fronte ai tribunali nazionali
5. La responsabilità delle imprese per la violazione dei diritti umani di fronte a giudici nazionali
5.2 Responsabilità civile
Vi sono stati alcuni casi, anche celebri, di procedimenti instaurati di fronte a tribunali sia americani che europei per la responsabilità civile delle imprese multinazionali per le violazioni
“paralleli”, frequenti nei casi di violazioni commesse da imprese multinazionali. Le vittime delle violazioni promuovono azioni giurisdizionali in Paesi diversi, nella speranza di giungere almeno a una condanna. Vedi K. Sontag, La justiciabilité des droits de l’homme à l’égard des sociétés transnationales, in L. Boy, J.B. Racine, F. Siiriainen, Droit économique et droits de l’homme, cit.,, 569 e ss.
88 M. C. Bassiouni (Cur.), International Criminal Law, 3rd ed., Martinus Nijhoff pub., Leiden, 2008, 153 e ss.
89 Nel caso di specie i fatti contestati concernevano il trasporto di rifiuti altamente tossici dall’Europa alla Costa d’Avorio attraverso la nave Probo Koala la quale, dopo il rifiuto di scarico da parte delle autorità olandesi, ha scaricato il proprio carico altamente nocivo in un’area selvaggia della Costa d’Avorio causando notevoli danni alle popolazioni e all’ambiente.
90 Per i dettagli dell’accordo si veda il sito internet della procura olandese al seguente indirizzo:
http://www.om.nl/actueel-0/nieuws-persberichten/@159791/trafigura-punishment/ (consultato il 27 gennaio 2014).
da queste compiute soprattutto nei Paesi in via di sviluppo. Tale approccio, pur suscitando diverse critiche, ha permesso di portare in evidenza la questione della responsabilità delle imprese multinazionali anche attraverso processi eclatanti contro società potenti quali i già ricordati processi Shell, Nike, Yahoo etc…che hanno avuto una risonanza notevole nell’opinione pubblica. Purtroppo però sono pochissimi i casi in cui un tale significativo dispendio di energie processuali ha condotto all’effettiva condanna delle imprese e al risarcimento delle vittime delle violazioni. Ma, soprattutto, il ricorso ai meccanismi di responsabilità civile delle imprese multinazionali di fronte a tribunali nazionali, di cui l’esempio più pregnante è costituito certamente, come si dirà, dall’Alien Tort Statute statunitense, ha sollevato non pochi problemi di carattere giuridico, relativi, soprattutto, alla legittimità dell’esercizio extraterritoriale della giurisdizione da parte dei tribunali nazionali per condotte avvenute fuori dal territorio nazionale e a danno di individui stranieri91.
L’attribuzione di una simile responsabilità sul piano interno è possibile solo grazie all’esistenza di leggi nazionali aventi portata extraterritoriale e all’attribuzione, da parte di norme nazionali, della giurisdizione dei giudici nazionali anche su fatti avvenuti al di fuori del territorio dello Stato. Si tratta di provvedimenti che pongono diversi problemi di ordine giuridico perché l’esercizio extraterritoriale di poteri di governo da parte di uno Stato straniero potrebbe essere considerato lesivo della sovranità dello Stato ospite, soprattutto per quanto riguarda l’aspetto correlato dell’esecuzione, sul territorio dello Stato ospite, di decisioni dei giudici dello Stato di origine, adottate sulla base di criteri di collegamento non sufficientemente significativi. L’esercizio extraterritoriale della giurisdizione è un tema particolarmente spinoso che sarà trattato anche dal Rappresentante Speciale delle Nazioni Unite durante il mandato che precede l’elaborazione dei Guiding Principles delle Nazioni Unite su business and human rights, oggetto del terzo capitolo del presente lavoro. In particolare, la dottrina maggioritaria è concorde nel ritenere che non sussiste un obbligo di diritto internazionale per gli Stati di esercitare la propria giurisdizione anche al di fuori dei confini del territorio, ritenendo che vi sia solo un generale incoraggiamento da parte del diritto internazionale nei confronti degli Stati a provvedere in tal senso92. Tuttavia la questione non può ritenersi risolta, sul punto infatti le
