5. Giurisprudenza costituzionale e processo di affioramento di nuovi diritt
5.1. I diritti emers
5.1.3. Il diritto di accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita per i detenuti in regime speciale
Le considerazioni fin qui condotte, con riguardo alla normativa cautelare e al riconoscimento del diritto alle ferie, consentono una riflessione d’insieme utile al fine del giusto inquadramento del tema oggetto del presente paragrafo.
Da un’analisi complessiva delle pronunce sin qui richiamate - con particolare riguardo alla giustizia costituzionale - emerge un quadro normativo la cui coerenza rispetto al dettato costituzionale risulta fortemente compromessa. Se per un verso il riconoscimento dei diritti inviolabili delle persone ristrette è oggi un valore formalmente riconosciuto all’interno della normativa penitenziaria, dall’altro la posizione di preminenza spesso attribuita alle esigenze di ordine e sicurezza hanno indotto il legislatore a compiere scelte lontane dal dettato costituzionale o a preoccupanti silenzi legislativi. Il delicato bilanciamento di
251 La Corte si riferisce, in questo caso, al riposo con recupero delle energie psicofisiche, alla
possibilità di dedicarsi maggiormente alle relazioni sociali o all’opportunità di svolgere attività ricreative.
valori è allora affidato alla giurisprudenza, intervenuta con pronunce significative per apprestare effettiva tutela anche nella sfere più intime del reo.
È quanto avvenuto anche per il riconoscimento del diritto di accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita (di seguito PMA) per i detenuti sottoposti a regime detentivo speciale ex art. 41bis O.P. 252.
Rinviando al capitolo successivo per un’attenta disamina delle inadeguate forme di tutela offerte dalla normativa penitenziaria al diritto all’affettività e alla genitorialità dei detenuti253
, può dirsi che, attualmente, l’accesso alle tecniche di PMA è disciplinato dalla l. n. 40 del 2004254
. Tale normativa riserva l’accesso alle coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, solo quando sia accertata l'impossibilità di rimuovere altrimenti le cause impeditive della procreazione ed è comunque circoscritto ai casi di sterilità o di infertilità255.
252 Ci si riferisce al già citato regime detentivo speciale, cui possono essere sottoposti, in base a un
provvedimento del Ministro di giustizia, coloro che sono detenuti - anche in attesa di giudizio - per reati legati alla criminalità organizzata, al terrorismo, all’eversione dell’ordine sociale e altre fattispecie di reato previste dall’art. 4 bis O.P. La ratio del regime, spesso disattesa da opinabili scelte legislative, è volta ad impedire i collegamenti con le organizzazioni criminali di appartenenza. A questo fine, l’art. 41-bis indica le misure applicabili, tra cui, in particolare, il rafforzamento delle misure di sicurezza, le restrizioni nel numero e nella modalità di svolgimento dei colloqui, la limitazione della permanenza all’aperto (c.d. “ora d’aria”) e la censura della corrispondenza.
253 Infra, cap. 3, par. 1.
254 Rubricata “Norme in materia di procreazione medicalmente assistita”.
255 Ai sensi del primo comma dell’art. 4 (Accesso alle tecniche) “Il ricorso alle tecniche di
procreazione medicalmente assistita è consentito solo quando sia accertata l'impossibilità di rimuovere altrimenti le cause impeditive della procreazione ed è comunque circoscritto ai casi di sterilità o di infertilità inspiegate documentate da atto medico nonché ai casi di sterilità o di infertilità da causa accertata e certificata da atto medico”.
Circa i requisiti soggettivi necessari per l’accesso alle tecniche di PMA l’art. 5 specifica che “Fermo restando quanto stabilito dall'articolo 4, comma 1, possono accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi”.
In questo quadro, che espressamente circoscrive il suo ambito di applicazione alle sole ipotesi di sterilità o di infertilità dalle quali derivi l’impossibilità di una procreazione naturale, è intervenuta la giurisprudenza di legittimità in riferimento ai detenuti sottoposti al regime di carcere duro.
Ancor prima della legge n. 40, un’autorizzazione all’accesso era stata concessa - nel 2001 - dal Ministero della Giustizia a un noto esponente della camorra, dopo una battaglia legale iniziata nel 1983. La figlia nacque nel 2007, scatenando numerose polemiche dovute soprattutto alla circostanza che le cause impeditive della procreazione erano dovute non a situazioni di sterilità o infertilità - come la legge vorrebbe - bensì al “fine pena mai” del detenuto. In seguito all’entrata in vigore della legge n. 40, il Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria (di seguito DAP), con la circolare n. 260689 del 10 febbraio 2006, ha genericamente specificato che il ricorso alla procreazione assistita per i soggetti ristretti deve essere, comunque, consentita nei casi di sterilità o infertilità e che lo stato di detenzione non rappresenta, in sé, una causa ostativa all’accesso.
Fu tuttavia solo con la storica sentenza della Corte di Cassazione n. 7791 del 2008 che venne affermato in via giurisprudenziale il diritto di accesso alla PMA.
Nel caso di specie, un detenuto sottoposto al regime di cui all’art. 41 bis aveva promosso ricorso ex art. 35 O.P. al Magistrato di sorveglianza dell’Aquila avverso un provvedimento di diniego dell’amministrazione, circa l’accesso alla fecondazione in vitro, nonostante l’accertata infertilità della moglie. In particolare, il ricorrente lamentava di essere già stato autorizzato, sia dal G.U.P. del Tribunale di Palermo sia dal Presidente della Corte di Assise, al prelievo di liquido seminale al fine di consentire alla moglie di accedere alla PMA. Nonostante l’esistenza dei suddetti presupposti, il DAP aveva negato l'autorizzazione al prelievo, sulla base di una serie di motivazioni legate soprattutto a finalità preventive connesse alla custodia di soggetti inseriti nel circuito speciale256.
