DIRITTI SOMMERSI E CORPO RISTRETTO
2. Dal diritto a uno spazio detentivo dignitoso al diritto a non subire tortura
2.1. Il diritto a uno spazio detentivo dignitoso Il Messaggio del Presidente della Repubblica, le “leggi carcerogene” e gli interventi della Consulta
2.1.1. Una prevedibile condanna: dal caso Sulejmanovic alla sentenza Torreggian
Come più volte rilevato nelle riflessioni precedenti, l’Italia è stata oggetto di specifiche sentenze di condanna da parte dei giudici di Strasburgo in ragione della superficie pro capite estremamente esigua a disposizione di numerosi detenuti.
Si fa riferimento anzitutto alla sentenza Sulejmanovic c. Italia del 6 novembre 2009413, tipico esempio della ratio decidendi utilizzata dalla Corte nel considerare automaticamente integrata la violazione di cui all’art. 3 della Convenzione, ove lo spazio detentivo per ciascun detenuto sia inferiore a 3 mq.
Nel caso di specie il ricorrente, cittadino bosniaco detenuto nella Casa Circondariale di Rebibbia Nuovo Complesso dal novembre 2002 all’ottobre G.FILIPPETTA, La sentenza n. 32 del 2014 della Corte Costituzionale, ovvero dell’irresistibile
necessità e dell’inevitabile difficoltà di riscrivere l’art. 77 Cost.; G.M.FLICK, Decreto legge e
legge di conversione nella più recente giurisprudenza costituzionale; A. FRANCO La evidente disomogeneità tra decreto-legge e legge di conversione nella recente giurisprudenza della Corte costituzionale (a margine di Corte cost. n. 32 del 2014); E. FRONTONI, Sono ancora legittime
disposizioni di delega inserite in sede di conversione?; F.MODUGNO, Decretazione d’urgenza e
giurisprudenza costituzionale. una riflessione a ridosso della sentenza n. 32 del 2014 della Corte costituzionale; G. SERGES, Per un superamento delle ‘decisioni rinneganti’ in materia di
decretazione d’urgenza. Spunti di riflessione a partire dalla più recente giurisprudenza costituzionale. Sulle modifiche apportate alla disciplina in esame dal più volte richiamato d.l. 146
del 2013, convertito con modificazioni dalla legge n. 10 del 2014 cfr. A.DELLA BELLA, Emergenza
carceri e sistema penale, op. cit., p. 49.
2003414, lamentava di essere stato recluso in una cella di 16,20 mq fino al 15 aprile 2003 con cinque persone (disponendo di una superficie pro capite pari a 2,70 mq), per essere poi trasferito in altra cella di 16,20 mq con almeno quattro persone (disponendo di 3,40 mq ciascuno)415. Il ricorrente, inoltre, lamentava carenze nell’organizzazione della vita carceraria tali da non permettergli una vivibilità all’esterno della cella, restando ivi recluso per circa 18 ore al giorno416
. La permanenza in carcere si sarebbe così tradotta in un trattamento inumano e degradante secondo quanto affermato dai richiamati principi sanciti dal Comitato per la prevenzione della tortura417.
La Corte EDU dichiara fondato il ricorso, nei termini di seguito specificati, condannando l’Italia al risarcimento del danno in favore del ricorrente. Interessante - anche per comprendere le differenze con la successiva sentenza Torreggiani - l’iter argomentativo seguito dai giudici di Strasburgo. Si dà conto in
414 Successivamente rilasciato a seguito dell’applicazione del c.d. indultino del 2003 (l. n.
207/2003: “Sospensione condizionata dell'esecuzione della pena detentiva nel limite massimo di due anni”).
