5. Giurisprudenza costituzionale e processo di affioramento di nuovi diritt
5.1. I diritti emers
5.1.2. Il processo di emersione del diritto al riposo festivo e annuale
A norma dell’art. 36, comma 3, Cost. «il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi». Evidente, dunque, come la Carta Costituzionale attribuisca a tali diritti un valore imprescindibile e irrinunciabile avente portata generale.
Nonostante la chiarezza del dettato costituzionale, la normativa penitenziaria, in ordine allo svolgimento del rapporto di lavoro, stabilisce unicamente che «la durata delle prestazioni lavorative non può superare i limiti stabiliti dalle leggi vigenti in materia di lavoro e, alla stregua di tali leggi, sono garantiti il riposo festivo e la tutela assicurativa e previdenziale» (art. 20, comma 16, O.P.)243. Nessun riconoscimento, dunque, veniva attribuito al diritto alle ferie del detenuto lavoratore.
Il silenzio del legislatore ha sollevato numerose critiche: apparendo inspiegabile il richiamo al diritto al riposo festivo, previsto espressamente dall’art. 20 O.P., e non anche quello al riposo annuale. Entrambi gli istituti, infatti, così come la previsione di limiti all’orario di lavoro, sono finalizzati al recupero delle energie psicofisiche del lavoratore, ed entrambi sono riconosciuti dalla Costituzione come diritti irrinunciabili direttamente derivanti dalla prestazione lavorativa. In particolare, la dottrina risultava divisa fra coloro che si dimostravano propensi ad un'applicazione della disciplina generale anche al lavoro penitenziario244 e coloro che rilevavano, al contrario, come la lacuna fosse direttamente contrastante con l'art. 36 Cost., il quale, specificamente, prevede per tutti i lavoratori il diritto irrinunciabile alle ferie annuali retribuite245.
243 Tale prescrizione, benché inserita all’interno di una norma dedicata al lavoro inframurario, si
applica indistintamente anche nelle ipotesi di svolgimento di lavoro extramurario.
244
In tal senso R.PESSI, Il rapporto di lavoro del detenuto: a proposito della concessione in uso
della manodopera dei detenuti ad imprese private appaltatrici, in "Diritto del lavoro", 1978, p.
112.
245 Cfr.G.P
ERA, Aspetti giuridici del lavoro carcerario, in Foro.it, 1971, p. 66 e G.DI GENNARO, R.BREDA, G.LA GRECA, op. cit., p. 150.
La Corte costituzionale ha definitivamente dissipato ogni dubbio con la nota sentenza n. 158 del 22 maggio 2001. Nel caso di specie, un detenuto ristretto nella Casa Circondariale di Agrigento aveva proposto reclamo ai sensi dell’art. 69, comma 6, lett. a), O.P., lamentando, tra l’altro, il mancato godimento delle ferie e della relativa indennità sostitutiva in relazione allo svolgimento dell’attività lavorativa all’interno dell’istituto penitenziario. A seguito del reclamo, il giudice a
quo aveva sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 20, comma 16,
O.P. nella parte in cui non riconosceva il diritto alle ferie - e alla relativa indennità sostitutiva - nei confronti del detenuto lavoratore. Secondo il giudice rimettente, il mancato riconoscimento di tale diritto sarebbe costituzionalmente illegittimo perchè direttamente contrastante con l’art. 36, comma 3, Cost., il quale, come detto, qualifica il diritto al riposo annuale - così come quello al riposo festivo - come diritto irrinunciabile del lavoratore, senza distinzioni di sorta. In altri termini, non sembra sussistere - secondo il rimettente - alcuna specificità del lavoro prestato alle dipendenze dell’Amministrazione tale da giustificare una compressione del diritto costituzionale alle ferie che, conseguentemente, dovrebbe essere riconosciuto e garantito.
Secondo il giudice a quo, inoltre, il silenzio legislativo si porrebbe in contrasto anche con i principi di cui all’art. 27, comma 3, Cost: negare al detenuto che svolge la propria attività lavorativa all’interno dell’istituto il diritto a usufruire di un periodo continuativo di riposo, renderebbe il lavoro carcerario particolarmente afflittivo, impedendo allo stesso di svolgere una funzione pienamente risocializzante.
