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Capitolo 3 – Consulenza tecnica d’ufficio e verificazione

3.5 La consulenza tecnica preventiva

L’importanza del fatto per la risoluzione della controversia emerge con ancora maggiore evidenza se si guarda all’istituto previsto dall’articolo 696-bis del codice di procedura civile, la consulenza tecnica preventiva; in esso la ricostruzione della realtà di fatto e la perizia dell’esperto sono solo eventualmente strumentali all’accertamento giurisdizionale, poiché devono servire, in prima battuta, a favorire la conciliazione delle parti,

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specie in quelle controversie che hanno come unico punto con- troverso, aspetti che possono essere accertati dal consulente tecnico.

Guardando alla natura della conciliazione preventiva, no- nostante l’articolo 696-bis del c.p.c. sia collocato, come il 696 c.p.c. nella sezione IV del libro dedicato ai procedimento cau- telari, essa non ha natura cautelare in quanto prescinde dal presupposto del periculum in mora invece richiesto per l’accer- tamento tecnico preventivo. Benché con il ricorso ex articolo 696-bis, le parti possano precostituirsi una prova prima e al di fuori del processo di merito, il nesso di strumentalità tra istru- zione preventiva e successivo eventuale giudizio non sembra essere identificabile con quello che caratterizza le misure cau- telari: l’obiettivo non è quello di anticipare un’attività proba- toria che si teme non si potrà compiere in futuro, a causa del modificarsi o del venir meno dell’oggetto della prova. La con- sulenza preventiva ha piuttosto natura ibrida: da un lato istruttoria, poiché volta ad ottenere, in via preventiva, una va- lutazione tecnica sull’esistenza del fatto controverso e sull’en- tità del danno; dall’altro, e in prima battuta, una natura pro- priamente conciliativa, ovvero volta alla soluzione alternativa della controversia. L’anticipazione dell’istruzione probatoria o di una parte della medesima, consente, ai soggetti in con- flitto, di formulare una prognosi abbastanza precisa circa l’esito della causa di merito, ovvero un’idea circa le sue possi- bilità di successo in sede di cognizione ordinaria, e ciò normal- mente fa propendere più facilmente per una soluzione concor- data. In quest’ultima ottica l’accertamento delle questioni di

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fatto più rilevanti dovrebbe dunque agevolare la composi- zione bonaria della controversia, lasciando così il ricorso alla giurisdizione come estrema ratio, in osservanza del principio di sussidiarietà delle tutele e alla logica di “degiurisdiziona- lizzazione” che, a causa dell’ormai insostenibile arretrato, si va affermando nel processo civile.

Tuttavia visto che non ha natura cautelare, la conciliazione tecnica preventiva può essere ammessa nel processo ammini- strativo, non in ragione dell’ormai accettata atipicità delle mi- sure cautelari, quanto piuttosto sulla previsione dell’articolo 63, V comma del codice del processo amministrativo, e anche del rinvio esterno operato dall’articolo 39 dello stesso codice. In questo modo oltre ad arricchirsi di un altro strumento di istruzione preventiva, il processo amministrativo, sembra po- tersi aprire a modalità conciliative di risoluzione delle contro- versie tra amministrazioni e privati.

Il campo di applicazione preponderante sembra individua- bile con riferimento alle controversie di tipo risarcitorio, in cui le questioni di fatto risultano spesso essere preponderanti, e quindi può rivelarsi essenziale l’apporto di un esperto in grado di valutare il fatto dannoso e quantificare, in via di pro- gnosi, il danno risarcibile.

L’ammissibilità, nel processo amministrativo, della conci- liazione preventiva induce specifiche riflessioni in tema di transazione tra pubblica amministrazione e privati. Il princi- pale ambito di applicazione abbiamo visto essere quello risar- citorio, e più nello specifico quello relativo ai danni causati dall’amministrazione nell’esercizio del potere amministra- tivo. In questi casi viene in luce la figura della transazione di

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diritto pubblico, volta a fare salvo l’atto amministrativo ed i suoi effetti, mettendo al riparo l’ente pubblico da eventuali conseguenze in termini risarcitori per l’esercizio illegittimo della funzione. Questo tipo di transazioni di solito si struttura come una rinuncia al ricorso da parte del privato e il corri- spondente esborso di una somma di denaro da parte dell’am- ministrazione resistente, e sicuramente consente un conteni- mento di spesa pubblica per risarcimento dei danni provocati dall’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa. Tale possibile risparmio, tuttavia deve fare i conti con una ten- denza a ridurre l’ambito della discrezionalità riconosciuta all’amministrazione nell’esercizio delle sue funzioni, tutto ac- centuato dal timore “di ricadere sotto il maglio della Corte dei Conti”.307 Il ciò può dare vita a una situazione in cui l’ammi-

nistrazione preferisce subire un giudicato di condanna, piut- tosto che assumersi la responsabilità di una ben più vantag- giosa transazione. Anche se non mancano sentenze che met- tono in luce la necessità per l’amministrazione di giungere a una composizione stragiudiziale della lite, sia per ragioni di economicità, sia per evitare danni d’immagine che l’ammini- strazione subirebbe dal clamore mediatico della vicenda.

