale in essere , di riepilogare qui brevemente le formazioni politiche che riuscirono ad ottenere rappresentanza nonostante prestazioni elettorali davvero modeste. Tutte le formazioni politiche qui indicate elessero uno o più rappresentanti alla Camera (ad

eccezione di Edelweiss , Alleanza Democratica Nazionale e Partito Autonomo Cristiano Sociale che ottennero seggi al Senato) senza arrivare all’1% dei consensi :

Partito dei Contadini d’Italia , Movimento Unionista italiano , Partito Cristiano Sociale , Partito Democratico del Lavoro , Fronte Democratico Progressista Repubblicano ,

Concentrazione Democratica Repubblicana , Movimento Indipendentista Siciliano , Edelweiss , Alleanza Democratica Nazionale , Comunità , Unione Valdostana , Partito Autonomo Cristiano Sociale , Associazione per Trieste , Liga Veneto , Lega Autonoma Veneta.

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