La Corte Costituzionale accoglie la questione con una sentenza additiva che, agendo direttamente sul dato normativo, ha condotto all’immediata emersione del diritto alle ferie retribuite per i detenuti lavoratori.
Interessante il percorso argomentativo seguito dalla Consulta. Viene innanzitutto messo in luce come il lavoro penitenziario sia divenuto, a seguito delle innovazioni apportate dalla riforma del ‘75, un elemento cardine del trattamento individualizzato, imprescindibile per perseguire il reiserimento sociale della persona secondo quanto richiesto dal dettato costituzionale.
La Corte, tuttavia, osserva come il lavoro penitenziario abbia necessariamente dei caratteri di specialità, derivanti dall’inevitabile connessione tra rapporto di lavoro e profili organizzativi, disciplinari e di sicurezza, propri dell’ambiente carcerario. Secondo la Consulta, allora, tale specificità - la cui regolamentazione può conoscere delle «varianti» o delle «deroghe» rispetto alla disciplina giuslavoristica, in ragione sia delle esigenze sopra menzionate - non vale «ad affievolire il contenuto minimo di tutela che, secondo la Costituzione,
deve assistere ogni rapporto di lavoro subordinato». Il diritto al riposo annuale
integra, infatti «una di quelle posizioni soggettive che non possono essere in alcun
modo negate a chi presti attività lavorativa in stato di detenzione»246.
La Corte rompe, dunque, un assordante silenzio legislativo: legittimo è sostenere l’esistenza di una “differenziazione di modalità” nella fruizione delle ferie in ragione delle condizioni detentive; incostituzionale, al contrario, è la negazione tout court di un diritto riconosciuto dalla Costituzione come irrinunciabile.
La mancata previsione contrasta inevitabilmente anche con i principi di cui all’art. 27, comma 3, Cost.: come specificato nell’ordinanza di rimessione, il mancato riconoscimento del diritto a un periodo continuativo di riposo, rendendo il lavoro penitenziario più afflittivo impedisce allo stesso di svolgere una funzione umana, rieducativa e risocializzante. Per questi motivi, la Consulta dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 20, comma 16, O.P., nella parte in cui non riconosce il diritto al riposo annuale retribuito al detenuto che svolga attività lavorativa alle dipendenze dell’Amministrazione, per contrasto con entrambi i parametri evocati dal rimettente (art. 36, comma 3 e art. 27, comma 3)247.
246 Naturalmente tale diritto necessiterà di tutti gli adattamenti che si rendono necessari sotto il
profilo delle modalità attuative, per assicurarne la compatibilità con lo stato di detenzione.Così,M. RUOTOLO, Dignità e carcere, op. cit., p. 55.
247
Nonostante la Corte abbia fatto esclusivo riferimento al detenuto che presti la propria attività lavorativa alle dirette dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria, deve ritenersi che la decisione possa estendersi, a meno di non voler incorrere in evidenti violazioni del principio di ragionevolezza, alla generalità dei detenuti e degli internati che assumano la veste di lavoratori subordinati, indipendentemente dalla specifica tipologia di lavoro penitenziario. La precisazione
Sono necessarie alcune riflessioni conclusive.
In primis occorre precisare come la Corte, in vista di una maggiore
equiparazione tra lavoro carcerario e lavoro libero, si sia spinta ben oltre a quanto precedentemente stabilito nella sentenza n. 1087 del 1988. In tale pronuncia, i giudici costituzionali avevano assunto una posizione decisa con riferimento alla legittimità delle disposizioni dell’ordinamento penitenziario in tema di determinazione del compenso spettante ai detenuti lavoratori e alle relative decurtazioni. In particolare, era stata dichiarata non fondata - in riferimento agli artt. 3 e 36 Cost. - la questione di legittimità costituzionale dell’art. 22 O.P., nella parte in cui prevedeva che la mercede dei lavoratori detenuti potesse essere inferiore, anche se nel limite dei due terzi, rispetto al trattamento economico previsto dai contratti collettivi nazionali.
Considerando le differenze ontologiche esistenti tra le forme di lavoro carcerario, la Corte aveva ritenuto applicabile la disciplina di cui all’art. 22 O.P., esclusivamente all’attività lavorativa prestata alle dirette dipendenze dell’Amministrazione sottolineando, tuttavia, come anche tale forma di lavoro debba essere protetta alla stregua dei precetti costituzionali di cui agli artt. 35 e 36 Cost248.
