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2. Funzioni della pena e principio di umanizzazione nella giurisprudenza costituzionale

2.1. L’originaria polifunzionalità della pena

All’indomani dell’entrata in vigore della Carta costituzionale, la maggior parte della dottrina interpretò i principi contenuti nell’art. 27 in senso fortemente

159 G. F

IANDACA, G. DI CHIARA, Una introduzione al sistema penale, Napoli, 2003, p. 17.

160 Sui rapporti tra giurisprudenza della Corte costituzionale e società civile Cfr. G. F

IANDACA,

Ermeneutica ed applicazione giudiziale della legge penale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2001, p. 353

ss. L’Autore pone in luce come l’influenza esercitata dal mutare dei contesti esterni, producendo i suoi effetti anche sulle “precomprensioni”, che fanno da sfondo all’attività ermeneutico- ricostruttiva dei giuristi interpreti, contribuisce a spiegare il motivo per cui l’interpretazione delle norme costituzionali abbia, nel corso del tempo, dato luogo ad esiti differenti, pur rimanendone immutato il contenuto testuale.

Si veda, inoltre, G. VASSALLI, Il dibattito sulla rieducazione, in Rassegna penitenziaria e

criminologica, 1982, p. 464-466. Secondo l’Autore, dopo l’approvazione dell’art. 27, “si assistette

ad un’opera lenta e costante, da parte di alcuni orientamenti dottrinali e giurisprudenziali, per svuotarne variamente o attenuarne la portata (...). Sta di fatto, a prescindere da ogni polemica, che della norma costituzionale sono state proposte, con indubbia serietà, più letture, da quella estensiva, (...) a quelle variamente restrittive, tendenti ad esaltare l’uso della locuzione “debbono tendere” per affermare che una semplice “tendenza generale” può anche non realizzarsi, a sottolineare il legame tra rieducazione e retribuzione, e dunque il carattere preminentemente od esclusivamente morale della prima, o a sospingere il ruolo della rieducazione alla fase penitenziaria od esecutiva, o addirittura a considerare la rieducazione sancita dalla Costituzione come un dato estrinseco o sovrastrutturale incapace di modificare l’essenza della pena”.

restrittivo cercando di contenerne la portata innovativa, in una prospettiva di continuità rispetto all’ordinamento precedente161

. Si sostenne a più voci che la rieducazione non fosse la finalità essenziale, ma solo uno scopo eventuale della pena, mentre le concezioni retributive continuavano ad essere prevalenti162.

Anche la giurisprudenza costituzionale risentì dell’impostazione restrittiva, come dimostrano una serie di pronunce, piuttosto risalenti, in cui la Consulta accoglie la c.d. concezione polifunzionale della pena. La presenza nell’ordinamento dell’art. 27 non avrebbe impedito lo sviluppo di percorsi interpretativo-ricostruttivi che assumono la rieducazione non già come scopo unico, bensì come un fine che si accompagna ad altri possibili scopi delle pene, in accoglimento di una visione pluralistica della sanzione criminale.

Si diffonde la convinzione che la pena abbia sì una natura essenzialmente retributiva ma che essa non valga, da sola, a contrastare efficacemente la commissione di delitti163. Si colloca all’interno di questo complesso quadro interpretativo la nota sentenza n. 12 del 1966, riguardante la legittimità costituzionale della pena pecuniaria in relazione ad alcune tipologie di reato164. Si tratta della prima pronuncia in cui la Corte chiarisce la portata del finalismo rieducativo in relazione al principio di umanizzazione, aderendo ad una visione

161 Approccio, questo, riservato a molte disposizioni della Carta costituzionale all’indomani della

sua approvazione. Come già anticipato nel primo capitolo era diffusa la tendenza a ridurre la portata del dettato costituzionale: le disposizioni in essa contenute avrebbero cioè natura “programmatica” o “tendenziale”. Si veda in questo senso P. CALAMANDREI, Cenni introduttivi

sulla Costituzione, op. cit., p. CXXXIV. È bene ribadire che lo stesso Autore tornerà sui suoi passi,

riconoscendo valore fondamentale ai principi costituzionali, nel successivo articolo La

costituzione si è mossa, op. cit. 162 G. N

EPPI MODONA, Il sistema sanzionatorio, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1995, 315, p. 318. Secondo l’Autore la reviviscenza delle teorie retributive sarebbe in larga parte dovuto alla situazione di allarme sociale che dominava negli anni ’50.

