Guida: alcune riflessioni sulle esperienze europee
2. L’attuazione dei Guiding Principles nel contesto dell’Unione europea
2.1 Origini ed evoluzione della politica dell’Unione europea in tema di responsabilità sociale di impresa
Sebbene i più ritengano che l’emergere di una strategia europea per la responsabilità sociale d’impresa sia da far risalire ai primi anni 2000, l’origine della riflessione europea intorno a questi temi, soprattutto in un’ottica di lotta all’esclusione sociale, risale già agli anni ’90 con la pubblicazione, nel 1993, del “Manifesto of enteprises against social exclusion”539 che seguiva il Libro Bianco Crescita competitività e occupazione, nel quale si auspicava la costruzione di
539 Il Manifesto è stato pubblicato nel 1995 e ha condotto alla creazione dello European Business Network. V. S. MacLeod, Corporate responsibility within the European Union Framework, in S. Mac Leod, J. Parkinson (eds.), Global Governance and the quest for justice: corporate governance, Hart Publishing, Oxford, 2006. Le politiche europee contro l’esclusione sociale seguono la visione dell’allora Presidente Jacques Delors, espresso più volte in quegli anni, di uno european regulated capitalism, J. Delors, JCMS 50th anniversary lecture. Economic governante in the European Union, past, present and future, in Journal of Common Market Studies, 2013, vol. 51, n. 2. Cfr anche C.G. Anta, Il rilancio dell’Europa, il progetto di Jacques Delors, Giuffrè, Milano, 2004.
una nuova economia europea aperta, competitiva e solidale540. Il Manifesto invitava quindi a un maggiore dialogo i vari attori coinvolti e allo scambio di best practices per un’impresa responsabile. Tuttavia non si può ancora parlare di responsabilità sociale come concetto “istituzionale” europeo, l’ingresso ufficiale della CSR nella politica istituzionale dell’Unione avviene infatti soltanto con le Conclusioni del Consiglio dell’Unione europea di Lisbona del marzo del 2000, nelle quali vengono esplicitate le strategie della politica europea per il decennio 2000-2010541. Il Consiglio di Lisbona si inserisva in un processo volto a riformulare il modello sociale europeo a seguito delle sfide poste dalla globalizzazione542, e quindi decideva di fissare come obiettivo strategico per il successivo decennio quello di: «become the most dynamic and competitive knowledge-based economy in the world capable of sustainable economic growth with more and better job and greater social cohesion»543. La strategia politica ed economica europea degli anni 2000 mirava a rafforzare il modello economico sociale europeo bilanciando tra loro gli obiettivi della crescita economica, dell’occupazione, della sostenibilità ambientale e della coesione sociale544. Negli anni 2000 la CSR diveniva un aspetto importante della strategia economica dell’Unione545. Sul ruolo delle imprese nel conseguimento degli obiettivi posti dal Consiglio di Lisbona è intervenuto poi anche il Consiglio di Nizza, del dicembre 2000, il quale ha approvato l’Agenda Sociale europea, con cui sottolineava il legame tra prestazione economica e progresso sociale546. Il quadro sulle strategie di politica economica europea di questi anni veniva ulteriormente arricchito dalle conclusioni del Consiglio europeo di Göteborg del giugno 2001, in cui veniva definita la strategia per lo sviluppo sostenibile547. Tale strategia era basata sull’esame coordinato degli effetti economici, sociali e ambientali delle politiche
540 COM(93)700 del 15 dicembre 1993.
541 European Council, Presidency Conclusions: Lisbon European Council, I(5).
542 Vi erano già state precedenti esperienze con le quali l’Europa aveva tentato di inquadrare le attività delle imprese in un’ottica di maggiore inclusione sociale e di rispetto dei diritti fondamentali. Si ricordano in proposito il Codice di condotta per le imprese operanti in Sud Africa, v. F. Salerno, La regolamentazione internazionale dei rapporti di lavoro con imprese multinazionali, Firenze, 1984 e la c.d. Risoluzione Howitt adottata dal Parlamento nel 1999, con cui si affermava l’opportunità di introdurre un codice di condotta per le imprese operanti all’estero, Risoluzione sulle norme comunitarie applicabili alle imprese europee che operano nei PVS: verso un codice di condotta europeo, adottata il 15 gennaio 1999, in GUCE, serie C 104 del 14/4/1999. Cfr anche A. Di Pascale, La responsabilità sociale di impresa nel diritto dell’UE, Giuffrè, Milano, 2011, 135 e ss.