415 Dal 15 aprile al 20 ottobre 2003.
416 Lamentava infine di aver domandato invano di lavorare in carcere.
417 Il Governo, su richiesta della Corte EDU, nel luglio 2008 produceva dati circa la condotta della
vita carceraria a Rebibbia con particolare riferimento alla detenzione del ricorrente dai quali risulta che: tra l’ottobre 2002 e il novembre 2003 i detenuti presenti nell’istituto erano oscillati tra le 1.456 e le 1.660 unità, a fronte di una capienza pari a 1.271; che il Sulejmanovic era stato ristretto in una cella con altre cinque persone solo dal 17 gennaio 2003 al 5 aprile 2003; successivamente aveva diviso lo spazio con quattro detenuti (fino al 23 maggio 2003), due (fino al 5 luglio 2003), tre (fino al 1° ottobre 2003), di nuovo due (fino al 20 ottobre 2003, giorno della scarcerazione). Inoltre, rileva il Governo, le ore che il detenuto poteva trascorrere fuori dalla camera di pernottamento ogni giorno erano circa nove.
Quanto al merito del ricorso il Governo osserva che il Sulejmanovic, giovane e in buona salute, era stato detenuto per dieci mesi e venti giorni (un periodo relativamente breve), durante il quale non aveva subito percosse, isolamento, limitazioni alla corrispondenza, alla visita dei familiari e all’accesso a cure mediche. Circa i parametri violati si rileva come le indicazioni fornite del CPT siano più rigide rispetto a quelle della giurisprudenza EDU; ne conseguirebbe una mancata violazione dell’art. 3 della Convenzione. A ciò si aggiunge la considerazione che lo stesso CPT aveva visitato il carcere di Rebibbia nel 1992, giudicando le condizioni detentive nel complesso accettabili; l’aumento della popolazione carceraria non avrebbe comunque raggiunto il livello critico richiesto per la violazione dell’art. 3.
primis della normativa interna e sovranazionale rilevante per il caso di specie,
facendo riferimento alle disposizioni penitenziarie relative alle condizioni dettate per i locali detentivi (illuminazione, aerazione, servizi igienici) e richiamando la Raccomandazione (Rec 2006) del Comitato dei Ministri sulle regole penitenziarie europee secondo le quali, di norma, ogni detenuto dovrebbe pernottare in una cella individuale.
Nel merito la Corte EDU rileva innanzitutto come, per costante giurisprudenza, l’art. 3 rappresenti uno dei valori fondamentali delle società democratiche, proibendo in termini assoluti la tortura e i trattamenti inumani o degradanti, indipendentemente dai fatti commessi dalla persona interessata. La disposizione impone allo Stato di sincerarsi che le condizioni detentive siano compatibili con il rispetto della dignità, che le modalità di esecuzione non obblighino il detenuto a soffrire una prova d’intensità superiore all’inevitabile sofferenza che reca con sé la detenzione e che il suo benessere sia adeguatamente assicurato.
Con specifico riferimento alla questione sollevata dal ricorrente, la Corte rileva l’impossibilità di quantificare, in modo preciso e definitivo, lo spazio personale da assicurare ai singoli detenuti in ossequio alla Convenzione. Esso, infatti «può dipendere da diversi fattori, quali la durata della privazione della
libertà, le possibilità di accesso all’aria aperta o le condizioni psico-fisiche del detenuto».
Questo principio, tuttavia, non ha impedito alla Corte di riconoscere, in diverse occasioni, che la mancanza di uno spazio personale inferiore ai 3 mq costituisca di per sé un’evidente violazione della Convenzione. Al contrario, qualora lo spazio sia superiore a tale soglia minima, occorre operare una valutazione casistica della violazione che tenga conto di altri aspetti relativi alle condizioni detentive (utilizzo privato dei servizi igienici, aerazione disponibile, accesso alla luce e all’aria, qualità del riscaldamento, rispetto delle primarie esigenze sanitarie).
