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Effetti del monito della Corte: una nuova scelta legislativa incostituzionale

4. Consulta e custodia cautelare: la duplice forza delle pronunce costituzional

4.2. Effetti del monito della Corte: una nuova scelta legislativa incostituzionale

La necessità di modificare la vigente normativa processualpenalistica, limitando il ricorso alla custodia cautelare, è uno degli intenti dichiarati dal recentissimo decreto legge n. 92 del 2014 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 117 dell’11 agosto scorso226

.

Il legislatore nel tentativo di arginare l’endemico fenomeno del sovraffollamento carcerario, interviene sul sistema delle misure cautelari modificando la disciplina contenuta nell’art. 275 c.p.p.

225 Sul fenomeno dell’interpretazione conforme in relazione all’art. 27, comma 3, della

Costituzione e alla giurisprudenza dei giudici di Strasburgo si veda M.RUOTOLO, L’incidenza della

CEDU sull’interpretazione conforme. Il “caso” dell’art. 27, comma 3, Cost., in Rivista telematica giuridica dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti, www.rivistaaic.it, 19/04/2013.

226 Rubricata “Disposizioni urgenti concernenti il risarcimento in favore dei detenuti, la custodia

A questo proposito, occorre tuttavia rilevare come l’intervento riformatore - lungi dall’essere l’espressione di un adeguamento normativo alle pronunce della Corte costituzionale - appaia in realtà mosso dalla necessità di fornire una celere risposta alla più volte richiamata sentenza Torreggiani e altri c. Italia della Corte EDU. In tale sentenza, infatti, i giudici di Strasburgo pongono l’accento sul carattere meramente residuale che la custodia cautelare dovrebbe assumere in un sistema improntato al criterio del minor sacrificio necessario della libertà personale: il ricorso e la durata della misura dovrebbero essere «ridotti al minimo

compatibile con gli interessi della giustizia». Ciò dovrebbe indurre gli Stati a

favorire «un uso più ampio possibile delle alternative alla custodia cautelare

quali ad esempio l’obbligo, per l’indagato, di risiedere ad indirizzo specificato, il divieto di lasciare o di raggiungere un luogo senza autorizzazione, la scarcerazione su cauzione, o il controllo e il sostegno di un organismo specificato dall’autorità giudiziaria»227. Evidente, dunque, l’intento della giurisprudenza EDU: eliminare il favor carcerationis invertendo il rapporto esistente tra custodia cautelare e misure non custodiali, attribuendo a quest’ultime una posizione di preminenza.

Sulla basa di tale sentenza - e di quelle della Consulta - il legislatore nazionale sarebbe quindi dovuto intervenire con scelte normative coraggiose e strutturali, idonee a favorire un ripensamento generale della normativa cautelare. Un ripensamento che fosse in grado di riportare la carcerazione preventiva entro i confini della stretta necessità attraverso un duplice intervento: potenziamento delle misure non custoditali (come richiesto dalla Corte EDU) ed eliminazione del modello imperniato sulle presunzioni assolute (come costantemente sollecitato dalla richiamata giurisprudenza costituzionale).

L’uso del condizionale (“sarebbe”), si giustifica per le scelte recentemente compiute dal legislatore con il richiamato decreto legge n. 92 del 2014 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 117. Attraverso tale intervento la maggioranza parlamentare ha, infatti, consapevolmente disatteso quanto sancito nelle pronunce

227 Indicazioni peraltro precedentemente inserite nel “Libro verde sull’applicazione della normativa

dell’UE sulla giustizia nel settore della detenzione” (Com. (2001) 327), approvato nella versione definitiva il 14 giugno 2011.

della Consulta, introducendo - in sede di conversione - una deroga che impedisce l’adozione della misura più idonea rispetto alla specificità del caso concreto, proprio nelle ipotesi descritte dal terzo comma dell’articolo 275 c.p.p.

Per inquadrare correttamente la gravità - in termini di rispetto del dettato costituzionale - della recente scelta normativa occorre procedere con ordine.

Nello specifico, il controverso articolo 8 del decreto legge n. 92 ha agito sui criteri di scelta delle misure cautelari, modificando il comma 2 bis dell’articolo 275 che, nella formulazione originaria, impediva l’applicazione della custodia cautelare nel caso in cui il giudice avesse ritenuto che con la sentenza potesse essere concessa la sospensione condizionale della pena. Il d.l. n. 92 modifica la disciplina introducendo rilevanti novità: da un lato, viene esteso anche agli arresti domiciliari il divieto di disporre la custodia cautelare in carcere nel caso in cui il giudice - all’esito di un giudizio prognostico - ritenga che con la sentenza possa concedersi la sospensione condizionale; dall’altro si prevede il generale divieto di applicazione della sola custodia cautelare se il giudice, all’esito del giudizio, ritenga applicabile una pena detentiva non superiore a tre anni228.

Il decreto, quindi, non prevedeva alcuna eccezione in ordine alle novità introdotte. Sul punto è tuttavia intervenuto il legislatore in sede di conversione, attraverso la previsione di significative deroghe in ordine alla seconda novità.

In particolare a seguito delle modifiche introdotte dalla legge di conversione, il nuovo comma 2 bis dell’art. 275 stabilisce che - nonostante la citata prognosi di pena massima triennale - il divieto generale introdotto dal decreto legge è soggetto a una cospicua serie di deroghe tra cui le ipotesi previste dal terzo comma 3 dello stesso articolo229.

228 Sul punto si vedano F. V

IGANÒ, Una norma da eliminare: l'art. 8 del d.l. 92/2014, in Diritto

penale contemporaneo, 17 giugno 2014 e M. CERESA GASTALDO, Tempi duri per i legislatori

liberali, in Diritto penale contemporaneo, 7 luglio 2014.

229 A seguito delle nuove modifiche, l'art. 275 co. 2 bis c.p.p. dispone: "Non può essere applicata la

misura della custodia cautelare in carcere o quella degli arresti domiciliari se il giudice ritiene che con la sentenza possa essere concessa la sospensione condizionale della pena. Salvo quanto previsto dal comma 3 e ferma restando l'applicabilità degli articoli 276, comma 1-ter, e 280,

Evidente, dunque, il contrasto tra la scelta compiuta dal legislatore in sede di conversione e le molteplici pronunce di incostituzionalità che dal 2010 hanno ripetutamente colpito l’automatismo legislativo in sede cautelare. Vi è di più. Nel contesto in esame il rapporto patologico che, almeno all’interno della normativa penitenziaria, sembra legare i moniti della Corte alle scelte di politica criminale, emerge in tutta la sua evidenza conducendo a una naturale conclusione. Le forze parlamentari non solo disattendono il dettato costituzionale con condotte in omissive (mancato intervento riformatore a seguito di ripetute declaratorie di incostituzionalità) ma, in questo caso, con scelte positive: si interviene scientemente con un legge che agisce positivamente sul sistema cautelare senza adeguare quest’ultimo alle indicazioni della Corte.

Ci si trova così di fronte a una riforma normativa in cui, nonostante le rilevanti novità introdotte in chiave deflattiva sul sistema cautelare, il legislatore sceglie consapevolmente di non eliminare l’automatismo cautelare. Ne deriva un rinnovato quadro normativo legato al passato da un’illegittimità costituzionalmente ormai palesemente accertata230.

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