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Considerazioni terminologiche La “vittima” e la “persona offesa”

Capitolo I: “La vittima del reato, questa dimenticata”

1. Considerazioni terminologiche La “vittima” e la “persona offesa”

L’avvento della modernità e la secolarizzazione hanno gradualmente ma irrevocabilmente determinato lo smarrirsi del significato originario della parola “vittima”, smarrimento che segna anche la perdita di ogni finalismo, di ogni valore trascendente (ed insieme sociale) riconosciuto a questo status.

Al fine di valorizzare la prospettiva dell’offeso dal reato – quasi dimenticato dalle norme del diritto e della procedura penale, tese a creare una sfera garantistica a difesa dell’imputato – punto di partenza imprescindibile è proprio l’esame del concetto di “vittima”, foriero di numerose implicazioni storiche nei molteplici ambiti in cui si articolano le scienze criminali2.

Tale espressione, lungi dall’avere un significato omogeneo, evoca genericamente il soggetto titolare dell’interesse giuridico tutelato dalla disposizione di legge.

Il termine “vittima” deriva dal latino victima (di etimologia incerta e, probabilmente, etrusca), usato in passato per indicare l’animale – e, nei tempi più remoti, anche la persona – immolato agli dei nel corso del rito sacrificale. Questo significato squisitamente religioso, che lega in modo indissolubile il

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sacrificio di una vita ad una finalità trascendente di comunicazione con il divino, determinando la sacralizzazione della vittima stessa, è rimasto sostanzialmente invariato nel passaggio dal paganesimo al cristianesimo medioevale.

Il termine indica attualmente una generica condizione di negatività, di passività, tipica di colui il quale ha subito un danno personale o patrimoniale o ha perso addirittura la vita, normalmente in seguito ad eventi esterni che ha dovuto subire.

La figura della vittima è stata per lungo tempo trascurata dalla riflessione giuridica, come è dimostrato dallo scarso uso che il legislatore italiano ha fatto di tale termine3, preferendo indicare il titolare dell’interesse tutelato dalla

norma penale violata dalla condotta criminosa mediante espressioni quali “soggetto”, “persona offesa”, “offeso dal reato”4.

La norma penale postula almeno un interesse, la cui offesa costituisce l’essenza del reato: colui al quale fa capo tale interesse rappresenterà il soggetto passivo del reato in questione. Quest’ultimo non coincide, dunque, necessariamente con l’oggetto giuridico dell’illecito, che consiste nell’interesse o nel bene che viene leso o messo in pericolo dal fatto criminoso; né si identifica necessariamente con l’oggetto materiale, che è rappresentato dalle persone o dalle cose su cui concretamente si riversano gli effetti della condotta del reato; non coincide, o almeno non sempre, con il danneggiato del reato.

Per quanto, normalmente, chi soffre un danno rappresenti colui che la norma penale vuole proteggere, nondimeno le due posizioni soggettive devono essere tenute rigorosamente distinte. È ben possibile, infatti – come nel caso di scuola dell’omicidio – che venga meno la coincidenza tra la persona di cui la norma intende evitare la morte e la persona che, proprio a causa dell’omicidio, risente dei danni risarcibili.

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Inevitabilmente, per il semplice fatto di essere tale, ogni reato provoca una vittima, la quale può essere più o meno palese. In dottrina si è affermato che, oltre alla vittima diretta e specifica di ogni singolo delitto (c.d. soggetto passivo particolare) esiste una sorta di vittima costante (o superiore) rintracciabile nello Stato, in quanto titolare dell’interesse alla composizione del conflitto e alla pace sociale5.

Nei termini tecnico-giuridici del diritto penale sostanziale, la vittima si presenta, dunque, come il titolare dell’interesse protetto dalla norma penale6.

