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Il diritto sommerso nelle fonti sovranazionali, nella giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e nelle altre esperienze normative

DIRITTI SOMMERSI E CORPO RISTRETTO

1. Diritti sommersi e tutela dei legami affett

1.1. Diritto alla sessualità intramuraria: legittima negazione o colpevole omissione?

1.1.2 Il diritto sommerso nelle fonti sovranazionali, nella giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e nelle altre esperienze normative

Il mancato riconoscimento dell’espressione fisica dell’affettività quale specifica declinazione di un diritto fondamentale della persona detenuta, non solo sembra contraddire quanto, sul punto, vorrebbe garantire il quadro normativo nazionale, ma si pone in un difficile rapporto di coerenza anche con “la tendenza del regime penitenziario europeo”314 e con la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

Sotto il profilo normativo il riferimento è agli articoli 8 (“Diritto al rispetto della vita privata e familiare”) e 12 (“Diritto al matrimonio”) della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali (di seguito CEDU)315 e alle due Raccomandazioni del Consiglio d’Europa sugli effetti sociali e familiari della detenzione (Racc. n. 1340 del 1997 e Racc. 11 gennaio 2006).

Queste ultime, seppur prive di forza vincolante, ben esprimono l’esigenza di predisporre strumenti normativi idonei a garantire la piena esplicazione dell’individualità del detenuto anche attraverso la protezione della sua sfera affettiva e sessuale.

314

Così letteralmente il Tribunale di Sorveglianza di Firenze nell’ordinanza n. 132 del 2012 (infra, cap. 3, par. 1.1.3.).

315 Come si avrà modo di approfondire più nel dettaglio nel paragrafo dedicato ai trattamenti

contrari al senso di umanità e al divieto di tortura (infra, cap. 3, par. 2.2.), le norme contenute nella Convenzione penetrano nell’ordinamento italiano per il tramite dell’art. 117, 1 comma, Cost. a norma del quale: “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”. Sulla portata delle disposizioni contenute nella Convenzione e, in generale sull’efficacia delle decisioni della Corte di Strasburgo nel sistema interno, Cfr. ex plurimis: V. ZAGREBELSKY, La Corte dei diritti dell’uomo dopo sessant’anni. Pensieri di un giudice a fine

mandato, in Il foro it., 2012, V, p. 29; G.SILVESTRI, Fonti interne, fonti esterne e tutela integrata

dei diritti fondamentali, in M. RUOTOLO, Studi in onore di Franco Modugno, Napoli, 2011; E. LAMARQUE, Gli effetti delle sentenze della Corte di Strasburgo secondo la Corte costituzionale

italiana, in Corr. giur., 2010; M. CARTABIA, La Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo e

l’ordinamento italiano, in A. BALSAMO, R. R. KOSTORIS, Giurisprudenza europea e processo

Nella Raccomandazione n. 1340, il legislatore sovranazionale sottolinea la necessità di predisporre all’interno degli istituti, luoghi nei quali i detenuti abbiano la possibilità di incontrare i propri visitatori da soli, superando così una delle più gravi restrizioni imposte dall’attuale quadro penitenziario nazionale.

La successiva raccomandazione del 2006, alla Regola n. 24, comma 4, specifica che «le modalità di esecuzione dei colloqui devono permettere ai detenuti di mantenere e sviluppare relazioni familiari il più possibile normali»: tale disposizione, già di per sé rilevante per il riferimento alla “normalità” delle relazioni familiari - che senza dubbio comprende anche la sfera sessuale - é illustrata nel commento in calce contenente una rilevante specificazione quanto ai tempi: «ove possibile devono essere autorizzate visite familiari prolungate» in quanto la brevità del lasso temporale può «avere un effetto umiliante per entrambi i partner».

A ulteriore conferma della “tendenza del regime penitenziario europeo”, l’art. 1 lett. c) della Raccomandazione del Parlamento europeo n. 2003/2188 (INI) del 2004, annovera tra le posizioni da garantire ai detenuti il diritto ad avere «una vita affettiva e sessuale attraverso la predisposizione di misure e luoghi appositi».

