• Non ci sono risultati.

Considerazioni preliminari L’equiparazione del lavoro penitenziario al lavoro libero

5. Giurisprudenza costituzionale e processo di affioramento di nuovi diritt

5.1. I diritti emers

5.1.1. Considerazioni preliminari L’equiparazione del lavoro penitenziario al lavoro libero

Non teme smentite l’affermazione secondo cui il lavoro rappresenta un imprescindibile momento di formazione dell’identità della persona, svolgendo una vera e propria funzione di promozione della dignità umana a cui i pubblici poteri devono apprestare effettiva garanzia231.

Dunque, non si può giungere a una corretta comprensione degli interventi della Corte Costituzionale inerenti ai diritti del lavoratore detenuto, se non prendendo le mosse da alcune riflessioni sull’importanza che il lavoro riveste nell’attuale assetto costituzionale.

231 Si pensi all’importanza attribuita al lavoro già nel XVII secolo da numerosi autori, fra tutti J.

LOCKE, Due trattati sul governo e altri scritti politici, Torino, 1982, p. 25 ss. Per un’attenta analisi sulle origini storiche del lavoro carcerario si rimanda a F.CARDANOBILE, Il lavoro dei detenuti, Bari 2007 e D.MELOSSI, M.PAVARINI, Carcere e fabbrica, Bologna, 1977.

In effetti, come si avrà modo di specificare nelle pagine che seguono, il ruolo assunto dal lavoro nella normativa penitenziaria, quale elemento positivo del trattamento funzionalmente volto, cioè, alla realizzazione del processo di risocializzazione, dipende principalmente dalla centralità attribuitagli dal dettato costituzionale.

Il lavoro, infatti, è assunto quale valore fondante della Costituzione che, lunghi dal configurarsi come un mero strumento di conseguimento dei mezzi di sussistenza, diviene tramite necessario per l’affermazione della personalità individuale e collettiva232.

Emblematico, a questo proposito, il primo comma dell’articolo di apertura della Carta Costituzionale a norma del quale “l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”.

Decisivo, in tal senso, anche l’art. 4 Cost. che configura il lavoro sia come diritto sia come dovere del singolo. Il primo comma prevede, infatti, che “la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendono effettivo questo diritto”. Il secondo afferma, invece, che “ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”. Non si tratta di un dovere giuridico bensì morale, tramite il quale ogni cittadino concorrere al progresso della società, mediante lo svolgimento di una qualsiasi attività socialmente utile233. Oltre agli artt. 1 e 4 Cost., che elevano il lavoro a fenomeno sociale in grado di plasmare l’intera struttura statale, numerose disposizioni costituzionali ne rappresentano importanti corollari. Menzione a parte merita sicuramente l’art. 35 il quale, sancendo che “la Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni”, attribuisce ai pubblici poteri un ruolo propulsivo. Si delinea un sistema in cui - coerentemente con il principio

232

C.MORTATI, Il diritto al lavoro secondo la Costituzione della Repubblica (natura giuridica,

efficacia, garanzie), in Raccolta di scritti, Milano, 1972, III.

233 Tale riflessione risulta peraltro confermata dall’art. 38, comma 1, Cost., a norma del quale “ogni

cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale”.

dell’uguaglianza sostanziale - lo Stato deve promuovere tutte le azioni che rendano possibile la garanzia effettiva del diritto234.

Rientrano nell’indagine anche il principio della giusta retribuzione (art. 36, comma 1); l’irrinunciabile diritto al riposo settimanale e alle ferie annuali retribuite (art. 36, comma 3)235; l’eguaglianza fra lavoratori e lavoratrici (art. 37, comma 1); la riserva di legge in materia di giornata lavorativa e di età minima per poter svolgere attività di lavoro salariato (art. 36, comma 2 e 37, comma 2) e il diritto al mantenimento, all’assistenza sociale e a ogni forma di previdenza sociale (art. 38, comma 2)236.