163 G. V

ASSALLI, Funzioni ed insufficienze, op. cit., p. 297.

164

La questione da cui trae origine il giudizio era stata sollevata dal giudice rimettente sull’assunto che la pena pecuniaria, per la sua stessa natura - risolvendosi cioè nel pagamento di una somma di denaro commisurata alla gravità del reato commesso - tenderebbe ad una finalità meramente retributiva e non anche rieducativa, funzione quest'ultima che il dettato costituzionale indicherebbe come essenziale della sanzione penale.

polifunzionale della pena165: «La norma di cui al comma terzo dell'art. 27 della

Costituzione, costituisce un contesto chiaramente unitario, non dissociabile cioè in una prima e in una seconda parte separate e distinte tra loro, né tanto meno riducibile a una di esse soltanto: le due proposizioni di cui essa si compone sono congiunte, infatti, non soltanto per la loro formulazione letterale, ma anche perché logicamente in funzione l'una dell'altra». La portata del principio

rieducativo risulta tuttavia relegata all’interno del solo trattamento penitenziario: «la rieducazione del condannato, pur nell’importanza che assume in virtù del

precetto costituzionale, rimane sempre inserita nel trattamento penale vero e proprio». Emerge con evidenza, quindi, come tale principio, «dovendo agire in concorso con le altre funzioni della pena, non possa essere inteso in senso esclusivo ed assoluto» ma vada necessariamente inserito «nell’ambito della pena, umanamente intesa ed applicata».

In questo senso, come ricordato nel capitolo precedente, «un trattamento

penale ispirato a criteri di umanità è necessario presupposto per un’azione rieducativa del condannato; dall’altro è appunto in un’azione rieducativa che deve rivolgersi un trattamento umano e civile, se non si riduca a una inerte e passiva indulgenza». Vi è quindi una netta distinzione tra la portata attribuita al

principio di umanità e al finalismo rieducativo, essendo quest’ultimo inserito all’interno del solo trattamento penitenziario166

.

La teoria polifunzionale della pena - e la tendenza a circoscrivere la portata del finalismo rieducativo - caratterizzano numerose pronunce della Consulta tra la

165 Va tuttavia precisato come le radici di tale sentenza vadano ricercate nella precedente pronuncia

n. 48 del 1962.

166 A tal proposito, è stato osservato come l’inclinazione a ridimensionare il principio rieducativo,

degradandolo di fatto a valore della fase esecutiva, rende chiaro quale fosse la visione della Corte in merito alle finalità perseguite con l’applicazione giudiziale della pena: essa era finalizzata al raggiungimento di obiettivi di prevenzione generale e di retribuzione, nonché di prevenzione speciale intimidatrice. In questo senso S. LORUSSO, Costituzione e ordinamento giuridico, Milano, 2006, p. 174.

fine degli anni ‘60 e degli ’80, in quella che può definirsi una giurisprudenza tendenzialmente costante167.

Risulta allora imprescindibile - almeno in questa sede - un’opera di selezione, in grado di focalizzare l’attenzione sulle pronunce che, più delle altre, hanno saputo dare voce a tale tendenza.