Deve, inoltre, essere rilevato come tale diritto sia oggi garantito - secondo diverse forme - in molteplici Paesi anche al di fuori dell’area comunitaria. Non è questa la sede per analizzare nel dettaglio quanto disposto dai singoli ordinamenti stranieri, rendendosi tuttavia necessaria una brevissima riflessione su alcune di queste esperienze; ciò al fine di mettere in luce l’irragionevolezza, anche in termini comparatistici, della scelta negazionista del legislatore italiano.

Si passa da esperienze normative in cui la sfera affettiva è garantita attraverso la semplice concessione di colloqui prolungati e non controllati (è il caso della Croazia e dell’ Albania) a soluzioni più complesse, in cui l’esplicazione del diritto passa attraverso la predisposizione di apposite strutture. Al riguardo basti richiamare l’esperienza di diversi paesi del nord Europa - come Norvegia e Danimarca - la cui normativa garantisce la più ampia intimità mettendo a disposizione dei ristretti strutture con camere matrimoniali, servizi e cucina;

l’intento è ricreare una condizione quanto più possibile “normale” e intima, in cui detenuto e partner possano manifestare liberamente il proprio rapporto affettivo.

Oltre alle esperienze illuminate di Norvegia e Danimarca, sono undici i Paesi dell’Unione Europea che hanno introdotto una specifica disciplina in materia. In Spagna, nella regione della Catalogna, vengono concesse due visite al mese senza sorveglianza, ciascuna della durata di un’ora e mezza: una con la famiglia e l’altra con il partner (c.d. visita intima)316. Tali incontri si configurano come un elemento necessario del trattamento penitenziario, prescindendo pertanto da qualsiasi valutazione sulla condotta del soggetto.

In Svizzera, le visite senza controllo visivo del personale di custodia sono state introdotte già nei primi anni ’80, svolgendosi in appositi spazi simili a monolocali arredati. L’unica forma di sorveglianza è prevista all’esterno: l’agente deve tuttavia tenere una distanza pari ad almeno quindici metri rispetto alla struttura così da garantire la massima intimità alla coppia. Tali permessi si configurano come benefici penitenziari per l’accesso ai quali è necessario aver scontato almeno due anni di pena, oppure, a discrezione del direttore, almeno diciotto mesi.

Dunque, l’ampio riconoscimento normativo del diritto alla sessualità intramuraria, testimonia come sia largamente diffusa la convinzione che solo attraverso la sua garanzia possa essere tutelata la sfera più intima della dignità di ogni individuo, favorendo non solo l’integrità del nucleo familiare ma anche la sfera psicofisica del detenuto in vista di un suo reinserimento nel consorzio sociale.

Quanto alla giurisprudenza di Strasburgo, in riferimento gli articoli 8 e 12 della CEDU, la Corte - pur escludendo che esista un obbligo positivo in capo agli Stati Parte di riconoscere un autonomo diritto alla sessualità intramuraria - ha più volte manifestato il proprio favore per gli interventi normativi volti in tal senso: «rilevando positivamente i percorsi di riforma in diversi Stati europei tesi al

miglioramento delle condizioni detentive attraverso l’agevolazione delle visite

316 Nell’ordinamento spagnolo per partner si intende la persona che si presenta regolarmente ai

coniugali […], attualmente il rifiuto di tali visite potrebbe ritenersi giustificato da ragioni di prevenzione penale»317.

Considerazioni recentemente ribadite: «mentre la Corte ha espresso

approvazione per l’evoluzione in favore delle visite coniugali, essa non ha ancora interpretato la Convenzione in senso tale da affermare che richieda agli Stati Parte di provvedere in merito a tali visite. Di conseguenza è questa un’area in cui gli Stati godono di ampia discrezionalità nella determinazione del percorso da seguire per garantire l’applicazione della Convenzione, con particolare riguardo alle necessità e alle risorse delle comunità nazionali»318.