543 Conclusioni della Presidenza, Consiglio europeo, Lisbona, 23-24 marzo 2005, par. 5.
544 V. anche D.S. Dion, The Lisbon Process: a european odyssey, in European Journal of Education, vol. 40, 2005, p. 295 e ss.
545 Si vedano in tal senso le Conclusioni dell’incontro di Lisbona del Consiglio dell’Unione europea del 23 e 24 marzo 2000. Sulle iniziative di dialogo tra Unione e Stati membri in tema di CSR si segnala la creazione, nel 2000, dell’High Level Group of National Represenatives on CSR, v. EC, Corporate Social responsibility: national public policies in the EU, 2004.
546 Conclusioni del Consiglio europeo di Nizza, 7-10 dicembre 2000, Allegato I.
europee e sulla loro integrazione nel processo decisionale e si sottolineava il ruolo specifico delle imprese per la sua realizzazione.
Il programma politico illustrato nella strategia di Lisbona nel 2000, e poi ripreso dai Consigli di Nizza e Göteborg, ha condotto, nel 2001, alla pubblicazione, da parte della Commissione europea, del Libro Verde dal titolo: Promoting a European framework for CSR con il quale la Commissione si pronunciava esplicitamente sulla CSR e invitava tutti gli attori, privati e pubblici, a contribuire al suo processo di promozione “based on european values”, attraverso la creazione di un framework di riferimento capace di raggiungere un più efficace livello di governance e di sviluppo sostenibile548. E’ importante sottolinare che nel Libro Verde la CSR veniva definita come: «a concept whereby companies integrate social and environmental concerns in their business operations and in their interactions with their stakeholders on a voluntary bases»549. Tale definizione, quindi, segnava la scelta della Commissione a favore di un carattere volontario delle politiche in materia di CSR. Il documento faceva inoltre ampio riferimento alle disposizioni europee in materia di diritti umani e proponeva la CSR come parte di una “integrated human rights policy” risultante da diverse disposizioni dei Trattati dell’Unione e da altri documenti collegati550. La Commissione, nel Libro Verde, precisava anche che le politiche volontarie in tema di CSR non potevano sostituire l’adozione, se necessario, di appropriate misure legislative e incentivava le società a rispettare sia le norme nazionali che il diritto internazionale, in particolare il diritto internazionale dei diritti umani551. L’intento era invece quello di disegnare un quadro uniforme in ambito europeo e facilitare la convergenza, da parte delle imprese, intorno ai diversi strumenti internazionali già esistenti in materia di responsabilità sociale552.
La strategia individuata dalla Commissione nel Libro Verde si compone di una dimensione interna, la quale contempla le iniziative che l’impresa stessa deve mettere a punto, quali ad esempio il rispetto di standard di sicurezza sul lavoro o l’adozione di sistemi di gestione ambientale, e una dimensione esterna che attiene al coinvolgimento di soggetti diversi
548European Commission, Green Paper promoting a european framework for corporate social responsibility, COM(2001)366, del 18 luglio 2001, si veda, in particolare, il punto n. 89.
549 EC, Green Paper, cit. punto 20.
550 EC, Green Paper, cit., punto 52 e ss.
551 EC, Green Paper, cit, punto 22.
552 EC, Green Paper, cit., punto 17. Si è sottolineato, tuttavia, come il Libro Verde non faccia riferimento diretto alle Linee Guida OCSE per le imprese multinazionali e faccia solo un limitato e generico riferimento alla tutela dei diritti umani. F. Sciaudone, Iniziative comunitarie in tema di responsabilità sociale delle imprese: prime riflessioni, in Diritto pubblico comparato ed europeo, vol. III, 2003, 1419 e ss.