Non può allora non richiamarsi la sentenza n. 22 del 1971, riguardante la questione di legittimità costituzionale della previsione dei limiti massimi della pena per i reati di furto. La Corte, nel dichiarare l’infondatezza della questione, sancisce che «la severità delle pene previste dal codice vigente per il furto esula

da un qualsiasi riscontro di costituzionalità, perché attiene a scelte di politica legislativa, sottratte al sindacato (...). Essendo rimessa alla valutazione discrezionale del legislatore la determinazione della pena edittale (e a quella del giudice l'irrogazione in concreto) sfugge al controllo di legittimità l'indagine sulla sua funzione rieducativa». Vi è, dunque, un’espressa esclusione del finalismo

rieducativo come scopo ultimo della sanzione: la sua efficacia «indicata come

finalità ultima (e non unica) dall'art. 27, terzo comma, della Costituzione, non dipende solo dalla durata di essa, bensì soprattutto dal suo regime di esecuzione»168.

Scelta, questa, confermata dalla Consulta nella nota sentenza n. 264 del 1974 riguardante l’annosa questione della compatibilità della pena all’ergastolo con i principi posti dal dettato costituzionale a fondamento dell’esecuzione penale169.

167 G. F

IANDACA, Scopi della pena tra comminazione edittale e commisurazione giudiziale, in G. VASSALLI, Diritto penale, op. cit., Napoli, 2006, p. 131.

168 In questo senso anche la sentenza n. 167 del 1973: «il principio della emenda (…), costantemente interpretato (…) non confligge con le altre funzioni della pena afflittiva e di prevenzione».

169

In via estremamente sintetica può dirsi che l’art. 22 del codice penale descrivendo l’ergastolo come pena perpetua precluderebbe al condannato ogni possibilità di rieducazione e reinserimento, andando così a ledere anche il principio di umanizzazione della pena. Alcuni autori hanno cercato di ridimensionare la questione dell’incostituzionalità dell’ergastolo grazie alla possibilità di accedere, raggiunte determinate condizioni, alla libertà condizionale, alla semilibertà e alla

La Corte, chiamata a risolvere il dubbio di costituzionalità, fonda il rigetto della questione proprio sull’adesione a una visione polifunzionale: «la

Costituzione, oltre a disporre che le pene siano sempre umane, evidenzia la necessità che (...) abbiano quale funzione e fine il riadattamento alla vita sociale. Orbene, funzione (e fine) della pena non è certo il solo riadattamento dei delinquenti, purtroppo non sempre conseguibile. A prescindere sia dalle teorie retributive secondo cui la pena è dovuta per il male commesso, sia dalle dottrine positiviste secondo cui esisterebbero criminali sempre pericolosi e assolutamente incorreggibili, non vi è dubbio che dissuasione, prevenzione, difesa sociale, stiano, non meno della sperata emenda, alla radice della pena». Ciò è sufficiente

per concludere che l'art. 27 della Costituzione «non ha proscritto la pena

dell'ergastolo (come avrebbe potuto fare), quando essa sembri al legislatore ordinario, nell'esercizio del suo potere discrezionale, indispensabile strumento di intimidazione per individui insensibili a comminatorie meno gravi, o mezzo per isolare a tempo indeterminato criminali che abbiano dimostrato la pericolosità e l'efferatezza della loro indole»170.

possibile concessione di permessi-premio (si veda in questo senso G. FIANDACA, E. MUSCO,

Diritto penale , op. cit., p. 717). Tale ricostruzione trascura, tuttavia, il fenomeno dell’ergastolo

ostativo la cui previsione pone, ancora oggi, fortissimi dubbi di compatibilità con il dettato costituzionale.

Per un approfondimento su tale questione Cfr. A.PUGIOTTO, L’ergastolo nascosto (e altri orrori)

dietro i muri degli ospedali psichiatrici giudiziari, in Quaderni Costituzionali, 2013, p. 343 ss;

F. CORLEONE, A. PUGIOTTO, Il delitto della pena, pena di morte ed ergastolo, vittime del reato e

del carcere, Roma, 2012, A. PUGIOTTO, Il volto costituzionale della pena (e i suoi sfregi), in Rivista

AIC, 2, 2014, S. ANASTASIA, F. CORLEONE, Contro l’ergastolo. Il carcere a vita, la rieducazione e

la dignità della persona, Roma, 2009 e L. FERRAJOLI, Ergastolo e diritti fondamentali, in Dei

Delitti e delle pene, 1992, fasc. 2.

