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La nuova concezione di vittima secondo la dottrina vittimologica

Capitolo I: “La vittima del reato, questa dimenticata”

6. La nuova concezione di vittima secondo la dottrina vittimologica

In seguito alle prime aperture realizzate dalla scuola positiva, è rivolta un’attenzione sempre crescente alla vittima del reato. Si fa strada l’idea secondo cui, al fine di studiare il fenomeno criminale, non si può trascurare l’analisi della vittima e dei suoi rapporti con il reo53.

È evidente come una visione squisitamente tecnico-giuridica sia limitativa rispetto ad una concezione di vittima maggiormente evoluta ed articolata, la quale ricomprenda ogni persona che, senza sua colpa, subisce un danno, prescindendo dalla causa e dal contenuto dello stesso, desumibile dalle più moderne istanze vittimologiche54.

In questa nuova prospettiva, la dimensione di vittima assume un chiaro connotato individuale ed esistenziale: vittima è chiunque subisce i riflessi dannosi dell’attività criminosa o comunque illecita.

Rifuggendo da generalizzazioni ed astrazioni, è necessario individuare ed analizzare le interazioni che trovano spazio all’interno della coppia criminale. Il

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reato va ricostruito come dramma necessariamente a due protagonisti 55, non

interpretato come l’azione a senso unico del colpevole. In questo modo, è possibile indagare le interazioni esistenti tra i due soggetti, ed individuare la reciproca influenza nella determinazione dell’evento finale.

Le spiegazioni tradizionali e convenzionali del comportamento criminale non sono riuscite a chiarire perché alcuni individui con determinate caratteristiche commettono reati, mentre altri con le medesime caratteristiche non ne commettono; inoltre, non hanno indicato i motivi per cui un delinquente realizza un illecito in un particolare momento, in una specifica situazione e contro una specifica vittima.

La vittimologia ha il merito di aver integrato i fattori individuali con le variabili situazionali, ricercando la genesi del comportamento criminale nel suo aspetto dinamico56. Appare evidente la necessità teorica di ristrutturare su basi

nuove l’analisi del fenomeno criminale: esso deve essere studiato anche sotto il profilo della vittima, dal punto di vista preventivo e curativo, biologico, sociologico e psicologico.

Tanto i motivi a delinquere che la fase esecutiva del reato vanno esaminati tenendo nel giusto conto la componente “vittimale”57.

Per quanto concerne il motivo a delinquere, esso costituisce l’impulso psichico che precede la deliberazione e determina l’azione. Il movente appare non certo un connotato statico della personalità del criminale, bensì un fattore di equilibrio tra forze dinamiche58. In questa prospettiva assume rilievo la

distinzione tra vittime fungibili, che rivestono il ruolo di vittime indipendentemente da qualsiasi rapporto con l’agente, e sono pertanto bersagli accidentali di una condotta criminosa, e vittime infungibili, che divengono tali in forza di uno specifico rapporto con l’agente, del quale hanno in qualche

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modo influenzato l’azione. La pericolosità del delinquente è direttamente proporzionale alla fungibilità della vittima, essendo più accentuata nell’ipotesi in cui il criminale si orienta a rivolgere l’aggressione criminosa avverso un’ampia e indifferenziata serie di possibili soggetti passivi.

In relazione alla fase esecutiva del reato, la vittima può rafforzare il proposito criminoso, oppure polarizzare su di sé un’idea delittuosa già concepita in precedenza dal soggetto attivo in modo indeterminato. Quest’ultimo, cioè, può realizzare l’atto criminoso in danno di un soggetto che ha attratto la sua attenzione; in altri casi, particolari comportamenti o connotati del soggetto passivo possono provocare nel soggetto attivo delle vere e proprie spinte al crimine. Esistono, poi, alcune situazioni in cui non solo le caratteristiche della vittima o le modalità dei suoi incontri con il criminale, ma i suoi veri e propri interventi attivi contribuiscono al verificarsi della situazione vittimogena che sfocia nell’evento da scongiurare. In tali occasioni esiste, a carico della vittima, un grado di responsabilità nel verificarsi del reato59.

Tuttavia, solo un approccio superficiale può giustificare l’affermazione per cui le istanze vittimologiche opererebbero talvolta in senso opposto rispetto alle finalità teoriche della vittimologia, quasi che una maggior attenzione rivolta alla vittima debba necessariamente risolversi in un’attribuzione di corresponsabilità a suo carico. Al contrario, la vittimologia mira ad una visione equilibrata e sistemica del fenomeno criminale, a garantire dignità ed assistenza ad una figura tanto vessata e dimenticata nell’ambito dei procedimenti penali.

Una vera e propria riflessione sulla vittima del reato inizia, in ambito criminologico, sul finire degli anni ’40 del secolo scorso. Una simile attenzione è stata, probabilmente, destata dai crimini perpetrati durante il secondo conflitto mondiale e, in particolar modo, dall’olocausto60 (alcuni studiosi sono, infatti, di

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La vittimologia, oggi definita come «la disciplina che ha per oggetto lo studio della vittima del reato, della sua personalità, delle sue caratteristiche biologiche, psicologiche, morali, sociali e culturali, delle sue relazioni con l’autore del reato e del suo ruolo che ha assunto nella criminogenesi e nella criminodinamica»61

nasce grazie al contributo di tre autori: F. Wertham, H. Von Hentig e B. Mendhelson62. Ad essi si deve la dimostrazione dell’assunto secondo cui la

vittima può svolgere un ruolo particolarmente rilevante anche rispetto alla politica criminale e alla legislazione penale.