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I riflessi della giurisprudenza di Strasburgo sulla “vittima”/“persona

Sezione I: Lo statuto internazionale della vittima del reato

3. La vittima nelle fonti del Consiglio d’Europa

3.2 I riflessi della giurisprudenza di Strasburgo sulla “vittima”/“persona

Volgendo lo sguardo alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, va chiarito che essa non contiene alcun accenno esplicito alla vittima del reato. Allorquando fa riferimento alla “vittima”, essa allude non al soggetto passivo di un illecito penalmente rilevante, bensì a colui che ha subito una violazione dei diritti sanciti dalla Convenzione medesima. Si evince, peraltro, che siffatti diritti tutelano principalmente l’imputato, riferendosi solo indirettamente alla vera e propria “vittima” di un fatto delittuoso.

È, tuttavia, opinione consolidata che la CEDU svolga un ruolo importante nel delineare i fondamenti europei dei diritti delle vittime9. Particolarmente

significative, nella comprensione del ruolo concretamente ricoperto dalla vittima in rapporto al “giusto processo” disegnato dalla Convenzione, sono altresì le osservazioni provenienti dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo.

Desta dubbi, in particolare, l’applicabilità del principio ex art. 6, paragrafo 1, della CEDU – il quale sancisce un “diritto al processo” – non solo in favore dell’imputato, ma altresì della parte civile, identificata nel danneggiato che chiede il risarcimento per il danno subito a causa di un reato10. Ci si chiede, in

altri termini, se sia possibile riconoscere alla vittima il diritto di iniziativa nell’azione penale ed al rispetto della regola del procès équitable.

A tal proposito si osserva che gli Stati hanno l’obbligo di assicurare, in maniera pratica ed effettiva11, i diritti sanciti dalla Convenzione, prevedendo

rimedi efficaci alla violazione dei diritti fondamentali che in essa trovano consacrazione12. In questa prospettiva, l’attribuzione alla vittima della facoltà di

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partecipare al processo penale, con la conseguente attribuzione di “diritti nel processo” 13, induce a verificare l’eventuale sussistenza in capo alla vittima di

un “diritto al processo”14, nel senso di titolarità di un potere di iniziativa.

Al fine di fornire una risposta a tale quesito, occorre partire dall’assunto per cui il processo va concepito come luogo di attuazione di garanzie dell’individuo, in cui trovano tutela i diritti inviolabili della persona che assume lo status di imputato. Quest’ultimo, infatti, è il naturale protagonista del processo penale, ed in suo favore è riconosciuto un vero e proprio “diritto al processo”, inteso quale mezzo per decidere sulla fondatezza di ogni accusa in materia penale rivolta contro di lui15.

La giurisprudenza che si è formata in relazione all’art. 6 induce ad asserire che la celebrazione di un “giusto processo”, pur incidendo su soggetti deboli quali la vittima ed i testimoni, li tutela quasi esclusivamente dal punto di vista “civilistico”16: la Corte ha escluso che la disposizione in esame possa

rappresentare il fondamento per riconoscere un autonomo potere di iniziativa della vittima in sede penale17. Il diritto al processo della vittima di cui all’art. 6

è, dunque, garantito esclusivamente al fine di far valere una pretesa di tipo risarcitorio in sede di accertamento penale.

Tale approdo giurisprudenziale ha provocato l’irricevibilità di numerosi ricorsi, presentati dalle parti offese cui il diritto nazionale nega la costituzione all’interno del processo penale, in via assoluta o superata una determinata fase. In altri termini, la Convenzione non garantisce alla vittima il diritto a

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pretendere dallo Stato la sottoposizione del presunto reo a procedimento penale, con l’obiettivo di ottenerne la condanna18.

Infatti, anche con riferimento alla “legge Pinto”, introdotta nell’ordinamento italiano per porre rimedio alla irragionevole durata del processo, si è affermato che il diritto alla riparazione spetta all’offeso solo se costituito parte civile ed eventualmente dal momento della costituzione19.

L’art. 6 CEDU non garantisce, inoltre, alla vittima – sebbene costituita parte civile – il diritto ad un secondo grado di giudizio: sul punto va rilevato che, nonostante la centralità riconosciuta ad un principio quale la ragionevole durata del processo, non va messo in secondo piano il diritto fondamentale ad una procedura in contraddittorio20.

Peraltro, in molti passaggi la Corte ha affermato «di non potersi disinteressare della sorte delle vittime, come anche suggerito dalle specifiche Raccomandazioni del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, che indicano quali diritti delle vittime sono suscettibili di rivendicazione nell’ambito del diritto e della procedura penale»21. Tale conclusione è stata

confermata dalla pronuncia Sottani c. Italia del 24 febbraio 2005.

Ne consegue che gli eventuali limiti posti dal diritto nazionale al diritto di accesso al giudice da parte della vittima, onde ottenere tutela dei suoi diritti “civili”, vanno valutati alla luce della CEDU, in quanto non devono restringere l’accesso determinando un annientamento del diritto22. Essi devono essere

verificati dal punto di vista dello scopo perseguito e della proporzionalità tra strumento ed obiettivo. Ad esempio, è stata ritenuta illegittima l’imposizione di una somma a titolo di cauzione onde consentire la costituzione di parte civile, reputata in concreto eccessiva rispetto alle possibilità economiche della vittima23.

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Particolarmente rilevanti sono, inoltre, le pronunce inerenti al trattamento giudiziario della vittima, con particolare riferimento a quelle situazioni in cui tale soggetto fornisce contributi rilevanti ai fini dell’acquisizione probatoria (si pensi alla testimonianza, ai confronti, alle perizie). La vittima può senza dubbio rientrare nella categoria dei “testimoni vulnerabili”24, necessitando

conseguentemente di maggiore attenzione e tutela. Sul punto, occorre operare un bilanciamento tra i diritti della vittima e quelli dell’imputato, considerato che l’art. 6 CEDU, ai paragrafi 1 e 3, prevede la pubblicità del processo penale e la possibilità per la difesa di controesaminare di persona il testimone. Pertanto, in casi eccezionali, La Corte ha consentito di ricorrere alla testimonianza anonima (presenza di minacce di violenza, ipotesi in cui il testimone sia già stato ascoltato in presenza del difensore dell’accusato), all’assunzione della prova in videoconferenza o dietro uno schermo, all’esame del testimone da parte del giudice, in assenza dell’imputato ma con l’assistenza della difesa25.

Dunque, il rispetto della vita privata va assicurato alla vittima vulnerabile ai sensi dell’art. 8 CEDU, all’esito di un bilanciamento con i diritti dell’imputato.

Anche i diritti menzionati dall’art. 6, paragrafo 3 (diritto di accedere alle informazioni che la riguardano, diritto di farsi assistere, anche gratuitamente qualora privo di mezzi, da un difensore, diritto di farsi assistere gratuitamente da un interprete), sebbene espressamente attribuiti all’accusato (mentre il paragrafo 1, in termini generici, si riferisce ad ogni persona), devono ritenersi riconducibili anche all’offeso: solo in questo modo quest’ultimo può vedersi riconosciuto il diritto al “giusto processo”26.

Tra le altre norme della CEDU a cui è possibile fare riferimento per evocare un riconoscimento dei diritti della vittima del reato si menziona, inoltre, l’art. 5, paragrafo 5, che riconosce il diritto alla riparazione in favore della vittima di

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determinate condotte (arresti e detenzione illegittime in relazione alle norme poste dalla Convenzione a tutela della libertà delle persone).

La Corte di Strasburgo si è, altresì, occupata della tutela della vittima con riferimento agli aspetti concernenti il diritto alla vita ed all’integrità fisica di cui agli artt. 2 e 3 della CEDU.

Le situazioni poste all’attenzione dei Giudici hanno talvolta riguardato ipotesi di omicidi o maltrattamenti subiti dagli indagati da parte di agenti di polizia27.

In questi casi, la Corte ha affermato che l’inadeguatezza delle indagini penali, una volta acclarata, costituisce un indice del mancato rispetto dei beni fondamentali garantiti dalla Convenzione28, con conseguente violazione degli

artt. 2 e 13 CEDU. La disposizione da ultimo richiamata – sancendo un diritto effettivo al ricorso davanti ad un giudice nazionale in caso di violazione dei diritti e delle libertà riconosciuti nella Convenzione – riconoscerebbe alla vittima il diritto al ricorso giurisdizionale nel caso di violazione dei suddetti diritti.

Grazie alle pronunce della Corte, si aprono degli spiragli di maggiore tutela dell’offeso. Nonostante gli obiettivi della giustizia penale siano stati tradizionalmente espressi in termini che riguardano la relazione tra lo Stato e l’imputato, emerge un nuovo personaggio: la vittima, la quale aziona un proprio diritto e non deve essere considerata solo una fonte di prova o un ausilio alla pubblica accusa, bensì come un soggetto che porta nel processo la domanda di tutela di diritti fondamentali. Naturalmente, la pregnanza del ruolo della vittima cresce proporzionalmente alla gravità della lesione concretamente perpetrata e all’importanza del diritto leso.

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4. Il Consiglio europeo e la tutela della vittima: il vertice di