dall’impresa e dai suoi shareholders553. La pubblicazione del Libro Verde, nonostante ad esso non siano seguite ulteriori iniziative, ha suscitato numerose reazioni da parte dei vari attori coinvolti e ha aperto una fase di consultazioni pubbliche con le risposte dei vari stakeholders ai quesiti formulati dalla Commissione: «What is the role of the E.U. in the development of CSR? What is the role of CSR in corporate business strategies? What is the role of other stakeholders? How should CSR strategies be monitored and evaluated? What mechanisms are most appropriate for developing CSR, and at what level? »554. Le risposte sono state 261 da parte di Stati, imprese, ONG e organizzazioni sindacali555, dalle quali è emersa la ferma contrarietà delle ONG alla natura volontaria della CSR e all’attenzione da parte della Commissione al “business case” con la sostanziale esclusione degli interessi degli altri attori coinvolti. D’altra parte, va sottolineato come nemmeno le risposte del mondo del business siano state particolarmente positive, la European Roundtable of Industrialities (ERT) si è ad esempio dichiarata contraria a una standardizzazione europea dei metodi di comunicazione delle performance sociali556. Sulla base di tali consultazioni, la Commissione, nel 2002, ha presentato un’ulteriore Comunicazione, Corporate Social reponsibility: a business contribution to sustainable developemen557. In questo ulteriore documento la Commissione ha chiaramente concentrato la propria attenzione sulle imprese e ha insistito sulla necessità di un’iniziativa a livello europeo in tema di CSR per facilitare la creazione di un quadro omogeneo e evitare che la proliferazione di diversi strumenti potesse rappresentare una distorsione del mercato558. In questa Comunicazione la Commissione ha annunciato la strategia europea in materia di CSR in diverse aree. Particolarmente interessante risulta, ai nostri fini, il punto in cui la Commissione ha espresso la necessità di una maggiore trasparenza in merito alle iniziative di CSR delle singole imprese in quanto essenziale per la misurazione dei risultati conseguiti e ha sottolineato il ruolo di standard di riferimento costituito dalla Dichiarazione ILO e dalle Linee Guida OCSE559. Inoltre la Commissione ha chiarito che le politiche socialmente responsabili possono costituire uno strumento di realizzazione degli obiettivi dell’Unione in diversi settori, pur ribadendone la natura volontaria. In realtà, anche questa ulteriore Comunicazione si caratterizza per l’assenza
553 Cfr., A. Di Pascale, La responsabilità sociale di impresa nel diritto dell’UE, cit., 156-157.
554 EC, Green Paper, cit., punto 22-23.
555 S. MacLeod, Corporate responsibility within the European Union Framework, cit., 545.
556 O. de Schutter, Corporate Social Responsibility: European Style, in European Law Journal, vol. 14, n. 2, 2008, pp. 203-206.
557 COM(2002)347 del 2 luglio 2002.
558 COM(2002)347, par. 8.
559 COM(2002)347, par. 20. Sulle iniziative europee in tema di trasparenza nelle politiche sociali e ambientali vedi anche par. successivo.
di misure concrete finalizzate alla costruzione di un quadro armonico delle politiche di responsabilità sociale d’impresa.
L’unico risultato tangibile di questa Comunicazione è stata la creazione di uno European Multistakeholder Forum (EMS) che possa «consider the effectivness and the credibility of existing codes of conducts and how convergence can be promoted at European level»560. Il forum era già stato proposto nel Libro Verde del 2001, ma formalmente è stato stabilito solo con la Comunicazione del 2002, secondo la quale doveva essere composto da rappresentanti di Stati, Ong, imprese e società civile. I lavori di discussione sono durati due anni nei quali si sono susseguiti due incontri collettivi e quattro tavole rotonde tematiche, ciascuna riunitasi in tre occasioni, e si sono conclusi nel 2004 con un rendiconto finale561. Tuttavia, si deve rilevare come i risultati ottenuti dal forum non hanno contribuito all’avanzamento del dibattito sulla CSR562 poiché durante i lavori dello stesso sono emerse profonde divergenze tra i diversi stakeholders coinvolti, in particolare, tra le organizzazioni di imprese, che sostenevano scelte essenzialmente volontarie e individuali, e le Ong, fautrici invece di regolamentazioni giuridiche e meccanismi di controllo adeguati. Tali divergenze hanno significativamente compromesso i risultati dell’iniziativa e impedito di raggiungere un consenso circa le misure che si sarebbero dovute adottare in materia di responsabilità sociale563. Le proposte concrete contenute nel resoconto finale dei lavori del forum, si sono limitate a richiamare il ruolo primario dei governi nell’assicurare un quadro giuridico e condizioni economiche che potessero consentire lo sviluppo di pratiche di responsabilità sociale dalle imprese e nella promozione della tutela dei diritti umani nei Paesi terzi. Pur basandosi quindi sull’idea positiva di confronto e partecipazione di tutti gli attori coinvolti nelle dinamiche di responsabilità sociale di impresa, il forum ha espresso tutti i limiti dell’aver messo assieme attori con visioni molto diverse senza che vi fosse un preesistente inquadramento istituzionale564.