256 Le altre motivazioni poste dall’Amministrazione a fondamento del diniego concernevano la
massima tutela del nascituro, nel caso concreto non realizzabile attesa la situazione di detenzione del genitore e l’impossibilità di far rientrare le prestazioni sanitarie connesse alla procreazione medicalmente assistita in quelle autorizzate ai sensi dell'art. 11 O.P (“Servizio sanitario”).
In relazione a tali richieste, il Magistrato di Sorveglianza dichiara la propria incompetenza a decidere la questione, atteso che le tecniche di PMA «non
implicano alcuna uscita né dall'Istituto né dalla propria cella, per cui non possono qualificarsi come trattamento sanitario di cui all'art. 11 O.P.», la materia
sarebbe dunque rimessa alla «esclusiva competenza del Dipartimento
dell’Amministrazione penitenziaria».
A fronte di tale decisione, il detenuto ricorre per Cassazione denunciando come il provvedimento dell’amministrazione non solo comprima un diritto inviolabile del detenuto - quello alla procreazione - ma che tale diritto sia, di fatto, privo di tutela giurisdizionale. Il Magistrato di Sorveglianza sarebbe infatti venuto meno alla sua funzione di garanzia, con la conseguenza che un diritto costituzionalmente garantito rimane privo del necessario carattere di giustiziabilità257.
Prendendo le mosse dalla nota sentenza n. 26 del 1999 della Corte Costituzionale, il Giudice di legittimità ritiene fondato il ricorso, ribadendo in
primis come «il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona». Nelle situazioni in cui occorre
bilanciare sicurezza e garanzia di un diritto «il principio da applicare […] non
può che essere quello di contemperare interesse personale e detenzione […] ed il giudizio relativo non può che ispirarsi al criterio della proporzione tra le esigenze di sicurezza sociale e penitenziaria ed interesse della singola persona». Da ciò
discende che: «il sacrificio imposto al singolo non deve eccedere quello minimo
necessario, e non deve ledere posizioni non sacrificabili in assoluto»; ciò perchè
«non possono essere adottate restrizioni non giustificabili con le esigenze predette
di rispetto della dignità e dell'umanità della persona»258.
257 A sostegno del ricorso viene altresì richiama la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti
dell'uomo (sent. 11 gennaio 2005 n. 33695/96, ric. Musumeci e Cass. pen. Sez. I, 3 febbraio 2004, n. 14487) circa i rapporti tra Magistratura di Sorveglianza e discrezionalità della Pubblica Amministrazione.
258 Considerazioni peraltro recentemente ribadite dalla stessa Cassazione nella sentenza n. 46728
Sulla base dei principi richiamati, la Corte di Cassazione ha definitivamente aperto la strada alla procreazione medicalmente assistita anche per i detenuti sottoposti al regime detentivo speciale affetti da malattie virali con elevato rischio di trasmissione259. In tali situazioni, afferma la Corte «il detenuto (...) può essere
autorizzato al prelievo di liquido seminale al fine di consentire alla moglie, sussistendo le condizioni di legge, di accedere alla procreazione medicalmente assistita: infatti, il diritto alla paternità rappresenta una situazione giuridica soggettiva meritevole di tutela, anche in regime penitenziario speciale»260.
Durante l’esecuzione penale, dunque, deve essere riconosciuto il diritto di accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita. Lo stato detentivo non costituisce - e non può costituire - una causa ostativa al godimento di un diritto riconosciuto dalla legge senza alcuna distinzione, e la cui limitazione non trova giustificazione in preminenti esigenze di ordine e sicurezza261.
essere seguito ed educato attivamente dal padre; diritti invocati dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria a giustificazione della mancata autorizzazione al prelievo. Sulla questione relativa all’effettività della tutela giurisdizionale dei diritti dei detenuti si rinvia ai paragrafi che seguono.
259 Corte di Cassazione sentenza n. 11259/2009.
260 Nel caso di specie, il ricorso era stato promosso da un detenuto recluso in regime detentivo
speciale affetto da epatopatia HCV, al quale era stata negata l’autorizzazione all’accesso per l’impossibilità di applicare le “linee guida” del decreto del Ministero della Salute dell’aprile 2008 che consente l’accesso alla PMA anche alle coppie in cui l’uomo sia portatore di malattie virali sessualmente trasmissibili al partner e al feto.
261 Occorre, infine, sottolineare come la Corte Costituzionale sia intervenuta nella disciplina della
PMA con la recentissima sentenza n. 162 del 10 giugno 2014, dichiarando l’illegittimità costituzionale degli articoli 4, comma 3, 9, commi 1 e 3 e 12, comma 1 nella parte in cui vietano il ricorso a un donatore esterno di ovuli o spermatozoi nei casi di accertata infertilità assoluta. La Consulta ha così definitivamente aperto la strada alla c.d. fecondazione eterologa.
Per approfondire tale decisione, anche in relazione al suo rapporto con la giurisprudenza della Corte EDU, si vedano A.MORRONE, Ubi scientia ibi ira, in giurcost.org, Studi, 2014; A.RUGGERI,
La Consulta apre all'eterologa ma chiude, dopo averlo preannunziato, al "dialogo" con la Corte Edu, in Forum di Quaderni costituzionali, 2014 e F.PERRINI, La legge 40/2004: la sentenza n.
162/2014 della Corte costituzionale e i principali orientamenti della Corte europea dei diritti dell’uomo, in Ordine internazionale e diritti umani, 2014.