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Guida: alcune riflessioni sulle esperienze europee

3. I Piani di azione nazionali

3.2 Contenuto dei National Action Plan

Al di là del processo di elaborazione e della struttura, è sotto il profilo del contenuto che il National Action Plan può effettivamente tradursi in uno strumento importante per l’attuazione dei Principi Guida e, più nello specifico, del pilastro dello State duty to protect. Il Working Group delle Nazioni Unite e il Gruppo delle Istituzioni Nazionali per i diritti umani hanno sottolineato l’importanza dell’inclusione nel Piano di azione nazionale di raccomandazioni dettagliate da parte del governo in linea con quanto previsto dai Guiding Principles628. Si è già evidenziato come i Piani di azione adottati fino ad ora, invece, abbiano una struttura eterogenea, non sempre chiara nell’identificare le lacune esistenti e le misure che si intendono intraprendere con riferimento a ogni singolo Principio629. Gli Stati dovrebbero, infatti, tenere in considerazione l’intero contenuto dei Principi Guida sotto forma dei tre pilastri, nonché le raccomandazioni di ciascun Principio e dal relativo commentario. Poiché si tratta di un’operazione complessa, sarebbe almeno auspicabile che gli Stati elaborino un Piano di azione nazionale le cui misure siano suddivise sulla base del singolo pilastro a cui si riferiscono. Non tutti i Piani di azione nazionali adottati sino ad ora però prevedono questa suddivisione630. Inoltre, in via preliminare, si osserva come il più delle volte i Piani di azione nazionali elaborati sino ad ora dagli Stati europei manchino di concretezza e, più che contenere l’indicazione delle misure legislative che saranno adottate dal governo in attuazione dei Guiding Principles, sembrano limitarsi ad affermazioni di carattere programmatico circa un generico impegno del governo in sostegno delle politiche in tema di business e diritti umani.

Nei paragrafi che seguono si procederà ad un’analisi più puntale dei contenuti dei Piani di azione nazionali riprendendo a tal fine le considerazioni già svolte nel capitolo III circa i settori chiave in cui lo State duty to protect, contenuto nel Primo Pilastro dei Guiding Principles,

628 Per quanto riguarda la struttura formale del NAP, il documento delle National Human Rights Institutions suggerisce l’opportunità di adottare un modello unico di NAP da parte dei vari Stati membri, che identifichi i problemi chiave attraverso un’analisi dettagliata di ciascun Principio dei Guiding Principles. Inoltre si raccomanda anche che i NAP prevedano chiari target e obiettivi raggiungibili in un ragionevole arco di tempo, al fine di verificare meglio il livello di attuazione dei Guiding Principles nel breve termine. NHRI Group, Guiding Principles Implementation plans, cit., p. 5 par. B.

629 V. supra par.3 A tale proposito si sottolinea come il NAP danese sembri quello che maggiormente rispecchia le indicazioni del WG, in particolare nella parte finale, in cui sintetizza, per ogni Principio, le misure prese e quelle da prendere. Si ritiene, quindi che la struttura del NAP in questione possa costituire un modello per I futuri NAP, perché questi siano in linea con le indicazioni del WG.

630 V. supra. In particolare, non sono suddivisi per Pilastri il NAP olandese mentre quello italiano manca della parte dedicata alla Corporate Responsibility to respect.

dovrebbe essere attuato. Per un’uniformità di analisi si procederà a verificare la presenza, nei Piani di azione, di disposizioni attuative di quegli aspetti dei Principi Guida il cui contenuto è stato esaminato dettagliatamente nel capitolo precedente, ossia: (a) il rapporto tra le norme di diritto interno societario (corporate regulation) e i diritti umani, tra cui quelle concernenti la responsabilità della società capogruppo, i doveri degli amministratori e la trasparenza anche in materie non finanziarie, (b) le politiche in materia di investimenti esteri e la disciplina delle Agenzie di credito all’esportazione; (c) le iniziative rivolte alle società che operano in territori di conflitto e a governo debole.

Lo Stato dovrebbe fornire nel Piano di azione nazionale la chiara indicazione delle misure legislative che ha adottato o intende adottare al fine di adempiere al proprio duty to protect, almeno nei settori sopra indicati. Si ricorda che, nell’elaborare tali norme, gli Stati europei devono tenere conto non solo degli obblighi previsti dalle norme di diritto internazionale dei diritti umani ma anche delle norme europee in materia.