Due anni dopo il resoconto finale del forum, la Commissione europea è nuovamente intervenuta sulla responsabilità sociale con una nuova Comunicazione565, nella quale ha chiarito che:
560 COM(2002)347, par. 13
561 European Multistakeholders Forum on CSR, Final Results & Reccommendations, 2004.
562 S. MacLeod, Corporate responsibility within the European Union Framework, cit., 550.
563 Il Report conclusivo si apre con la seguente dichiarazione: «There are some differences and debates that remain. Members of the Forum expressed their views about the merits and limitations of this Report in their speeches and statements made on the occasion of the plenary meeting of the Forum». European Multistakeholders Forum on CSR, Final Results & Reccommendations, cit., nota 37.
564 O. de Schutter, Corporate Social Responsibility: European Style, cit.,
«Because CSR is fundamentally about voluntary business behavior, an approach involving additional obligations and administrative requirements for business risks being counterproductive and would be contrary to the principles of better regulation. Acknowledging that enterprises are the primary actors in CSR, the Commission has decided that it can best achieve its objectives by working more closely with European business […] »566.
Tale Comunicazione si inserisce nel mutato scenario disegnato dal processo di Lisbona. Dopo il 2005, infatti, a seguito della constatazione dei limitati risultati raggiunti, la strategia di Lisbona ha subito un riassestamento in favore degli obiettivi di crescita economica e occupazione a scapito degli altri due obiettivi inizialmente previsti che erano la sostenibilità ambientale e la coesione sociale567.
Nella nuova Comunicazione, quindi, la Commissione ha ribadito la struttura volontaria della responsabilità sociale e si è dichiarata «consapevole del ruolo prioritario delle imprese nella responsabilità sociale di impresa». La Commissione ha lanciato quindi un nuovo forum per la promozione della CSR, la European Alliance on CSR, nella quale alle imprese viene assegnato un ruolo fondamentale e che segna l’abbandono dell’approccio di partecipazione mista, che era stato la caratteristica del Multistakeholders forum568. Questa però viene percepita come la scelta, da parte della Commissione, delle imprese quali interlocutori privilegiati in materia di responsabilità sociale, scelta già rimproveratale all’epoca del Libro Verde, e, in definitiva, come una vittoria del mondo del business a scapito degli altri attori quali, ad esempio, le Ong in un’ottica di tipo neo-liberistico569. Probabilmente questo passo indietro della Commissione è dovuto anche alla necessità di non limitare ulteriormente la competitività delle imprese europee in favore di una maggiore crescita570.
Il discusso approccio prevalentemente volontaristico della Commissione europea in tema di CSR era stato criticato anche dal Parlamento europeo, che, invece, incoraggiava l’adozione di
566 COM (2006)136, par. 1.
567 Si vedano, in proposito, le conclusioni del Consiglio dell’Unione europea a Bruxelles del 23 marzo 2005 e la Comunicazione della Commissione europea: “Working together for growth and jobs - A new start for the Lisbon Strategy” del 2 febbraio 2005, COM2005/024. O. de Schutter, Corporate Social Responsibility: European Style, cit., p. 28. M. Dieckhoff D. Gallie, The renewed Lisbon strategy and social exclusion policy, in Industrial relation Journal, vol. 38, 2007, 480 e ss.
568 J. Wouters, L. Chanet, Corporate social responsibility: a European perspective, in Northwestern Journal of International Human Rights, vol. 6, n. 2, 262 e ss.
569 O. de Schutter, Corporate Social Responsibility: European Style, cit., p. 12.Cfr. D. Kinderman, Corporate Social Responsibility in EU, 1993-2013: institutional ambiguity, economic crises, business legitimacy and bureocratic politics, in Journal of Common Market Studies, vol. 51, n. 3, luglio 2013.
misure vincolanti sulla responsabilità sociale d’impresa571. Anche dopo il Libro Verde il Parlamento aveva continuato a porre l’accento sulla necessità di strumenti normativi vincolanti in tema di responsabilità sociale, e, nel 2007, aveva affermato che attraverso un potenziamento degli strumenti giuridici in vigore era possibile rafforzare le politiche in materia di responsabilità sociale.
2.2 L’influenza dei Principi Guida sulle politiche in materia di responsabilità sociale di