Dunque, a fronte di un quadro costituzionale in cui il lavoro assume la posizione di valore irrinunciabile per l’affermazione della personalità individuale, si tratta di verificare se - e in quale misura - tale posizione trovi effettivo riconoscimento anche all’interno della normativa penitenziaria.

A questo proposito, deve rilevarsi come - in attuazione dei principi costituzionali - la disciplina del lavoro abbia subito una radicale trasformazione solo a seguito dell’intervento riformatore del ’75237

. Risultando completamente disancorato dalla precedente visione retributiva, esso perde qualsiasi connotazione di “fattore di afflizione” per affermarsi come elemento positivo del trattamento penitenziario238. A norma del nuovo comma 5, dell’art. 20 O.P., infatti,

234 M. R

UOTOLO, Diritti dei detenuti, op. cit. p. 173.

235 Infra, cap. 2, par. 5.1.2.

236 Per completezza d’analisi vanno altresì menzionate le disposizioni costituzionali in materia di

contrattazione collettiva tra cui: la libertà di organizzazione sindacale (art. 39, comma 1, Cost.) e il relativo potere dei sindacati registrati di stipulare contratti collettivi di lavoro vincolanti per tutti i lavoratori appartenenti alle categorie che essi rappresentano, anche se non iscritti (art. 39, comma 3, Cost.) nonché la garanzia del diritto di sciopero secondo quanto previsto dall’art. 40 Cost.

237 Tale mutamento deve considerarsi unitamente alle novità successivamente introdotte, in sede di

attuazione, dal regolamento di esecuzione (D.P.R. 431 del 1976) oggi sostituito dal D.P.R. 30 giugno 2000 n. 230.

238 A norma del nuovo art. 15, comma 1, O.P, infatti, il trattamento “è svolto avvalendosi

principalmente dell’istruzione, del lavoro, della religione, delle attività culturali, ricreative e sportive e agevolando opportuni contatti con il mondo esterno ed i rapporti con la famiglia”.

l’organizzazione e i metodi del lavoro penitenziario «devono riflettere quelli del lavoro nella società libera al fine di far acquisire ai soggetti una preparazione professionale adeguata alle normali condizioni lavorative per agevolarne il reinserimento sociale». Il lavoro penitenziario, dunque, non solo si trasforma da costrizione a diritto soggettivo, presupponendo un obbligo positivo in capo ai pubblici poteri, ma deve riflettere - nell’organizzazione e nei metodi - le caratteristiche del lavoro libero. Si perde così la storica funzione del lavoro come necessario completamento della sanzione retributiva, per divenire elemento essenziale affinché la pena possa effettivamente adempiere alle funzioni sancite dal dettato costituzionale239240.

Opposte le caratteristiche del lavoro penitenziario durante la vigenza del Regolamento per gli istituti di prevenzione e di pena del 1931. Come messo in luce nel primo capitolo, due erano i pilastri su cui la normativa carceraria si fondava: assoluta separazione con la realtà esterna e delimitazione delle attività consentite alle tre leggi su cui il trattamento penitenziario si fondava (pratiche religiose, istruzione e lavoro). Tali attività, aventi il carattere dell’esclusività e della tassatività, asservivano al mantenimento di un clima di apparente ordine all’interno dell’istituto, mirando ad ottenere un’adesione coatta alle regole e all’ideologia del trattamento carcerario (In tal senso, G. NEPPI MODONA, Vecchio e nuovo nella riforma dell’ordinamento penitenziario, in

Carcere e società, a cura di M. CAPPELLETTO, A. LOMBROSO, Padova, 1976, p. 68-69. Lo svolgimento di un’attività lavorativa assumeva, dunque, la qualifica di necessario corollario della pena, asservita a una funzione afflittiva, complementare a quella retributiva. In questo senso è stato osservato come i detenuti fossero interamente sottoposti al potere dell’Amministrazione penitenziaria e considerati dei soggetti minoris iuris rispetto allo Stato-datore di lavoro, al quale si riconosceva un’alta funzione di educazione e di tutela nell’interesse collettivo di tutti i cittadini, come a un austero pater familias. In questo senso, U. ROMAGNOLI, Il lavoro nella riforma