Ben diversa la portata della pronuncia in esame. Il Giudice delle Leggi, ponendo l’accento sull’inesistenza - almeno in questo caso - dei caratteri di specificità del rapporto di lavoro carcerario, agisce direttamente sulla lacuna normativa facendo emergere un diritto espressamente qualificato dal dettato costituzionale come irrinunciabile per ogni lavoratore.
Tale processo non è stato tuttavia accompagnato da un conseguente intervento legislativo in ordine ad alcune questioni che, inevitabilmente, la citata sentenza ha sollevato.
rileva, in particolare, con riferimento ai detenuti che svolgono attività lavorativa alle dipendenze di imprese pubbliche o private o di cooperative sociali operanti all’interno del carcere.
248 Per ulteriori approfondimenti, si vedano F.D
ELLA CASA, Il riconoscimento del diritto al riposo
annuale retribuito al detenuto che lavora. Commento alla sentenza della Corte Costituzionale 22 maggio 2001, n. 158, in "Diritto penale e processo", N. 10, 2001, p. 246 ss.
Si pensi, a titolo meramente esemplificativo, alla possibilità - o meno - di corrispondere al detenuto lavoratore l’indennità sostitutiva.
A questo proposito, la disciplina lavoristica stabilisce espressamente che le ferie, configurandosi come un diritto costituzionalmente irrinunciabile, devono essere effettivamente godute: la conseguenza è l’impossibilità di una loro sostituzione attraverso l’erogazione di un equivalente economico (cd. indennità per ferie non godute), salvo il caso in cui, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, esse, di fatto, non siano state interamente godute249.
Ci si è chiesti, allora, se tale indennità - in assenza di un’espressa previsione legislativa - potesse essere riconosciuta anche ai lavoratori detenuti. Secondo parte della dottrina, la circostanza che la sentenza n. 158 del 2001 non operasse alcun riferimento a tale indennità, dovrebbe interpretarsi nel senso che diritto alle ferie e indennità sostitutiva siano tra loro interscambiabili. Viceversa, secondo un diverso orientamento, l’omesso riferimento dovrebbe interpretarsi in senso diverso. La Corte avrebbe dato per scontato il carattere irrinunciabile delle ferie ma non dell’indennità sostitutiva; il corrispettivo economico per il mancato godimento del riposo annuale troverà allora giustificazione solo se, al momento della cessazione del rapporto, venga accertato che sia stato violato il diritto alle ferie del detenuto lavoratore250.
Nell’assoluta indifferenza del legislatore ordinario, la questione ha trovato una recente risposta nella sentenza n. 18168 del 2013 della Cassazione. Dal carattere irrinunciabile del delle ferie la Suprema Corte fa discendere una naturale conseguenza: nei casi di mancato godimento del diritto - anche senza
249 Deve precisarsi che il legislatore limita il divieto di erogare un’indennità in luogo delle ferie
non godute al periodo minimo delle quattro settimane (art. 10, dlgs. n. 66 del 2003); si ritiene, dunque, che tale divieto non trovi applicazione con riguardo ai periodi di maggior durata delle ferie stabilite dai contratti collettivi. In tal senso M.PERSIANI, G.PROIA, Contratto e rapporto di lavoro Padova, 2009, p. 128.
250 Il dibattito dottrinale in ordine all’indennità sostitutiva è riportato daG.V
ANACORE, Il lavoro
penitenziario e i diritti del detenuto lavoratore, in Associazione per gli Studi Internazionali e Comparati sul Diritto del lavoro e sulle Relazioni Industriali, Modena, 2001.
responsabilità del datore di lavoro - spetta comunque al lavoratore l’indennità sostitutiva.
Quest’ultima infatti ha, da un lato, carattere risarcitorio, in quanto idonea a compensare il danno costituito dalla perdita di un bene al cui soddisfacimento l’istituto delle ferie è destinato251; dall’altro, costituisce un’erogazione di indubbia natura retributiva.
Ancora una volta, dunque, l’adeguamento della normativa penitenziaria ai principi costituzionali è interamente affidata all’opera della giurisprudenza, la cui forza si estende sia alla fase di previsione del diritto (processo di emersione in senso stretto) sia alla fase attuativa che la pronuncia costituzionale necessariamente richiede.
5.1.3. Il diritto di accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita