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L’offeso dal reato nel diritto penale sostanziale italiano

Capitolo I: “La vittima del reato, questa dimenticata”

7. L’offeso dal reato nel diritto penale sostanziale italiano

Concentrandosi sull’ordinamento italiano, va innanzi tutto ricordato che nel diritto penale sostanziale gli interessi meritevoli di tutela sono, di solito, protetti in modo impersonale, rispecchiando l’eguaglianza di fronte alla legge. Il concetto in virtù del quale i cittadini hanno pari dignità e pari diritto alla tutela fa sì che solo in casi marginali possano venire in rilievo le peculiarità del soggetto passivo. Ammettere una diversa tutela secondo le peculiarità dell’offeso comporta, infatti, uno strappo al principio astratto di uguaglianza.

Questo, probabilmente, è uno dei motivi per i quali, nelle trattazioni penalistiche e nella nostra legislazione, sono ancora pochi i riferimenti alle peculiarità del soggetto passivo. Quel che importa al legislatore penale è tutelare l’interesse, a chiunque appartenga: la vittima è tutelata insieme alla tutela del suo interesse.

Sotto il profilo dogmatico, la posizione e la rilevanza della persona offesa dal reato possono variare in maniera consistente ove si consideri il reato come mera violazione di un precetto giuridico o comunque di un dovere, oppure si adotti il principio di offensività del reato, per cui quest’ultimo deve necessariamente sostanziarsi nell’offesa di un bene giuridico, in ossequio al principio nullum

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Tale principio di offensività, che trova la propria regolazione in sede codicistica, e precisamente nell’art. 49, comma 2, del codice penale, trae il suo fondamento soprattutto in norme di rango costituzionale (artt. 25 e 27 Cost.) 63.

La teoria in esame si impernia sul concetto di oggetto giuridico del reato, che consiste nel bene o nell’interesse tutelato dalla norma penale: da tale nozione si ricava direttamente quella di soggetto passivo del reato, che ne è il titolare.

Appare opportuno, comunque, ricordare che la prospettiva vittimologica delinea, nell’ambito del fatto criminoso, un concetto di vittima diverso e, nella maggior parte dei casi, più ampio rispetto a quello formale di soggetto passivo del reato (quest’ultimo individuabile sulla base del principio di offensività). L’individuazione della “vittima” del delitto, quindi, fa capo anche a valutazioni di tipo psicologico e fenomenologico, che devono essere valutate adeguatamente per valorizzare la realtà umana delle vittime della criminalità, in adesione alle istanze della vittimologia.

Questa realtà non può, peraltro, essere ignorata dal diritto positivo, ed il legislatore italiano evidenzia spesso, nell’ambito della fattispecie criminosa, il ruolo del “soggetto passivo del reato”, ma dietro tale espressione – solo superficialmente qualificabile come sinonimo di vittima – si nasconde un atteggiamento formalistico ed oggettivo che trascura l’aspetto problematico, soggettivo ed esistenziale del “problema vittimale”64.

Dai rilievi svolti appare evidente che la vittima va vista come «necessaria per l’esistenza del fatto, componente per lo svolgimento dello stesso, idonea, infine, a modificarlo, graduando l’intensità e la gravità del reato»65.

Gli istituti volti alla tutela della vittima presenti nel nostro ordinamento riguardano principalmente due settori. La vittima è in primis presa in considerazione al fine di valutare la maggiore o minore capacità a delinquere del reo66, la sua personalità, nonché la responsabilità del soggetto attivo del

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reato 67, in particolare qualora sia ravvisabile un contributo della vittima alla

realizzazione del fatto (si pensi ad ipotesi quali la provocazione, il concorso del fatto doloso della persona offesa, il consenso dell’avente diritto, la legittima difesa, la reazione legittima all’atto arbitrario del pubblico ufficiale)68.

A questi istituti se ne affiancano altri, volti a verificare il bisogno di tutela della vittima alla luce di un criterio general-preventivo inteso in senso positivo. In quest’ottica si collocano i meccanismi di risoluzione del conflitto reo-vittima su base “conciliativa” 69.

Assumono così ampia rilevanza, nelle valutazioni del diritto penale, le relazioni statiche tra delinquente e vittima, o quelle che si articolano in un sistema causa-effetto. Tali valutazioni dell’offeso dal reato possono, sotto il profilo dogmatico, rilevare secondo prospettive diverse: a titolo di elemento costitutivo del reato, oppure quali circostanze attenuanti o aggravanti del fatto, o come causa di giustificazione o di esclusione della punibilità. Il soggetto passivo del reato – per le sue caratteristiche personali, i suoi rapporti con l’agente, ovvero per il suo comportamento – può, inoltre, rilevare come criterio di commisurazione della pena o come condizione di procedibilità70.