Premesse tali argomentazioni, la Corte ne dà concreta applicazione al caso sottoposto al suo giudizio. Pur non constatando carenze nelle generali condizioni
di vita - possibilità di trascorrere circa 9 ore al giorno fuori dalla cella, presenza di un bagno attiguo alla stessa, disponibilità di riscaldamento e luce naturale nonché possibilità di godere di momenti ricreativi - la Corte ha accolto il ricorso nella parte in cui lo stesso si riferiva a un periodo, di oltre due mesi e mezzo, in cui il detenuto aveva avuto a disposizione una superficie di soli 2,7 mq (17 gennaio - 5 aprile 2003). Per il restante periodo di detenzione il ricorso è respinto, avendo il ricorrente fruito di superfici variabili fra i 3,24 e i 4,50 mq. Dunque, la mancata garanzia di uno spazio medio pari o superiore alla soglia dei 3 mq è ritenuta di per sé sufficiente a integrare la violazione dell’art. 3 della Convenzione, traducendosi automaticamente in un trattamento inumano e degradante. Interessante, per una valutazione di ampio respiro del fenomeno, in grado di considerare il sovraffollamento come un problema di natura politica piuttosto che mera questione di calcolo, l’opinione concordante del giudice Sajò: l’inumanità del trattamento sarebbe altresì rinvenibile nella considerazione che lo Stato non ha dimostrato di avere adottato misure compensative supplementari per attenuare le condizioni estremamente gravose derivanti dalla sovrappopolazione carceraria. Ulteriore aggravio nella situazione patita dal ricorrente sarebbe quindi costituita dal disinteresse dimostrato dallo Stato in relazione a un fenomeno in grado di incidere significativamente sulla dignità delle persone e sulla garanzia dei diritti inviolabili.
La condanna del 2009 non ha tuttavia inciso sullo “stato del disinteresse”: dopo la sentenza, l’Italia ha adottato solo qualche timido intervento di riforma finalizzato alla riduzione del sovraffollamento. In sintesi, con il D.P.C.M. del 13 gennaio 2010 il Governo ha dichiarato lo “stato di emergenza” a cui ha fatto seguito un “Piano Carceri” articolato in quattro pilastri d’azione: i primi due riguardano interventi di edilizia carceraria; il terzo mira a introdurre modifiche normative al sistema sanzionatorio418; il quarto, infine, prevede un aumento del personale di polizia penitenziaria. Il piano, ancora in fase di realizzazione, ha avuto un’attuazione modesta e le misure adottate si sono dimostrate tutt’altro che idonee a fronteggiare alla radice il fenomeno del progressivo aumento della
418 Si fa riferimento alla possibilità di applicare la detenzione domiciliare per pene detentive di
breve durata e di estendere l’istituto della messa alla prova ai soggetti imputabili per reati minori, con conseguente sospensione del processo.
popolazione detenuta. A dimostrarlo, ancora una volta, l’incontrovertibile dato numerico: al 31 dicembre 2013 i detenuti presenti nelle carceri italiane ammontavano a 62.536419.