91 Sul tema vedi anche infra Capitolo III.
92 Si vedano, tra gli altri, O. de Schutter, Extraterritorial Jurisdiction as tool for improving the human rights accountability of transnational corporations, 2006, 29-45 e J. Zerk, Multinationals and corporate responsibility: limitations and opportunities in International Law, 2006. Questa posizione è ben sintetizzata dal Commentario al principio 2 dei Guiding Principles delle Nazioni Unite, in cui si afferma che: «At present States are not generally required under international human rights law to regulate the extraterritorial activities of businesses domiciled in
Ong a tutela dei diritti umani affermano che lo stesso linguaggio dei trattati internazionali sui diritti umani lascerebbe più di qualche spazio al riconoscimento dell’obbligo della regolazione da parte degli Stati delle attività extraterritoriali delle imprese. Il Patto Internazionale sui diritti economici sociali e culturali, ad esempio, esplicitamente richiede, all’art. 2, agli Stati «to take steps, individually and through international assistance and co-operation (…)». Tale articolo è stato poi interpretato dal Comitato per i diritti economici, sociali e culturali come una norma che conferisce obblighi di azione extraterritoriale agli Stati93. Il tema rimane quindi controverso, ed è questo il motivo per cui il Rappresentante Speciale ha espressamente deciso di non occuparsene in maniera approfondita nei Guiding Principles.
- L’Alien Tort Statute
Le riflessioni circa la competenza dei giudici nazionali in caso di violazioni commesse da imprese multinazionali e circa l’effettività della tutela delle vittime di tali violazioni hanno subito un’accelerazione all’indomani del celebre e già citato caso Bophal94. Il disastro aveva visto coinvolto lo stabilimento della Union Carbide India Limited (UCIL), società indiana il cui 50,9% delle azioni era posseduto da Union Carbide Corporation (UCC), la società madre americana. In quell’occasione si era cercato in ogni modo di coinvolgere l’impresa madre americana, la Union Carbide corporation, nella responsabilità del disastro e di instaurare così il giudizio di fronte ai tribunali americani. Fu lo stesso governo indiano ad adire i giudici degli
their territory and/or jurisdiction. Nor are they generally prohibited from doing so, provided there is a recognized jurisdictional basis»
93 In particolare, vi è chi ha affermato che lo stesso linguaggio dei trattati internazionali sui diritti umani lascia più di qualche spazio al riconoscimento dell’obbligo della regolazione da parte degli Stati delle attività extraterritoriali delle imprese. Il Patto Internazionale sui diritti economici sociali e culturali esplicitamente richiede, all’art. 2, agli Stati «to take steps, individually and through international assistance and co-operation…». Tale articolo è stato poi interpretato dal Comitato per i diritti economici, sociali e culturali come una norma che conferisce obblighi di azione extraterritoriale agli Stati, v. CESCR General Comment n. 3, The nature of State parties obligations, 14, 1990. V. J. Knox, The Ruggie rules, cit, 33. Anche Olivier De Schutter ritiene che, nonostante i Guiding Principles non siano stati sufficientemente espliciti e coraggiosi, il diritto internazionale sta già evolvendo nel senso di un riconoscimento degli obblighi di giurisdizione extraterritoriale dello Stato come dimostra la prassi di alcuni organi delle Nazioni Unite, quali il Comitato per i diritti economici sociali e cluturali (ex: General Comment n. 15/2002) e, piú recentemente il Comitato per i diritti umani, v. O. de Schutter, Foreword, in S. Deva D. Bilchitz, Human rights obligationsof business, cit., xxi.
94 Vedi supra, nota n. 6. Per un ulteriore approfondimento sulla vicenda si veda Zilioli, Il caso Bophal e il controllo sulle attività pericolose svolte da società multinazionali, in Rivista giuridica dell’ambiente, 1987, 199; P. Muchilinski, The Bophal case: controlling ultra hazardous activities undertaken by foreign investors, in Modern Law review, 1987, 545; T. Scovazzi, I seguiti sul piano giuridico della catastrofe di Bophal, in M. Cutillo, R. Faugno, T. Scovazzi, Responsabilità sociale di impresa, cit., 289 e ss.
Stati Uniti presentando domanda di fronte alla Corte Distrettuale di New York95. Ovviamente la società madre UCC insisteva affinché venisse indicata la giurisdizione indiana come la più idonea a giudicare il caso. I giudici americani hanno applicato, in quel caso, la dottrina del forum non conveniens96, ritenendo che la competenza giurisdizionale del caso spettasse alle corti indiane97.
Il dibattito suscitato dal processo Bophal e il problema della giurisdizione in casi simili hanno portato alla riscoperta, da parte degli avvocati dei diritti umani americani, dell’Alien Tort Statute, una legge del 1789 concepita per contrastare la pirateria e gli attacchi ai diplomatici, che avrebbe potuto fornire lo spunto per l’affermazione della giurisdizione dei tribunali americani nei casi di violazioni del diritto internazionale da parte delle multinazionali.