Si vedano, inoltre, in riferimento alla giurisprudenza della Corte EDU: D. GALLIANI, Il diritto di

sperare. La pena dell’ergastolo dinanzi alla Corte di Strasburgo, in Costituzionalismo.it, 3, 2013,

A. ESPOSITO, Le pene vietate nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, in

Rass. Pen e Crim., vol.15, 2012, p. 153 ss., F. VIGANÒ, Ergastolo senza speranza di liberazione

condizionale e art. 3 CEDU: (poche) luci e (molte) ombre in due recenti sentenze della Corte di Strasburgo, in www.dirittopenalecontemporaneo.it, 2012.

170 Sempre sulla compatibilità tra dettato costituzionale e pena all’ergastolo si vedano le seguenti

pronunce della Corte costituzionale: n. 50 del 1980 e n. 168 del 1994 quest’ultima riguardante la possibile incompatibilità tra pena perpetua e soggetto minorenne.

Visione da ultimo confermata nella sentenza n. 282 del 1989171. In merito alle funzioni attribuite alla pena, viene specificato come non sia possibile «delineare una statica, assoluta gerarchia; è certo necessario, indispensabile, di

volta in volta, per le varie fasi (incriminazione astratta, commisurazione, esecuzione) o per i diversi istituti considerati, individuare a quale delle finalità della pena, debba essere data prevalenza, ma non è consentito stabilire e priori, una volta per tutte (neppure a favore della finalità rieducativa) la precitata gerarchia».

Nella fase esecutiva, deve essere accordata generale prevalenza al finalismo rieducativo ma ciò non vale a legittimare una sua generale posizione di preminenza rispetto altre funzioni «mentre, per nessuna ragione può esser

superata la durata dell' afflittività insita nella pena detentiva determinata con la sentenza di condanna (per questo aspetto, la retribuzione, intesa come misura, limite, sulla base della colpevolezza del fatto, dell'intervento punitivo, prevale anche sulla finalità rieducativa: infatti, ove così non fosse, cadrebbero fondamentali garanzie a favore del reo) a sua volta la finalità rieducativa prevale su ogni altra finalità nell'ipotesi che l'esame della personalità del reo ed il conseguente giudizio prognostico sulla sua "futura" vita nella società, impongano, prima o durante l'esecuzione (...) di sospendere o ridurre, sia pur condizionatamente, l'esecuzione stessa. La liberazione condizionale è, appunto, esempio della prevalenza, nel momento in cui viene attuata, della finalità rieducativa su tutte le altre finalità della pena»172.

Fino alla fine degli anni ’80, dunque, la giurisprudenza costituzionale accoglie una visione polifunzionale “eclettica” in cui la pena è chiamata ad assolvere contemporaneamente più funzioni: afflittivo-retributiva, general-

171 Nel caso di specie la pronuncia aveva ad oggetto l’istituto della revoca della liberazione

condizionale e la determinazione del residuo di pena detentiva da espiare da parte del Tribunale di sorveglianza.

172

In dottrina è stato osservato come, la posizione adottata dalla Corte in quegli anni possa comunque dirsi diretta a ridurre al minimo gli spazi dell'automatismo che privano di rilievo le istanze rieducative. In questo senso L. OLIVA, L'incostituzionalità della revoca automatica delle

riduzioni di pena: un nuovo contributo alla valorizzazione del principio del finalismo rieducativo,

preventiva, social-preventiva, satisfattoria o di reintegrazione dell’ordine giuridico violato. All’interno di questo complesso quadro, il finalismo rieducativo si trova circoscritto alla sola fase dell’esecuzione penitenziaria173

: poco spazio viene invece riservato alla risocializzazione sia nel momento in cui la pena viene astrattamente prevista dal legislatore, sia nel momento in cui essa è comminata dall’autorità giudiziaria174.

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