Risposte più concrete sono giunte a livello amministrativo. Il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha avviato, con una serie di circolari, un progetto di cambiamento organizzativo degli istituti penitenziari incentivando nuovi percorsi di gestione e trattamento dei detenuti: la c.d. sorveglianza dinamica. Si tratta di un istituto in cui tempo e spazio della pena assumono nuovo significato, rendendo la quotidianità penitenziaria maggiormente coerente con i principi costituzionali e ordinamentali. Si immagina un modello «più efficace per
assicurare l'ordine all'interno degli istituti, senza ostacolare le attività trattamentali […] che fonda i suoi presupposti su un sistema che fa della conoscenza del detenuto il fulcro su cui deve poggiare qualsiasi tipo di intervento trattamentale o securitario adeguato»420. La nuova forma di sorveglianza «consiste nella differenziazione degli istituti, per graduare in relazione alla
tipologia giuridica e, prima ancora, al livello di concreta pericolosità dei soggetti». A questo proposito la stessa circolare ammette che il percorso di
cambiamento gestionale risulterebbe fortemente frustrato «ove il perimetro della
vita rimanesse confinato nei pochi metri quadri della cella o del corridoio così come avviene in troppi istituti». Occorre, quindi, una diversa gestione degli spazi
distinguendo chiaramente tra «la cella - destinata, di regola, al solo pernotto - e luoghi dedicati alle principali attività trattamentali (scuola, formazione, lavoro, tempo libero) e i servizi (cortili passeggio, alimentazione, colloqui con gli
419 In proposito va messo in luce come alcuni interventi si siano realmente mossi in direzione di
un’effettiva decarcerizzazione: la legge n. 199 del 2010, ha introdotto nell’ordinamento la misura dell’esecuzione presso il domicilio per le pene detentive fino a 12 mesi, estesa poi a 18 mesi dalla successiva legge n. 9 del febbraio 2012. La stessa legge è intervenuta sul fenomeno delle c.d. “porte girevoli”, al fine di arginare il flusso di persone che fanno ingresso in carcere a seguito dell’arresto, per uscirne dopo pochi giorni, a seguito dell’udienza di convalida. In particolare, modificando l’art. 558 c.p.p., relativo al procedimento davanti al giudice monocratico, sono stati ridotti i termini per la convalida dell’arresto stabilendo il principio secondo cui gli arrestati devono essere custoditi, di regola, nel domicilio o nelle camere di sicurezza e solo in via residuale nelle case circondariali.
operatori), così creando le condizioni perchè il detenuto sia impegnato a trascorrere fuori dalla cella la maggior parte della giornata»421.
Almeno sul piano amministrativo, dunque, un segnale c’è stato: le innovazioni proposte dalla citata circolare - seppur ancora disattese dalla maggioranza degli istituti italiani - manifestano la volontà dell’amministrazione di concorrere all’effettivo superamento del concetto di “camera di detenzione” in favore di quello originario, voluto dal legislatore penitenziario del ‘75, di “locale di pernottamento”.
Tuttavia, i timidi interventi di riforma messi in campo dalle forze politiche tra il 2009 e il 2012 hanno fatto si che il caso Sulejmanovic costituisse solo il precedente giurisprudenziale di una più pesante condanna nei confronti dell’Italia. Il riferimento è, naturalmente, alla più volte richiamata sentenza Torreggiani dell’8 gennaio 2013422 con la quale i giudici di Strasburgo hanno nuovamente condannato l’Italia a causa delle condizioni inumane sofferte da diversi detenuti in istituti sovraffollati.
La pronuncia assume un’importanza particolare - per il tema che qui interessa - non solo in riferimento all’oggetto ma anche in relazione alla sua qualifica giuridica: per evitare di essere ingolfata da cause seriali provenienti dal nostro Paese423 la Corte sceglie di adottare una sentenza pilota, mettendo in mora lo Stato italiano e fissando in un anno il termine entro il quale lo stesso è chiamato a mettere in campo interventi in grado di ridisegnare gli spazi del carcere; spazi che, in conformità al dettato costituzionale, dovevano essere tali da garantire un’esecuzione penale umana, rieducativa e risocializzante424
.
421 Sull’argomento, anche in relazione a ulteriori circolari ministeriali, Cfr. M.D
E PASCALIS, La via
del cambiamento attraverso un modo di essere diverso. La sorveglianza dinamica, in www.giustizia.it.
422 C. edu, sent. 8 gennaio 2013, ric. nn. 43517/09, 46882/09, 55400/09, 57875/09, 61535/09,
35315/10 e 37818/10.
423 Così letteralmente A.G
UAZZAROTTI, La CEDU e l’Italia: sui rischi dell’ibridazione delle tutele
giurisdizionali dei diritti, in Giurisprudenza costituzionale, 2013, fasc. 4, p. 3662.
424 Si tratta di un istituto di origine giurisprudenziale - affermatosi per la prima volta nel caso Broniowski c. Polonia (ric. n. 31443/96) - e ora formalizzato nell’art. 46 CEDU, comma 1 e