Infine, costituiranno oggetto di analisi specifica le disposizioni del Piano nazionale in materia di accesso ai rimedi statali giurisdizionali e non giurisdizionali, in quanto le stesse, pur essendo parte del terzo pilastro dei Principi Guida, sono direttamente collegate al dovere dello Stato di proteggere i diritti umani nei confronti dei singoli. In tale contesto sarà esaminata anche la questione dell’approvazione di norme aventi portata extraterritoriale e delle eventuali limitazioni al principio di autonomia giuridica delle società del gruppo e della responsabilità limitata, in quanto strettamente connesse alla possibilità di proporre un’azione di accertamento della responsabilità civile o penale di fronte ai tribunali dello Stato membro per le attività illecite commesse all’estero dalle filiali di una società capogruppo avente sede sul territorio dello stesso.

a) Diritto interno, corporate regulation e diritti umani

Per quanto riguarda le norme in tema di diritto societario in generale si ricorda che il Principio n. 3 dei Guiding Principles prevede che:

«In meeting their duty to protect, States should: (a) Enforce laws that are aimed at, or have the effect of, requiring business enterprises to respect human rights, and periodically to assess the adequacy of such laws and address any gaps […] »631.

631 Guiding Principles, Principio n. 3, cit.,

Con riferimento al principio appena richiamato, si può affermare che, in generale, i governi degli Stati membri che hanno adottato un Piano di azione nazionale non hanno avanzato proposte per l’adozione di nuove norme vincolanti volte a stabilite obblighi a carico delle imprese. Alcuni di essi, tuttavia, hanno proposto il potenziamento di regole già esistenti in tema di obblighi di trasparenza e doveri degli amministratori, al fine di integrare la normativa nazionale con i Principi contenuti nei Guiding Principles.

A tale proposito si sottolinea come in Danimarca, già prima dell’approvazione dei Guiding Principles, fosse stata attivata la Danish Ethical Trading Initiative (DIEH), un’iniziativa multistakeholder di soft law volta a promuovere un commercio etico e un contollo responsabile della filiera produttiva632. Era già previsto, inoltre, che tutte le nuove norme siano sistematicamente sottoposte a una valutazione circa le loro conseguenze in termini di diritti umani effettuata dal Ministro della giustizia633. Per quanto riguarda, specificamente, le norme di diritto societario634, tuttavia, il Piano di azione danese si limita a considerare che «large parts of Danish national law support compliance with the Guiding Principless such as legislation on labour issues, the environmnt, child labour, etc. This type of protecting legislative framework of Denmark enables business respect for human rights»635. Tale affermazione è però priva di riferimenti specifici a quali norme siano effettivamente in linea con i requisiti dei Guiding Principles. Al contrario, in Olanda, la consultazione pubblica non ha permesso di raggiungere un consenso sulla necessità di ulteriori norme che rispondessero a quanto richiesto dai Principi guida, in aggiunta a quelle già esistenti. Dell’analisi della questione verrà probabilmente incaricato un comitato indipendente636.

632 L’Iniziativa è stata fondata nel 2008 su finanziamento del Ministero dell’economia, con lo scopo di riunire società, associazioni di imprese, organizzazioni non governative e sindacati al fine di promuovere il commercio etico e una gestione responsabile della filiera produttiva. Da un punto di vista pratico la DIEH si propone l’obiettivo di sviluppare good practices e incentivare l’adozione di codici etici aziendali sui diritti umani e le condizioni di lavoro. Una delle più recenti iniziative intraprese da DIEH è stata quella di sponsorizzare degli incontri tra i produttori dell’industria tessile e gli esponenti delle ONG allo scopo di evitare ulteriori disastri simili a quello avvenuto nel 2013 a Rana Plaza, in Bangladesh. Per maggiori informazioni si veda il sito internet:

http://www.dieh.dk/in-english/

633 Tale valutazione non è tuttavia stabilita da nessuna norma specifica, ma si tratta piuttosto di una generica “dichiarazione di intenti” del governo danese, come specificato dal prof. R. Mares del Raul Wallemberg Institute intervistato dall’autrice in data 5/07/2014.