L’Alien Tort Statute è, infatti, una norma federale che attribuisce ai tribunali federali la competenza sulle azioni civili instaurate da cittadini stranieri per violazioni della c.d. “law of nations” o di un trattato internazionale concluso dagli Stati Uniti: «The district courts shall have original jurisdiction of any civil action by an alien for a tort only, committed in violation of the law of nations or a treaty of the United States». (Judiciary Act of 1789, ch. 20, § 9(b), 1 Stat. 73, 77 (1789), in 28 U.S.C. § 1350). Tale disposizione è stata utilizzata in epoca recente, nel 1980, in un’azione di risarcimento danni promossa da cittadini del Paraguay per atti di tortura commessi da un ufficiale di polizia del Paraguay ai danni di un loro familiare (Filàrtiga v. Pena Irala 630 F.2d 876 (2d Cir. 1980)). In quel caso la Corte dichiarò la sussistenza della giurisdizione dei tribunali civili americani sulle violazioni dei diritti umani subite da vittime
95Sulla base del fatto che il Sistema giudiziario americano era più adatto a trattare la controversia: «The Union of India bring this action in this Court because the facts and circumstances of Bhopal disaster make the federal judicial system in the US the most appropriate forum for a just, speedy and equitable resolution of all claims», così la domanda dell’India come riportata da Baxi& Paul, Mass disasters and multinational liability, Bombay 1986, 59.
96 Principio secondo il quale il giudice americano può discrezionalmente valutare quale sia la giurisdizione più appropriata per decidere una controversia sulla base dei seguenti criteri: esistenza di una giurisdizione alternativa e adeguata; fattori di interesse privato (nel caso di specie: ubicazione di mezzi di prova e disponibilità dei testimoni); fattori di interesse pubblico (oneri del processo). In T. Scovazzi, I seguiti sul piano giuridico della catastrofe di Bophal, in M. Cutillo, R. Faugno, T. Scovazzi, Responsabilità sociale di impresa cit, 296 e ss. Si tratta, tuttavia, di un principio dottrinale molto controverso, per un’analisi più specifica si vedano, tra gli altri, Anderson, Forum Non Conventiones checkmated? The emergence of retaliatory legislation, in J. Trans L. &Pol., 2001, 183 e ss; Muir Watt, Aspects économiques du droit international privé, 302, A. Bonfanti, Imprese multinazionali, cit., 363. La dottrina del forum non conveniens è stata invece espressamente rigettata dalla Corte di Giustizia europea nella sentenza Owusu v. Jackson (C-281/02), marzo 2005, nella quale viene escluso che il forum non convenies possa derogare al criterio del domicilio del convenuto previsto dall’art. 2 della Convenzione di Bruxelles. Si veda, tra gli altri, Cuniberti, M. M. Winkler, Forum non conveniens e Convenzione di bruxelles: il caso Owusu dinanzi alla Corte di Giustizia, in Dir. Comm. Int., 2006, 3.
97Nella sentenza del 12 maggio 1986 la Corte ha affermato quanto segue: «the Indian interest in creating standards of care, enforcing them, or even extending them and of protecting it citizens from ill-use is significantly stronger that the local interest in deterring multinationals from exporting allegedly dangerous technology», p. 799. La sentenza è poi stata confermata in appello il 14 gennaio 1987 e il 5 ottobre 1987 sono stati respinti I ricorsi presentati alla Corte Suprema.