Per quanto concerne, più da vicino, il nostro ordinamento giuridico, in mancanza di definizioni legali, proprio l’analisi della doppia disciplina, sostanziale e processuale, consente di delineare la due figure cardine del sistema di protezione dalle conseguenze dell’attività criminosa: la persona offesa e il danneggiato. La prima è – secondo una definizione ormai consolidata – il soggetto titolare dell’interesse protetto dalla norma penale violata, il secondo è colui che patisce il danno civile, patrimoniale e/o morale. Mentre solo alla prima viene riconosciuto il titolo a rimuovere l’ostacolo all’esercizio dell’azione penale nei reati perseguibili a querela, esclusivamente al secondo spetta l’esercizio dell’azione civile nel processo penale.

L’offesa al bene protetto dalla disposizione penale è un concetto da un lato più ampio del danno civile, perché comprensivo tanto dei danni risarcibili, quanto di danni non suscettibili di risarcimento, dall’altro più ristretto, perché il danno civile comprende pregiudizi che non possono dirsi prodotti dal reato in sé, ma che ne sono conseguenze7.

Dunque, il pregiudizio causato dall’offesa all’interesse penalmente protetto si produce normalmente, anche se non esclusivamente, nella sfera giuridica del titolare del medesimo interesse. Ma il danneggiato che non sia anche persona offesa non potrà usufruire dei poteri processuali che la legge riserva al soggetto

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passivo del reato (art. 90 c.p.p.). Per contro, la legittimazione ad esercitare l’azione risarcitoria nel processo penale (costituzione di parte civile) spetta solo alla persona danneggiata dal reato, indipendentemente dalla titolarità dell’interesse protetto dalla norma penale8.

Il danneggiato è, dunque, chiunque abbia riportato un danno eziologicamente riferibile all’azione o all’omissione del soggetto attivo del reato9, e solo a lui

compete il ruolo di parte processuale, che nasce con la costituzione di parte civile in seguito all’esercizio dell’azione penale.

La persona offesa che non sia stata danneggiata dal reato non può, invece, ricoprire il ruolo di parte: questa conclusione non si ricava solo dall’impianto del codice di rito, ma anche dal dato testuale che, in sede di nullità, distingue nettamente la persona offesa dalle parti private diverse dall’imputato (art. 178, lett. c), c.p.p.). Altrettanto preciso è l’elenco dei soggetti abilitati ad avanzare richieste al giudice per le indagini preliminari: anche in questo caso, l’art. 328 c.p.p. distingue chiaramente le parti private dalla persona offesa.

Nonostante questa distinzione, i poteri, i diritti e le facoltà riconosciute alla persona offesa appaiono preparatori e prodromici alla costituzione di parte civile; ed è altrettanto evidente che, se l’offeso è anche danneggiato, versa in una situazione privilegiata rispetto a chi ha semplicemente subito un danno10.

L’individuazione della persona offesa è compito che spetta, specificamente, al magistrato del pubblico ministero il quale, fin dall’inizio delle indagini preliminari, deve identificare il soggetto passivo del reato ed inviargli l’informazione di garanzia (art. 369 comma 1, c.p.p.), per quanto l’atto sia ovviamente predisposto a tutela privilegiata dell’indagato11. Nella stessa

prospettiva, l’indicazione delle generalità della persona offesa costituisce requisito formale della richiesta di rinvio a giudizio (art. 417, lett. a), c.p.p.), del decreto che dispone il giudizio (art. 429, comma 1, lett. b), c.p.p.) e del decreto di

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citazione diretta a giudizio (art. 552, comma 1, lett. b), c.p.p.): la qualità di persona offesa può desumersi, secondo la giurisprudenza, solo dal titolo del reato, competendo esclusivamente al giudice la qualificazione giuridica del fatto12.

Spetta, invece, al danneggiato l’individuazione della lesione e la quantificazione del danno, secondo il principio dell’onere della prova ex art. 2697 c.c.13.

Offesa dal reato può essere sia una persona fisica, che una persona giuridica; essendo individuata in ragione della semplice titolarità del ben protetto dalla norma è evidente che per rivestire tale qualità è sufficiente la capacità giuridica. Tuttavia, da un punto di vista vittimologico, è soprattutto la prima a rivestire un’importanza prioritaria.