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Responsabilità dello Stato per mancato adempimento degli obblighi posti da norme internazionali

fronte ai tribunali nazionali

4. La responsabilità internazionale dello Stato per le condotte delle imprese

4.2 Responsabilità dello Stato per mancato adempimento degli obblighi posti da norme internazionali

Oltre al riconoscimento di una responsabilità diretta di diritto internazionale dello Stato per le condotte delle imprese in quanto a esso imputabili, sarebbe possibile configurare una responsabilità dello Stato per il mancato adempimento degli obblighi di tutela dei diritti umani anche nei confronti delle condotte delle imprese presenti sul proprio territorio e delle succursali di queste nel caso delle imprese multinazionali69. Come si è avuto modo di ricordare nel paragrafo precedente, esistono diverse norme di diritto internazionale che pongono a carico degli Stati obblighi diretti di controllo e prevenzione degli abusi commessi anche dalle imprese (multinazionali e non). Si tratta per lo più di obblighi di mezzi e non di risultato che vengono assolti quando lo Stato pone in essere i comportamenti ragionevolmente necessari a raggiungere il risultato previsto dalla norma. La violazione di questi obblighi consiste nel mancato impiego, da parte dello Stato, della dovuta diligenza nell’adozione della misura e può determinare una responsabilità internazionale dello Stato. Sulla responsabilità dello Stato per la mancata adozione di norme volte a prevenire o sanzionare violazioni dei diritti umani da parte delle impresesi sono pronunciate diverse Corti internazionali. Si ricorda che si tratta di una responsabilità che può riguardare sia lo Stato ospite che quello di origine. La Corte europea dei diritti dell’uomo, ad esempio, si è concentrata, in particolare, sull’interpretazione dell’art. 8 della Convenzione europea per i diritti dell’uomo (CEDU) il quale protegge la vita privata e familiare e dell’art. 6 sul giusto processo, costruendo, in tal modo il “diritto a vivere in un ambiente sano”. Nel caso Lopez Ostra c. Spagna la Corte ha ritenuto la Spagna responsabile per non aver adottato le misure adeguate alla salvaguardia della salute dei cittadini a fronte delle emissioni dannose di una società privata affermando quanto segue:

«Admittedly, the Spanish authorities, and in particular the Lorca municipality, were theoretically not directly responsible for the emissions in question. However, as the Commission pointed out, the town allowed the plant to be built on its land and the State

69 Occorre ricordare però che, dato il principio di separazione giuridica tra le diverse società del gruppo, è difficile attribuire all’impresa madre la condotta delle proprie consociate ed è altresì difficile che lo Stato possa esercitare la propria giurisdizione al di fuori del proprio territorio. Per un approfondimento vedi infra, par., Capitolo III.

subsidised the plant’s construction. […] Having regard to the foregoing, and despite the margin of appreciation left to the respondent State, the Court considers that the State did not succeed in striking a fair balance between the interest of the town’s economic well-being - that of having a waste-treatment plant - and the applicant’s effective enjoyment of her right to respect for her home and her private and family life. There has accordingly been a violation of Article 8»70. Successivamente, nel caso Guerra c. Italia la Corte ha nuovamente ritenuto lo Stato, questa volta l’Italia, responsabile della violazione dell’art. 8 per non aver adottato le misure idonee a garantire un adeguato livello di informazione nei confronti dei residenti in prossimità della Enichem, azienda petrolchimica responsabile dell’emissione di gas tossici71. In questa sentenza la Corte ha ribadito che:

«The Court considers that Italy cannot be said to have “interfered” with the applicants’ private or family life; they complained not of an act by the State but of its failure to act. However, although the object of Article 8 is essentially that of protecting the individual against arbitrary interference by the public authorities, it does not merely compel the State to abstain from such interference: in addition to this primarily negative undertaking, there may be positive obligations inherent in effective respect for private or family life. […]In the instant case the applicants waited, right up until the production of fertilisers ceased in 1994, for essential information that would have enabled them to assess the risks they and their families might run if they continued to live at Manfredonia, a town particularly exposed to danger in the event of an accident at the factory. The Court holds, therefore, that the respondent State did not fulfil its obligation to secure the applicants’ right to respect for their private and family life, in breach of Article 8 of the Convention»72.

La violazione dell’art. 8 è stata contestata di nuovo all’Italia nel caso Giacomelli c. Italia per la concessione dell’autorizzazione ad un impianto di smaltimento di rifiuti tossici che, situato vicinissimo a una casa privata, è stato considerato lesivo del diritto alla vita privata e familiare della ricorrente73.

La stessa Corte europea ha anche ritenuto gli Stati responsabili della violazione dell’art. 6, relativo al giusto processo, nel caso in cui gli stessi non hanno dato attuazione alle pronunce

70 ECHR, Lopez Ostra c. Spain, 16798/90, 9 dicembre 1994, par. 52 e 58.

71 ECHR, Guerra e al. c. Italia, 116/1996/735/932, 19 febbraio 1998. Analogamente la Corte ha ritenuto la Russia responsabile della violazione dell’art. 8 nel caso Fadeyeva v. Russia per non aver impedito l’inquinamento derivante dall’attività dell’acciaieria Severstal. ECHR, Fadeyeva v. Russia, 55723/00, 9 giugno 2005.