È, poi, evidente come tale soggetto influenzi anche l’intensità della tutela penale, come per esempio nelle ipotesi in cui sia minore o incapace per malattia di mente. Va, inoltre, sottolineata l’esistenza di reati qualificati dall’offeso, che cioè non possono essere perpetrati contro chiunque, bensì esclusivamente avverso determinate vittime.

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In primo luogo, dunque, il soggetto passivo può rilevare come elemento costitutivo della fattispecie. Basandosi sui casi legislativamente previsti in cui le peculiarità della vittima rilevano per la qualificazione del fatto come reato, è possibile introdurre un’ipotesi classificatoria basata su alcuni fattori di tendenza che raggruppano tali caratteristiche71, e che possono essere correttamente visti

come il riflesso legale delle cc.dd. “predisposizioni vittimogene”.

L’età rappresenta sicuramente uno dei più rilevanti tra tali fattori: la punibilità di alcuni atti è condizionata al fatto che la vittima abbia o meno raggiunto una determinata età. Il legislatore italiano, ad esempio, sottolinea tale fattore nei casi di violazione degli obblighi di assistenza familiare nelle ipotesi previste dal capoverso dell’art. 570 c.p.; di maltrattamenti contro familiari e conviventi (art. 572 c.p.), abbandono di minori ed anziani (art. 591 c.p.) e, infine, nei casi di omissione di soccorso (art. 593 c.p.).

Un secondo fattore di individuazione legale della predisposizione ad essere vittima è rappresentato dall’infermità, la quale rende il soggetto particolarmente esposto ed indifeso di fronte ad eventuali azioni criminose. Si pensi al reato di circonvenzione di incapace (art. 643 c.p.), ai casi di abbandono od omissione di soccorso di persona incapace (artt. 591 e 593 c.p.), alle ipotesi di omicidio del consenziente (art. 579 c.p.) in cui la vittima sovente rivela un’accentuata infermità psichica o psico-fisica72.

I fattori di natura socio-professionale sono particolarmente rilevanti relativamente a quelle fattispecie di reato in cui la vittima è un pubblico ufficiale o una persona che riveste incarichi di particolare rilevanza sociale. Ci si riferisce alle ipotesi di violenza e minaccia (art. 336 c.p.) e resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 c.p.); violenza o minaccia a rappresentante di un corpo politico, amministrativo o giudiziario (art. 338 c.p.); oltraggio a corpo politico, amministrativo o giudiziario (art. 342 c.p.) e a magistrato in udienza (art. 343 c.p.). È, poi, opportuno ricordare il reato ex art. 571 c.p. (abuso di mezzi di

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correzione o di disciplina) in cui il soggetto passivo è sottoposto all’autorità o alla cura (per motivi di istruzione, lavoro, ecc.) dell’agente.

Il fattore ambientale rivestiva un certo rilievo in relazione ai delitti honoris

causa, oggi molto ridimensionato essendo questi praticamente scomparsi

dall’ordinamento giuridico italiano.

Ultimo fattore da richiamare è quello familiare, che emerge nei reati di cui agli artt. 564 c.p. (incesto), 570 c.p. (violazione degli obblighi di assistenza familiare), 571 c.p. (abuso dei mezzi di correzione o di disciplina), 572 c.p. (maltrattamenti contro familiari e conviventi), e si presenta particolarmente ricco di risvolti socio-giuridici e criminologici73.

In altri casi, le caratteristiche del soggetto passivo non hanno rilevanza ai fini della sussistenza del reato, bensì incidono sulla gravità dello stesso e conseguentemente sulla determinazione del quantum di pena: rilevano, cioè, come circostanze attenuanti o aggravanti. Il legislatore, coerentemente con la concezione formale di vittima adottata dal diritto positivo, considera quali circostanze oggettive del reato le condizioni e le qualità personali dell’offeso, quasi equiparando la vittima alla realtà materiale sulla quale si riversa la condotta del reo (cfr. art. 70 c.p.).

Si pensi, inoltre, alle ipotesi previste dall’art. 61 c.p. il quale, al n. 7, prevede l’ipotesi in cui il soggetto attivo, nei reati contro il patrimonio, cagiona alla persona offesa dal reato un danno patrimoniale di rilevante gravità; al n. 10, prevede il fatto commesso contro un pubblico ufficiale, un ministro del culto; al n. 11, disciplina l’ipotesi del fatto commesso con abuso di autorità o relazioni domestiche. In quest’ottica, assumono rilevanza anche gli artt. 576 e 577 c.p. (aggravanti per i reati di omicidio e lesioni).

In altre ipotesi, criminologicamente e vittimologicamente di grande interesse, viene in rilievo quale circostanza del reato un intervento contributivo della vittima nella genesi dello stesso. Si pensi all’art. 62, n. 2 (l’aver agito in stato di

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ira, determinato da un fatto ingiusto altrui) e n. 5 c.p. (l’essere concorso a determinare l’evento, insieme con l’azione o l’omissione del colpevole, il fatto doloso della persona offesa).