634 Si veda sul punto il principio n. 3b dei Guiding Principles: «[States should]ensure that other laws and policies governing the creation and ongoing operation of business enterprises, such as corporate law, do not constrain but enable business respect for human rights»;

635 The Danish National Action Plan, cit., Appendix 1, commento al principio 3(b).

Sugli stessi temi, lo studio condotto sulla situazione italiana dalla Scuola Superiore S. Anna conteneva precise indicazioni in merito all’attuazione dei Principi Guida attraverso l’integrazione degli stessi nelle norme societarie e, in particolare, quelle in tema di obblighi di trasparenza e doveri degli amministratori. Tuttavia, il Piano finale elaborato dal Ministero prevede solo scarne e frammentate indicazioni in materia. La sezione delle Politiche per le imprese partecipate e per gli operatori economici nei settori privatizzati637 non contiene informazioni o previsioni in tema di attuazione dei Principi Guida, né fa riferimento a norme che creano obblighi a carico delle imprese a tutela dei diritti umani. Tale assenza è riscontrabile anche nel Piano britannico, il quale, nella parte in cui riporta le azioni programmate per dare attuazione ai Principi Guida non fa riferimento all’adozione di norme vincolanti rivolte alle imprese638. Più incisivo, sul punto, è invece il Parere della Commissione consultiva francese per i diritti umani il quale raccomanda al Governo l’introduzione di uno specifico obbligo normativo di human rights due diligence a carico delle imprese. Tuttavia, trattandosi di un parere preliminare all’adozione del Piano di azione nazionale, non si può ritenere che esso veicoli la volontà del governo.

In sintesi, va sottolineato che i Piani di azione nazionali fanno solo un limitato riferimento all’adozione di future norme di carattere vincolante volte ad incentivare il rispetto dei diritti umani da parte delle imprese, come invece auspicato dai Principi Guida, contengono invece piuttosto raccomandazioni e dichiarazioni di intenti dal valore soft. Nonostante questa prima considerazione, i Piani di azione nazionali possono comunque costituire un utile strumento ai fini di una efficace attuazione dei Principi Guida, soprattutto con riferimento a specifici settori quali gli obblighi di trasparenza e la human rights due diligence di cui si dirà a breve.

i. Obblighi di trasparenza

Un tema di particolare rilevanza in termini di attuazione dei Principi Guida sia da parte degli Stati europei che da parte di norme specifiche dell’Unione è quello relativo all’istituzione di obblighi di trasparenza anche nelle materie non finanziare. Esso rappresenta il settore in cui maggiormente i Principi Guida hanno esercitato la propria influenza in misura sostanzialmente omogenea tra i diversi Paesi considerati.

I Principi Guida, al Principio n.3, raccomandavano gli Stati di «encourage and where appropriate, require, business enterprise to comunicate how they adress human rights

637 Tale sezione costituisce il contributo del Ministero dell’Economia e delle finanze, NAP Italiano.

impacts»639. Tale previsione sembra essere quella che ha suscitato il maggiore consenso e ricevuto la più ampia attuazione, in misura trasversale, da parte dell’Unione europea e degli Stati membri640. Sono diverse, infatti, le iniziative volte ad istituire sia obblighi di comunicazione e trasparenza in merito alle attività aziendali a tutela dei diritti umani sia obblighi di comunicazione relativi all’adozione di apposite procedure di due diligence sulla catena di fornitura volte a monitorare e prevenire impatti negativi sui diritti umani da parte delle attività aziendali. Tali iniziative meritano pertanto un approfondimento che permetta anche di metterne in luce le analogie e le differenze, evidenziando così il potenziale ruolo “catalizzatore” dei Principi Guida delle Nazioni Unite in questo ambito.