72 ECHR, Guerra e al. c. Italia, 116/1996/735/932, 19 febbraio 1998, par. 58-60

dei giudici nazionali che disponevano la revoca della licenza concessa a una miniera74, oppure nel caso di mancata adozione di provvedimenti da parte delle autorità statali che disponessero la chiusura di impianti ritenuti nocivi per l’ambiente e la salute75.

Anche altre corti internazionali si sono pronunciate circa la responsabilità dello Stato per il mancato controllo o la mancata adozione di norme volte a prevenire o sanzionare le violazioni commesse dalle imprese. Significative, in questo senso, alcune pronunce della Corte interamericana per i diritti umani, la prima delle quali è la pronuncia del 1985 con cui viene affermata la responsabilità del Brasile per non aver adottato misure idonee a evitare la violazione dei diritti degli indigeni da parte delle compagnie petrolifere76. La stessa impostazione viene seguita anche in casi successivi che coinvolgono i governi di Ecuador, Belize, Nicaragua e Paraguay77. In tutti questi casi la Corte ha ravvisato la responsabilità dello Stato per non aver impedito le violazioni ai danni delle comunità indigene commesse dalle imprese. Tali fatti non fanno che confermare la tendenza, già evidenziata, degli Stati a favorire l’investimento delle imprese anche ai danni delle comunità locali o dei singoli individui o, quantomeno, a rimanere inerti di fronte a condotte lesive dei diritti umani.

Anche la Commissione Africana per i diritti dell’uomo e dei popoli si è espressa con l’importante pronuncia del 2001 nel caso The social and economic rights action center and the center for economic and social rights v. Nigeria in cui ha dichiarato la Nigeria responsabile per non aver adottato le misure necessarie a evitare le violazioni compiute dal consorzio petrolifero facente capo a Shell avverso le comunità indigene dell’Ogoniland78. Tali condotte avrebbero determinato la violazione dei diritti sanciti dalla Carta africana sui diritti dell’uomo e dei popoli79.

Infine, il Comitato per i diritti dell’uomo, nella comunicazione sul caso Lubicon Lake Band c. Canada ha ritenuto violati i diritti degli individui del gruppo etnico ricorrente a professare la

74 Tale ragionamento è stato applicato dalla Corte nel caso Taskin e al. c. Turchia, 46117/99, 10 novembre 2004.

75 Si tratta delle sentenze rese dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nei casi Okyay e al. c. Turchia, 36220/97 12 luglio 2005 e Tatar c. Romania, 67201/01, 27 gennaio 2009.

76 Si tratta, in particolare, delle violazioni dei diritti alla libertà, alla vita, alla sicurezza personale e alla libertà di movimento delle comunità indigene, sanciti dagli art. 1, 8, 11 della Dichiarazione interamericana sui diritti e doveri dell’uomo. IACHR, res. 12/85, case 7615, Brazil, 5 marzo 1985.

77 Si vedano i casi IACHR, The Kichwapeople of the Sarayaku Community and its members v. Ecuador, res 138/09, 18 dicembre 2009; IACHR, Maya Indigenous Communities of the Toledo District v. Belize, res. 40/4, 12 ottobre 2004; IACHR, The case of the Mayagna Awas Tigni Community v. Nicaragua, 31 agosto 2001; IACHR, Comunidad Indìgena Yakye Axa v. Paraguay, Sentencia, 17 giugno 2005.

78ACHPR, The Social and Economic Rights Action Center and the Center for Economic and Social Rights v. Nigeria, communication n. 155/96 (2001).

79African Charter on Human and Peoples’ Rights, OAU doc. CAB/LEG/67/3 rev. 5, entrata in vigore il 21 ottobre 1986.

propria identità e manifestare la propria cultura di cui all’art. 27 del Patto sui diritti Civili e politici dalle attività poste in essere dal governo canadese attraverso la concessione di un’autorizzazione di esproprio per la realizzazione di attività estrattive da parte di un operatore privato80.

I casi appena citati dimostrano come la responsabilità dello Stato per la mancanza di prevenzione e di controllo sulle attività delle imprese (anche multinazionali) presenti sul proprio territorio sia stata presa in considerazione a livello internazionale81. Degli obblighi di prevenzione a carico dello Stato per le attività delle imprese multinazionali si è occupato in dettaglio anche il Rapporto del Rappresentante Speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite in tema di business e diritti umani, che, come si vedrà, dedica un capitolo intero allo “State duty to protect”82.

Il riconoscimento di una responsabilità internazionale dello Stato per le attività delle imprese è, come si è appena visto, comunque ricco di difficoltà pratiche e teoriche e poco presente nella prassi internazionale. Inoltre la necessità di cooperazione, in questo ambito, tra Paesi origine e Paesi ospiti delle multinazionali ha determinato un certo favore della comunità internazionale verso lo strumento dei codici di condotta di natura non vincolante quali quelli dell’OCSE e delle Nazioni Unite piuttosto che verso l’instaurazione di un contenzioso internazionale che veda contrapposti Stati ospiti e Stati di origine delle imprese.

5. La responsabilità delle imprese per la violazione dei diritti umani di fronte a giudici