straniere da parte di autori stranieri, indipendentemente dal luogo di commissione del fatto, stabilendo come criterio di collegamento solo la natura della violazione, che doveva essere una violazione grave del diritto internazionale definita in norme specifiche, universali e cogenti. Uno dei casi principali di applicazione dell’ATCA alle violazioni commesse da un’impresa multinazionale è il caso John Doe I v. Unocal Corp.98, in cui un cittadino del Myanmar ha accusato le multinazionali Unocal e Total di aver commesso gravi abusi dei diritti umani durante la costruzione di un gasdotto in joint venture con il governo locale. In quel caso la Corte doveva quindi valutare se vi era stata, da parte dell’impresa, la complicità con le violazioni dei diritti umani commesse dal governo del Myanmar. In quel caso la Corte aveva affermato che una persona fisica o giuridica può essere riconosciuta responsabile per le violazioni del diritto internazionale, sulla base dell’ATCA, (i) quando commette direttamente delle violazioni identificate come tali dai trattati internazionali; (ii) quando contribuisce alla commissione delle stessa da parte dello Stato. La sentenza Unocal è importante anche perché definisce il concetto di complicità di un’impresa multinazionale con le violazioni commesse da parte di uno Stato99. La giurisprudenza ATCA ha poi avuto un ulteriore sviluppo nel caso Kadic v. Karadzic100, in cui la Corte d’appello arrivò ad affermare la responsabilità di un privato per i crimini commessi in territorio straniero anche se questi non agiva per conto dello Stato. In quel caso, inoltre, i Tribunali americani affermarono la possibilità che un individuo potesse essere citato in giudizio attraverso l’ATCA anche per la commissione di crimini che non rientravano nella definizione internazionale di “crimini contro l’umanità”. A partire da queste interpretazioni, quindi, furono aperte le porte all’utilizzo dell’ATCA da parte delle vittime di violazioni del diritto internazionale commesse da attori privati, e quindi anche dalle imprese multinazionali sia statunitensi che straniere (ma semplicemente “presenti” in territorio americano), per avanzare azioni di risarcimento dei danni dinanzi alle corti americane101. Secondo alcuni l’ATCA ha significato addirittura «the beginning of a very board form of extraterritorial jurisdiction in the civil sphere»102. La Corte Suprema stessa era intervenuta a precisare i contorni dell’ATCA nel caso Sosa v. Alvarez-Machain103 e a definire cosa debba intendersi per law of nations ai sensi
98John Doe I v. Unocal Corp., 963 F. Supp 880 (C.D. Cal. 1997)
99A. Clapham, Human rights obligations of non- State actors, cit.,256
100Kadic v. Karadzic, 70 F3d.232, 64 USLW 2231, par. 238.
101K. C. Randall, Federal Jurisdiction over International Law Claims: Inquiries into the Alien Tort Statute, in N.Y.U. INT'L L. & Pol., vol 18, p. 1. M.M. Winkler, Le imprese multinazionali e l’oscillante giurisprudenza dell’Alien Tort Statute, in Int’Lis, 2012, pp. 40 e ss.
102 Si veda l’opinione separate dei giudici Higgins, Kooijmans e Buerghental in ICJ, Case concerning the Arrest Warrant of 11 april 2000, 14 febbraio 2002 par. 48.
della norma. In quel caso, quindi, la Corte ha precisato che la responsabilità ai sensi dell’ATCA sussiste quando la norma internazionale violata è sufficientemente precisa e universalmente riconosciuta104.
La Corte Suprema degli Stati Uniti è intervenuta per la seconda volta sull’Alien Tort Statute nel caso Kiobel v. Royal Dutch Shell105. Il caso riguardava la denuncia di violazione dell’ATCA da parte di alcuni abitanti di Ogoniland in Nigeria, i quali sostenevano che la multinazionale Shell avesse aiutato, con supporto logistico e finanziario, il governo Nigeriano a commettere atroci abusi dei diritti umani nei confronti delle popolazioni Ogoni, che protestavano contro gli ingenti danni ambientali causati dalle pratiche estrattive di Shell106. La Corte Suprema degli Stati Uniti, con una maggioranza di 5 voti, rigetta il ricorso, in quanto essa ritiene che i fatti allegati non fossero in grado di superare la presunzione di divieto di applicazione extraterritoriale che si applica alle norme statunitensi, compreso l’Alien TortStatute. In particolare, nella sentenza il Chief Justice Roberts afferma che «when a statute has not clear indication of an extraterritorial application, it has none»107 e ritiene che la storia dell’applicazione dell’ATCA da parte dei Tribunali degli Stati Uniti non sia sufficiente ad escludere che ad esso si applichi la presunzione di non extraterritorialità108. La Corte quindi fa ricorso a un canone di interpretazione delle norme che intende “preservare un quadro stabile nei confronti del quale il Congresso può legiferare con effetti prevedibili”109 per evitare, per richiamare un’espressione della Corte, le conseguenze negative che un’erronea interpretazione da parte del potere giudiziario potrebbe causare in termini di politica estera degli Stati Uniti110.
104Sosa, 699.
105 United States Supreme Court, Kiobel v. Royal Dutch Petroleum (569 U.S.(2013)). Significativi contributi di autori internazionali in commento alla sentenza sono presenti in Agora: Reflection on Kiobel, in American Journal of International Law, vol. 107, 2013. Per un commento della dottrina italiana si veda M. M. Winkler, Kiobel v. Royal Dutch Shell ovvero cronaca di una morte (quasi) annunciata: niente più azioni di risarcimento nei confronti delle imprese multinazionali per la violazione dei diritti umani, inDiritto del commercio internazionale, vol.1, 2011, 21 e ss.; E. Pistoia, La fine di una giurisprudenza? Sulla sentenza Kiobel v. Royal Dutch Petroleum in tema di applicazione dell’Alien Tort Statute alle società, in Rivista di diritto internazionale, vol. 2, 2011, 480.