carceraria, in Carcere e società, a cura di M.CAPPELLETTO -A.LOMBROSO, Padova, 1976, p. 94. Interessante, infine, rilevare come l’art. 1 del Regolamento del ‘31 stabiliva lo stesso obbligo in capo agli imputati sottoposti a custodia preventiva che non fossero in grado di mantenersi con mezzi propri. Evidente, dunque, come fino alla riforma non trovassero applicazione né il principio di presunzione di non colpevolezza sino alla condanna definitiva né, di conseguenza, l’impossibilità di presumere per gli imputati un bisogno di rieducazione tramite l’imposizione dell’obbligo del lavoro. In tal senso E. FASSONE, Sfondi ideologici e scelte normative nella disciplina del lavoro penitenziario, in Diritti dei detenuti e trattamento penitenziario, Bologna,

1981, p. 158.

239 A questo proposito è stata correttamente messa in luce l’importanza di una potenziale scelta

astensionista da parte del detenuto: qualora fosse consentito alla controparte pubblica di costringere il cittadino a lavorare, il diritto si dequalificherebbe perdendo la sua connotazione originaria. In

Il lavoro carcerario è, tuttavia, assimilabile e non identico rispetto al lavoro libero: ciò appare in parte dovuto alle peculiarità che connotano l’attività lavorativa alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria.

Prescinde dalle intenzioni del presente lavoro analizzare esaustivamente in che misura i diritti riconosciuti dalla normativa giuslavoristica differiscano da quanto previsto all’interno dell’ordinamento penitenziario241

. Ciò che preme dimostrare, invece, è come - soprattutto in relazione alla posizione di preminenza assunta dal lavoro nel corso dell’esecuzione penale - la giurisprudenza costituzionale sia intervenuta agendo sulla normativa secondo un duplice modus

operandi: ora facendo emergere nuovi diritti (è il caso del diritto alle ferie) ora

agendo sul piano della loro effettività (competenza sulle controversie riguardanti il lavoro penitenziario)242.

questo senso S. ANASTASIA, P. GONNELLA, Patrie Galere. Viaggio nell’Italia dietro le sbarre, Roma, 2005, p. 87.

240 Nell’attuale assetto normativo la disciplina generale del lavoro penitenziario è contenuta negli

artt. 20 -25 dell’Ordinamento Penitenziario e, per quanto concerne la disciplina regolamentare, negli artt. 47-57 del nuovo Regolamento di esecuzione.

241

A questo proposito va tuttavia ricordato come negli ultimi quindici anni, il legislatore sia intervenuto per favorire la creazione e la gestione del lavoro durante l’esecuzione penale: è il caso della legge n. 193 del 2000 (c.d. legge Smuraglia) che offre agevolazioni fiscali e contributive per le cooperative sociali e le imprese che assumono detenuti sia all’interno degli istituti penitenziari sia nel lavoro esterno (art. 21 dell’Ord. Penit.).

Per un approfondimento del lavoro penitenziario, soprattutto in relazione ai caratteri di specificità rispetto a quello esterno, si vedano: F.CARDANOBILE, Il lavoro dei detenuti, op.cit., M. RUOTOLO,

Diritti dei detenuti, op. cit. p. 173, M. VITALI, Il lavoro penitenziario, Milano, 2001, P M. PAVARINI, La nuovo disciplina del lavoro dei detenuti nella logica del trattamento differenziato, in

L’ordinamento penitenziario dopo la riforma (l. 10 ottobre 1986, n. 663), Padova, 1994, F.

CICCOTTI - R. PITTAU, Il lavoro in carcere - aspetti giuridici e operativi, Milano, 1987, E.

FASSONE, Sfondi ideologici, op.cit., p. 158, G. TRANCHINA, Vecchio e nuovo a proposito di lavoro

carcerario, in V. GREVI, Diritti dei detenuti e trattamento penitenziario, Bologna, 1981,p. 143.

Outline

Documenti correlati