Significativa, inoltre, l’equiparazione della convivenza stabile al rapporto di coniugio nel godimento del diritto: chiarito che il mantenimento delle relazioni affettive è elemento essenziale del trattamento, la Corte specifica che «una coppia

che convive da molti anni costituisce una “famiglia” quanto alle finalità dell’art. 8 della Convenzione e ha diritto alla medesima tutela a prescindere dal fatto che la loro relazione si svolga al di fuori del matrimonio»319.

Evidente, come la scelta negazionista del legislatore italiano si ponga in relazione antitetica rispetto alla crescente attenzione accordata dall’ordinamento comunitario e internazionale alla sfera dei diritti affettivi e familiari delle persone private della libertà320. La posizione del legislatore nazionale sembra ulteriormente

317

Corte EDU, 29 aprile 2003, Aliev contro Ucraina, ricorso n. 41220/98.

318Corte EDU, 4 dicembre 2007, Dickson contro Regno Unito, ricorso n. 44362/04. Si vedano

inoltre: Commissione EDU, 22 ottobre 1997, E.L.H. e altro contro Regno Unito, ricorsi nn. 32094/96 e 32568/96; Commissione EDU, 10 luglio 1980, Draper contro Regno Unito, ricorso n. 8186/78 nonché Commissione EDU, 3 ottobre 1978, X. e altro contro Svizzera, ricorso n. 8166/78.

319Corte EDU, 22 maggio 2008, Petrov contro Bulgaria, ricorso n. 15197/02.

320 Per una rapida disamina degli interventi normativi nazionali e internazionali aventi ad oggetto la

tutela della dignità della persona ristretta Cfr. M. RUOTOLO, Diritti dei detenuti, in M. FLORIS,

Diritti umani. Cultura dei diritti e dignità della persona nell’epoca della globalizzazione,

Dizionario, Torino, 2007, Vol . I, p. 331 ss.

Sulla tutela della dignità umana nella giurisprudenza delle Corti europee si vedano in particolare: V. ZAGREBELSKY, M. DE SALVIA, Diritti dell’uomo e libertà fondamentali, op.cit., p. 46 ss. e M. DI CIOMMO, Dignità umana e stato costituzionale. La dignità umana nel costituzionalismo

confermata da una recente pronuncia della Corte di Cassazione: «non costituisce

motivo grave che, se accertato, può legittimare la concessione di permesso al detenuto a norma dell'art. 30 L. 354/75 […] la necessità di trascorrere un breve periodo di tempo con il coniuge al fine di consumare il matrimonio celebrato in carcere»321. L’istituto normativamente preposto a offrire tutela all’esigenza

sessuale sarebbe piuttosto il permesso premio; per questo motivo «non vi è alcuna

illegittimità costituzionale di una norma che ha come scopo ben altro che non un'esigenza naturale ed affettiva, sacrificata per lo stato di detenzione […]. Tra gli eventi di particolare gravità può rientrare tutto ciò che ha il carattere dell'eccezionalità e non il diritto ad avere rapporti sessuali, che per sua natura, non ha alcun carattere di eccezionalità»322.

Una sentenza, questa, che si pone in linea di continuità con la giurisprudenza precedente: già nel 1992 il Giudice di Legittimità aveva sancito che: «il vigente

ordinamento penitenziario esclude, per i detenuti, la facoltà di rapporti sessuali, anche tra persone unite in matrimonio, nel carcere. Tale esclusione è una conseguenza diretta della privazione della libertà personale, propria della reclusione e, pertanto, il nostro ordinamento giuridico non attribuisce al condannato […] il potere di contrastare, in tale suo stato, la detta limitazione opponendole un diritto civico della sua personalità privata»323.

1.1.3 L’obbligatorietà del controllo visivo sui colloqui impedisce il godimento

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