Per quanto riguarda l’istituzione di obblighi di trasparenza, da parte delle società, circa le proprie politiche di responsabilità sociale, è opportuno in primo luogo fare riferimento alla già menzionata e recente Direttiva europea, approvata dal Consiglio dell’Unione europea il 29 settembre 2014 ed entrata in vigore il 5 dicembre 2014, riguardante la disclosure, da parte delle grandi società per azioni e dei gruppi di società641, delle informazioni circa i rischi e i risultati di tipo non finanziario delle proprie attività, tra cui figura il rispetto dei diritti umani. Il progetto di Direttiva dopo essere stato proposto dalla Commissione era stato approvato dal Parlamento il 15 aprile 2014642 e dal Consiglio il 29 settembre 2014643. La Direttiva in questione si inserisce nella già considerata strategia europea di azione nel campo della CSR stabilita con la Comunicazione della Commissione COM2011(681) dell’ottobre 2011. Il testo diventerà parte integrante della Direttiva n. 2013/34/EU sulle informazioni annuali in materia finanziaria, aggiungendo l’obbligo, per le imprese che superano una determinata dimensione, di fornire anche informazioni di carattere non finanziario concernenti gli impatti ambientali e sociali delle proprie attività e le procedure di due diligence attivate per monitorare, prevenire e riparare i relativi rischi. La comunicazione è quindi obbligatoria, ma è previsto un meccanismo di “comply or explain” in base al quale se un’impresa non adotta alcuna politica sociale o

639 Principio n. 3(d).

640A tale proposito si riporta il contenuto del Principio n. 3(d) dei Principi Guida, incentrato proprio sulla trasparenza: «[Statesshould]encourage, and where appropriate require, business enterprises to communicatehowtheyaddresstheir human rightsimpacts».

641 La norma riguarda le società con più di 500 dipendenti, circa 6000 società europee saranno coinvolte. EC, Statement 14/124 del 15 aprile 2014. Della trasparenza nelle materie non finanziarie si discute già da diversi anni, ma soltanto ora il progetto di Direttiva sembra vedere definitivamente la luce. Già nel 2001, infatti la Commissione aveva proposto che le informazioni incluse nel rapporto annuale comprendessero anche l’analisi di aspetti sociali e ambientali (2001/453/EC). O. De Schutter, Corporate social responsibility, european style, cit., 24.

642 EC, Statement/14/124 del 15 aprile 2014

ambientale deve darne una chiara e ragionevole spiegazione al fine di adempiere all’obbligo previsto nella Direttiva. Inoltre è prevista la possibilità che, nei casi (comprovati) in cui tale comunicazione possa recare un serio pregiudizio alle attività dell’impresa, la stessa possa essere omessa.

E’ interessante rilevare come le società, per predisporre i propri report informativi, potranno fare riferimento agli standard internazionali già in vigore, tra i quali figurano sia i Guiding Principles sia le Linee Guida OCSE per le imprese multinazionali. L’attività di monitoraggio e la previsione di sanzioni in caso di violazione degli obblighi di comunicazione è rimessa alla discrezionalità degli Stati membri, responsabili dell’attuazione della Direttiva nel diritto interno nel limite di due anni dalla sua entrata in vigore.

La nuova Direttiva ha il merito di riprendere il linguaggio utilizzato dai Guiding Principles e di ridefinire il concetto di obblighi di comunicazione delle grandi imprese europee incorporando lo strumento della human rights due diligence. Ciononostante è auspicabile che essa riceva un’applicazione omogenea in tutti gli Stati membri644.

E’ da rilevarsi inoltre come la Direttiva europea si inserisca in un contesto di favore dei singoli Stati membri verso l’istituzione di obblighi di comunicazione e trasparenza da parte delle società delle proprie politiche di responsabilità sociale. Tale contesto emerge, infatti, da tutti i Piani di azione nazionali analizzati i quali non solo fanno riferimento al progetto di Direttiva europea supportandolo e condividendone le finalità, ma in alcuni casi riportano singole iniziative nazionali già adottate per istituire obblighi di comunicazione delle politiche di responsabilità sociale. In Olanda si è assistito a un adattamento del transparency benchmark elaborato ogni anno dal Ministero dell’economia, ai criteri previsti nel progetto della nuova Direttiva645 e il piano britannico fa un generico riferimento all’adozione di uno standard di certificazione di rispetto dei diritti umani da arte delle imprese.