Proprio la consulenza tecnica preventiva, introducendo nel corpo del processo amministrativo una fase di confronto, in vista di un possibile esito transattivo, si ritiene che possa atte- nuare queste problematiche. Infatti se il privato chiede l’espe-

307 S. LUCATTINI, Fatti e processo amministrativo, cit., 247.

Si fa riferimento all’effetto di paura generato dalla giurisdizione della Corte dei conti, specie dopo l’attribuzione al giudice contabile di poteri sanzionatori.

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rimento della consulenza tecnica preventiva, l’amministra- zione si trova obbligata a partecipare al procedimento conci- liativo, quindi, per lo meno si vedono rimossi quegli ostacoli insiti nella scelta discrezionale sull’an, ossia sull’opportunità e la convenienza di procedere ad una autonoma fase volta alla risoluzione non in via giudiziale della controversia.

Un possibile ostacolo viene dal V comma dell’articolo 696- bis, laddove prevede che “se la conciliazione non riesce, cia- scuna parte può chiedere che la relazione depositata dal con- sulente sia acquisita agli atti del successivo giudizio di me- rito”. Infatti la conciliazione per essere veramente efficace pre- suppone che le parti siano messe nella condizione di confron- tarsi apertamente e senza riserve mentali: solo in questo modo, esse, possono chiarire le vere ragioni del conflitto e così svelare i propri reali interessi, dando modo al conciliatore di formulare una proposta che sia accettabile per entrambe. Af- finché ciò avvenga bisogna rimuovere il pericolo che le dichia- razione rese durante il procedimento conciliativo possano passare nel giudizio di merito come mezzi di prova, poiché altrimenti le parti non esporranno gli autentici motivi della controversia e la procedura conciliativa perderà efficacia. Questo rischio non è affatto scongiurato nella conciliazione preventiva, anzi, la possibilità di far acquisire la relazione del consulente delinea un collegamento tra conciliazione e pro- cesso amministrativo che non facilita l’esito transattivo della lite. Tale inconveniente è però connaturato alla natura stessa dell’istituto in questione, che, come abbiamo visto, ha natura mista, e non può essere assimilato alla conciliazione propria- mente detta, in cui le parti, al di fuori di qualsiasi percorso

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giurisdizionale, cercano di comporre autonomamente la con- troversia tra loro incorsa.

Al di là del dato normativo, che rischia di confinare la con- ciliazione preventiva alle controversie di carattere risarcitorio o all’ambito della giurisdizione esclusiva, si potrebbe ipotiz- zare una più ampia utilizzazione dell’istituto anche in giudizi amministrativi di sola impugnazione. In questi casi vengono in gioco le relazioni potestà-interesse legittimo, e quindi l’ap- porto dell’esperto non potrà condurre ad una conciliazione propriamente intesa, quanto piuttosto ad un accordo con va- lenza transattiva,308 ovvero facilitare l’autotutela da parte

della pubblica amministrazione (evitando così l’annullamento e la condanna al risarcimento del danno). A simili risultati si giunge con l’esperimento di una consulenza tecnica d’ufficio in grado di far emergere i vari errori dell’amministrazione, ma, in tal caso, necessariamente a processo in corso. Il vantag- gio della consulenza preventiva sarebbe proprio quello di non dover adire il giudice. Poi, anche laddove, non si arrivasse all’autotutela, l’attività svolta non risulta inutile poiché le ri- sultanze verrebbero acquisite come prove nel successivo pro- cesso. Da questo punto di vista, la doppia natura, conciliativa e istruttoria, della consulenza preventiva può incentivarne l’utilizzo nel processo amministrativo come una parantesi che può condurre a una soluzione alternativa della controversia, senza tuttavia creare uno spreco di attività istruttoria o un prolungamento dei tempi processuali.

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Conclusioni

L’evoluzione analizzata va senz’altro nella direzione di una completa conoscenza del giudice sulla situazione di fatto, ol- trepassando quel limite, in passato ritenuto invalicabile, del provvedimento amministrativo.