106Vedi Kiobel v. Royal Dutch Petroleum Co., Federal Statute and Regulations, The Supreme Court leading Cases, in Harvard Law review, vol. 127:308, 308 e ss.
107Kiobel, par 1664.
108Uno dei punti più controversi della decisione è rappresentato dal fatto che la Corte applica la presunzione di divieto di applicazione extraterritoriale della norma a una norma che lei stessa, nel caso Sosa v. Alvarez Machain, aveva definito di carattere puramente giurisdizionale, mentre invece tale presunzione era sempre stata applicata a norme di tipo sostanziale, tanto che il giudice Scalia, nella propria concurring opinion, ha parlato di never say never jurisprudence. V. sul punto R. Steinhardt, Kiobel and the Weakening of precedent: a long walk for a short drink, in The American Journal of International Law, vol. 107:841, 2013, 841 e ss.
109È quanto afferma la stessa Corte Suprema nel caso Morrison v. National Australia Bank ltd, 130 S. Ct. 2896, 2010, par. 2881, in cui pure si era occupata della presunzione di divieto di applicazione extraterritoriale.
Il punto centrale della sentenza è rappresentato, pertanto, dalla necessità di evitare conseguenze negative derivanti dall’interferenza del potere giudiziario in materia di politica estera degli Stati Uniti. La presunzione di divieto di applicazione extraterritoriale dell’ATCA, secondo la Corte, potrebbe essere superata solo nel caso in cui venisse dimostrato un sostanziale legame dell’azione dell’impresa con il territorio degli Stati Uniti (il c.d. touch and concern test), limitandosi a dire che la mera presenza della società sul territorio americano potrebbe non essere sufficiente111. La decisione però non provvede a definire in maniera precisa, a beneficio delle Corti inferiori, in quale caso la presunzione di divieto di applicazione extraterritoriale potrebbe essere superata, aprendo così a parecchi problemi interpretativi in caso di nuove azioni intentate ai sensi dell’ATCA di fronte alle Corti inferiori.
Alcuni inoltre hanno sottolineato come la Corte Suprema nella sentenza Kiobel non abbia toccato il punto principale della questione, ovvero se le imprese possono essere destinatarie degli obblighi internazionali di rispetto dei diritti umani, che era l’argomento che aveva utilizzato invece la Corte federale del Second Circuit per rigettare il ricorso in primo grado112. La Corte Surpema quindi sposta i termini della questione sulla sussistenza o meno di una presunzione di divieto di applicazione extraterritoriale della norma lasciando da parte ogni ulteriore considerazione circa lo status delle imprese nel diritto internazionale. Tuttavia, nonostante la Corte Suprema non si sia pronunciata sulla possibilità che le imprese siano destinatarie di obblighi internazionali e abbia lasciato aperta la possibilità di continuare ad applicare l’ATCA ai casi che superano il touch and concern test e quindi che hanno un legame sostanziale con il territorio statunitense113, è probabile che questa decisione segni un arresto nell’utilizzo dell’ATCA da parte delle vittime degli abusi delle imprese multinazionali. Lo stesso infatti, rappresentava lo strumento normativo principale per far valere la responsabilità civile delle imprese multinazionali, anche non americane, di fronte agli organi giurisdizionali statunitensi per violazioni commesse da queste o dalle loro consociate in territorio estero e ai danni di individui non cittadini degli Stati Uniti.
- I principali ordinamenti europei
111Kiobel, par. 1669.
112 R. Steinhardt, Kiobel and the Weakening of precedent, cit., 844.
113Alcuni sostengono che la decisione sia di fatto sfavorevole alle imprese americane nei confronti delle quali, a differenza delle altre, vi è una maggiore probabilità di superare la presunzione di divieto di applicazione extraterritoriale. V. A. Chander, Unshackling foreign corporations: Kiobel’s unexpected legacy, in American Journal of International Law, vol. 107. 2013, 829 e ss.
In aggiunta all’esperienza statunitense è opportuno qui dare conto anche del contenzioso avente ad oggetto la responsabilità civile delle imprese multinazionali che si è instaurato dinanzi ai giudici europei, nonostante lo stesso abbia dimensioni e portata molto più ridotte rispetto a