Per quanto riguarda, invece le singole iniziative nazionali che istituiscono obblighi di trasparenza, a partire dal 2013, le grandi imprese danesi e tutte le società a responsabilità limitata partecipate dallo Stato, hanno l’obbligo di riferire le proprie politiche in tema di CSR nel report annuale obbligatorio. Il governo danese precisa, nel Piano di azione nazionale, che

644European Coalition for corporate justice (ECCJ), Assessment of the EU Directive on the disclosure of non-finantiali information by certain large companies, maggio 2014.

verrà introdotta una proposta di legge circa l’estensione di tale obbligo di comunicazione anche alle misure specifiche in tema di diritti umani e riduzione dell’impatto climatico646.

Un’eccezione in tal senso è costituita dalla situazione italiana, la quale non prevede nessuna norma che istituisca obblighi di comunicazione. Lo studio della Scuola Superiore S. Anna, infatti, aveva sollecitato la presentazione di una proposta legislativa che intervenisse a modificare l’art. 2428 del codice civile, attraverso l’introduzione dell’obbligo, almeno per le società quotate, di inserire nel rendiconto annuale le informazioni circa le proprie politiche in tema di diritti umani e ambiente in misura analoga a quanto è stato fatto in Francia nel 2010 con la legge Grenelle II647. Allo stato attuale, infatti, le norme sugli obblighi di rendicontazione delle società italiane sono contenute nell’ art. 2428 del c.c. il quale afferma che:

«Il bilancio deve essere corredato da una relazione degli amministratori contenente un'analisi fedele, equilibrata ed esauriente della situazione della società e dell'andamento e del risultato della gestione, nel suo complesso e nei vari settori in cui essa ha operato, anche attraverso imprese controllate, con particolare riguardo ai costi, ai ricavi e agli investimenti, nonché una descrizione dei principali rischi e incertezze cui la società è esposta. L'analisi di cui al primo comma è coerente con l'entità e la complessità degli affari della società e contiene, nella misura necessaria alla comprensione della situazione della società e dell'andamento e del risultato della sua gestione, gli indicatori di risultato finanziari e, se del caso, quelli non finanziari pertinenti all'attività specifica della società, comprese le informazioni attinenti all'ambiente e al personale» (corsivo aggiunto)648.

In sostanza, l’inclusione di informazioni circa le politiche sociali dell’azienda, in Italia, è tuttora lasciata alla libera scelta della società.

Gli obblighi di trasparenza costituiscono, quindi, uno degli ambiti in cui l’influenza dei Principi guida in ambito europeo è più evidente, l’approvazione della Direttiva comporterà poi l’adozione delle normative di attuazione da parte degli Stati membri. Questi ultimi saranno

646 Danish National Action Plan, cit., Appendix 1, commentario al Principio 3d.

647 Rapporto S. Anna, cit., 32. Si veda il paragrafo seguente.

648 L’articolo è stato modificato dai d. lgs 32/2007 in attuazione della Direttiva 2003/51 EC in materia di rendicontazione. Si rileva come, però, questo non preveda come obbligatorio l’inserimento di informazioni di carattere ambientale o sociale nel bilancio Inoltre, l’interpretazione dell’art. 2428 resa dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili (CNDCEC) nel 2009 non faccia mai menzione dei diritti umani oltre a fornire un’interpretazione dubbia di cosa debba intendersi per informazione obbligatoria e informazione facoltativa. V. Rapporto della Scuola Superiore S. Anna, pag. 21 e ss.

quindi chiamati, nei prossimi due anni, a confrontarsi con il tema della trasparenza per le materie non finanziarie, anche alla luce di quanto affermato dai Principi delle Nazioni Unite.

A. L’esempio della Francia

Il riferimento alla norma francese c.d. Grenelle II da parte dello studio preparatorio al Piano nazionale italiano si può comprendere alla luce del fatto che la normativa francese in tema di trasparenza delle società per le politiche sociali e ambientali risulta particolarmente ricca e specifica e potrebbe quindi costituire un esempio concreto, anche per altre esperienze nazionali, di introduzione di obblighi di rendiconto da parte delle società nelle materie ambientali e sociali, anche in un’ottica di futura attuazione del nuovo testo della Direttiva 2013/34/EU sulla trasparenza nelle materie non finanziarie 649. Già l’art. 116 della legge n. 2001 – 420 del 15 maggio 2001 prevedeva, attraverso la modifica dell’art. L. 225-102-1 del codice di commercio, che le società quotate fossero soggette a un obbligo di reporting anche delle informazioni sulle