Come semplice circostanza attenuante rileva pure il fatto del risarcimento del danno alla vittima ante iudicium e il c.d. “pentimento operoso” del reo, che elida o attenui le conseguenze dannose del reato (art. 62, n. 6, c.p.).

Nei reati contro il patrimonio va considerata quale circostanza attenuante la tenuità del danno cagionato all’offeso dal reato, che deve essere valutata in relazione alle condizioni economiche dello stesso.

Con il c.d. Decreto sicurezza, convertito in legge n. 125 del 2008, con il c.d. Pacchetto sicurezza convertito in legge 23 aprile 2009, e con la legge 15 luglio 2009, n. 94, sono state introdotte una serie di significative innovazioni. Vanno, tra queste, menzionate la modifica dell’art. 61, n. 5, c.p., la quale ha reso più evidente che l’età della vittima può costituire ragione per l’aggravamento di pena; l’introduzione dell’art. 61, comma 11 ter, c.p., con cui si aggrava la sanzione applicabile ai delitti contro la persona commessi a danno di un minore all’interno o nelle adiacenze di istituti di istruzione o di formazione74. La

novella modifica, inoltre, l’art. 112 c.p., il quale prevede circostanze aggravanti per la partecipazione con minori o soggetti non imputabili o in stato di infermità o deficienza psichica. Importanza centrale assumono, poi, le nuove incriminazioni, quali l’impiego di minori nell’accattonaggio (art. 600 octies c.p.) e l’incriminazione degli atti persecutori (c.d. stalking, art. 612 bis c.p.75), con

previsione dell’ergastolo in caso di omicidio.

Nei reati perseguibili a querela dell’offeso, quest’ultimo riveste un ruolo fondamentale ai fini della perseguibilità del fatto e del suo autore.

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Nonostante sia ormai pacifica in dottrina la natura processuale della querela, essendo superata l’idea di quest’ultima come condizione di punibilità76, è

comunque possibile una lettura in chiave vittimologica di tale istituto. Infatti, la decisione in ordine alla sua presentazione spetta in concreto alla vittima, la quale, in caso di decisione negativa, realizzerà una sorta di depenalizzazione (c.d. depenalizzazione in concreto)77. Pare, pertanto, indubbio che nei reati

perseguibili a querela il soggetto passivo giochi un ruolo fondamentale.

Alcune caratteristiche della vittima o il suo intervento attivo possono fungere da vere e proprie scriminanti: ci si riferisce, ad esempio, ai casi di istigazione a commettere il delitto rientranti nella previsione della scriminante ex art. 50 c.p. (consenso dell’avente diritto), agli atti compiuti in condizioni di legittima difesa (art. 52 c.p.), al caso di provocazione descritto dall’art. 599, comma 2, c.p.

Non esistono, invece, nel nostro ordinamento, casi nei quali la specifica qualità del soggetto passivo comporti, da sola, una sua minore tutela. Talvolta si cita, a questo riguardo, l’art. 649, comma 1, c.p., dove è stabilito che non è punibile chi ha commesso, senza violenza alle persone, un delitto contro il patrimonio, in danno del coniuge non legalmente separato, di un ascendente o discendente o di un affine in linea retta, dell’adottante o dell’adottato, di un fratello o di una sorella che con lui convivano. Tuttavia, a ben guardare, qui l’esclusione della punibilità non dipende dalla qualità del soggetto passivo, bensì da rapporti che lo legano all’agente: rapporti i quali conducono all’esclusione del reato in quanto, se considerati dal punto di vista del soggetto attivo, fanno apparire la sua condotta come di ridotta incidenza sui rapporti sociali e come caratterizzata da minore riprovevolezza.

Da questa sintetica disamina è possibile desumere che, anche sotto un profilo strettamente penalistico, una corretta valutazione della figura e del ruolo della

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vittima nell’ambito del fatto criminoso costituisce un criterio imprescindibile di valutazione, ai fini della determinazione sia della pena da irrogare concretamente al reo, che della gravità del reato sotto il profilo sociologico- giudiziario e delle problematiche connesse alla perpetrazione dell’atto criminale. Può rappresentare, inoltre, una prospettiva particolarmente efficace per la prevenzione della criminalità e per la difesa sociale.

Una consapevolezza vittimologica inizia, pertanto, a comparire in alcune fattispecie di recente introduzione: si pensi alla riforma dei reati sessuali (introdotta con la legge n. 66 del 1996 e proseguita con la legge n. 269 del 1998 e la legge n. 38 del 2006), alla riforma dei reati in materia di tratta di esseri umani, alla citata introduzione del reato di atti persecutori (c.d. stalking, art. 612 bis c.p.).