Per quanto riguarda la discrezionalità tecnica, a seguito della più volte citata sentenza del Consiglio di Stato n. 601 del 1999, risulta ormai superata la teoria che la equiparava alla di- screzionalità amministrativa pura, mentre appare nettamente dominante in dottrina e giurisprudenza la posizione che la scinde da essa e la rende sindacabile; il sindacato in questione non è un sindacato meramente estrinseco di correttezza e ra- gionevolezza del procedimento logico seguito dall’ammini- strazione, e che quindi non analizza il fatto direttamente, ma solamente la rappresentazione che di questo l’amministra- zione ha dato nel corso del procedimento. Il sindacato inau- gurato dalla citata sentenza è un sindacato di tipo intrinseco, un sindacato che permette al giudice di conoscere diretta- mente il fatto e le leggi tecnico-scientifiche di riferimento. La valutazione tecnica deve essere divisa in due tipologie a se- conda del margine di certezza che può dare la legge tecnico- scientifica: se la legge in questione conduce sempre ad un me- desimo risultato, si parla di accertamenti tecnici, se invece la stessa può condurre ad una pluralità di soluzioni tutte ugual- mente corrette sul piano logico, siamo di fronte ad apprezza- menti tecnici. Nel primo caso il sindacato del giudice sul fatto è pieno e si ha addirittura, secondo i più, una piena sostituibi-

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lità dell’accertamento effettuato dal giudice su quello effet- tuato dalla pubblica amministrazione; questo è possibile pro- prio perché non vi sono alcuni margini discrezionali di opina- bilità, il risultato di quella legge scientifica applicata a quel fatto è uno soltanto, perciò se l’amministrazione avesse errato nell’applicazione della detta legge non vi è alcuna ragione per attribuirgli nuovamente il potere, comunque sia il risultato che il giudice riterrà legittimo sarà solo uno, quello possibile secondo quella specifica legge scientifica, quindi sostituirà all’errata valutazione pregressa, una nuova valutazione, l’unica possibile. Tuttavia i casi in cui l’applicazione di una legge tecnico-scientifica conduce ad un solo risultato possibile non sono poi così comuni, in larga parte essa può condurre a una pluralità di soluzioni possibili. Per l’apprezzamento tec- nico quindi si ha sempre un’analisi e conoscenza piena del dato fattuale, ma per quanto riguarda il risultato il piano dell’applicazione della legge scientifica al dato fattuale, se- condo la dottrina e giurisprudenza dominanti, il giudice non può sindacare la scelta fatta dall’amministrazione perché que- sta applicazione non conduce ad un unico risultato ma a più soluzioni, tutte ugualmente possibili; in questo caso siamo nel campo dell’opinabilità, ed è un ambito che deve rimanere nella esclusiva competenza dell’amministrazione, il giudice può effettuare un sindacato solo sulla ragionevolezza dell’ap- plicazione della legge scientifica svolta dall’amministrazione, e non quindi sulla opinabilità della scelta. Questo comporta che la sostituibilità della valutazione svolta dall’amministra- zione con quella svolta dal giudice non è possibile, poiché si

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sostituirebbe una valutazione opinabile con un’altra pari- menti opinabile; spetta solamente all’amministrazione la scelta tra quale soluzione parimenti corretta sia la più idonea. Il giudice può comunque analizzare nella sua pienezza la ri- costruzione che l’amministrazione ha svolto della situazione fattuale sottostante e anche la ragionevolezza del procedi- mento applicativo della legge scientifica, però a questo punto si deve fermare perché entra in gioco una valutazione di va- lore, e deve ritenersi riservata alla pubblica amministrazione. Per l’analisi della situazione di fatto il giudice ha necessa- riamente bisogno di strumenti istruttori adatti, che gli permet- tano una conoscenza anche specialistica di determinati settori di cui spesso il giudice può essere all’oscuro. Fortunatamente con la legge 205 del 2000 si è estesa la consulenza tecnica d’uf- ficio a tutta la giurisdizione generale di legittimità, ampliando il novero dei mezzi istruttori a disposizione del giudice ammi- nistrativo. Tuttavia questi si è dimostrato spesso restio ad ad- dentrarsi nel substrato fattuale e in più occasioni si è limitato ad un mero controllo estrinseco sulle decisioni amministra- tive, quindi a un controllo ancora basato sull’atto.

Con l’entrata in vigore del codice del processo amministra- tivo si ha un ulteriore riconoscimento della necessità di ana- lizzare fatto presupposto del provvedimento impugnato at- traverso il richiamo ai mezzi istruttori previsti dal codice di procedura civile. Però singolare appare l’espressione “se indi- spensabile” che precede la previsione della possibilità di ri- chiedere la consulenza tecnica da parte del giudice e che in- vece non è presente per la verificazione. Questo fatto, ai più, suona come una sorta di preferenza della verificazione sulla

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consulenza tecnica, un modo per reintrodurre un filtro ammi- nistrativo nell’accesso al fatto da parte del giudice.

La direzione generale sembra comunque quella di una sem- pre maggiore presenza del giudice nell’analisi diretta del fatto, e questo pare porsi in coerenza con il principio di effet- tività e del giusto processo.

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