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Le ragioni di fondo che mi orientano a una interpretazione dell’attuale momento storico del sistema globale come di una incerta ma altrettanto indubitabile fase di transizione sono già state espresse nel secondo capitolo. Questo elemento è essenziale e sarà presente durante tutto il corso dell’analisi, tuttavia, per ragioni di spazio e organicità del lavoro, non può essere approfondito ulteriormente dal punto di vista teorico generale. Ciò che invece è necessario approfondire sono le implicazioni dirette e indirette per l’area latinoamericana, e in particolare per l’ALBA come organizzazione e per i paesi che vi partecipano.

Prendendo in prestito una efficace espressione di Emir Sader (2004a), si può ancora sostenere a sei anni dalla sua formulazione che “il XXI secolo pone l’America Latina di fronte ad alternative contraddittorie, in un quadro internazionale complesso”. Il subcontinente vive oggi un processo critico di trasformazione politica ed economica e forte conflitto sociale in un mondo in cui gli equilibri geopolitici ed economici stanno mutando profondamente. E’ indispensabile cercare di definire alcune caratteristiche chiave dell’area nell’interrelazione concreta tra questi due fattori.

Il quadro generale di riferimento immediato che fa da sfondo all’analisi dell’ALBA-TCP, quindi, è il più vasto processo di trasformazione in atto originato dalle ricorrenti crisi politiche, economiche e finanziarie degli anni ’80 e ’90 – basti pensare al Venezuela del 1989, al Messico del 1994, all’Ecuador a partire dal 1997, al Brasile del 1998 o all’Argentina e alla Bolivia dell’inizio del nuovo millennio – le cui conseguenze più tangibili si sono riflesse in un rallentamento sostanziale della crescita economica e nel diffuso peggioramento delle condizioni di povertà e disuguaglianza sociale nell’intera regione.

In questo contesto, come è noto, è andato maturando un vasto fronte di opposizione al neoliberismo come dottrina economica ed ai suoi strumenti di governo. Nello stesso tempo, si è manifestata tutta la fragilità dei “patti” di transizione post-dittatoriale e dei sistemi partitici che li avevano negoziati e rappresentati, dando luogo a nuovi assetti istituzionali. La scelta di analizzare l’ALBA è da questo punto di vista inscindibile dalla suggestione provocata dalle ripetute vittorie elettorali delle “sinistre” in numerosi paesi, nonché dalla rilevanza politica che ampi movimenti sociali hanno raggiunto anche laddove la loro azione non si è sinora tradotta, se mai lo sarà, in esperienza di governo.

In sintesi, il quadro emerso negli ultimi anni è stato descritto con estrema precisione da Julio Gambina (2008) in questi termini:

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C’è stato un cambiamento sostanziale nel dibattito sull’orientamento dell’economia e della politica nella regione latinoamericana e caraibica. Ciò si spiega, in primo luogo, per la dinamica sociale della resistenza sviluppata in un ciclo di lotte di classe che situiamo tra il “caracazo”, nel 1989, e le rivolte popolari che hanno trascinato con sé alcuni governi sudamericani nei primi anni del XXI secolo, come in Argentina nel 2001, e dopo in Ecuador e in Bolivia. Sono anni di profondi cambiamenti nella correlazione delle forze sociali, politiche e ideologiche […]. Tuttavia pur essendo la dinamica sociale la condizione necessaria delle trasformazioni, non ne spiega la totalità, poiché il dato rilevante scaturisce dalla possibilità politica che questa manifestazione di potere popolare incida nella gestione di governo per disputare un nuovo ordine sociale, tanto locale quanto globale […]. Il dato nuovo della realtà regionale risulta

dall’apparizione di nuovi soggetti politici che iniziano a discutere e riorientare la direzione dell’ordine sociale vigente. (corsivo mio)

L’Alternativa Bolivariana, sotto qualsiasi profilo la si guardi, è diretta espressione di questo movimento. Si dovrà analizzare quindi in che termini vi si inserisce, quali elementi apporta al dibattito e in che modo concretizza la pratica di alternative al modello neoliberale per “riorientare la direzione dell’ordine sociale vigente”.

D’altra parte, però, affrontando la problematica della cooperazione e dell’integrazione, cioè della qualità e degli obiettivi delle relazioni economiche e politiche che in primo luogo Stati sovrani stringono fra loro in nome dello «sviluppo», si pone anche l’esigenza di esaminare l’origine profonda, la natura, i caratteri e i conflitti che questa trasformazione genera e che a molti commentatori ed analisti è parsa, forse prematuramente, una svolta epocale nella storia della regione. Occorre cioè leggere la vicenda dell’America Latina nel suo insieme, in prospettiva storica, come uno dei segmenti del sistema-mondo cercando di isolarne i tratti distintivi con particolare riferimento alla storia del ‘900. Da qui sarà possibile riflettere sulle numerose specificità dei singoli casi nazionali ed esaminarne, infine, la proiezione al livello regionale e, in misura più limitata, internazionale.

Da questo punto di vista, la ricchezza della letteratura elaborata dai diversi filoni del pensiero critico latinoamericano nel concettualizzare i termini dello «sviluppo» e del «sottosviluppo» della regione come risultato delle dinamiche originate dalla precoce partecipazione al sistema capitalista mondiale offre preziose piste e strumenti di analisi. E’ da questa prospettiva che è possibile interpretare tanto la portata e i limiti dei tentativi di integrazione fatti finora, quanto il peso decisivo che nelle relazioni interamericane e internazionali ha esercitato sull’area il “poderoso vicino del Nord”, gli Stati Uniti, dopo l’Impero spagnolo e quello britannico, così come il modo in cui si vanno riconfigurando queste relazioni alla luce dei mutamenti geopolitici e della divisione internazionale del lavoro. Non è un caso d’altronde che nel subcontinente oggi si parli frequentemente di “seconda indipendenza” e che proprio l’arsenale retorico dell’ALBA cerchi di restituire vigenza al messaggio dei padri storici di quella “frustrata” nel XIX secolo.

Nella definizione del contesto della ricerca, le domande a cui ho ritenuto necessario dover dare risposta nel corso del lavoro possono essere così sintetizzate: in che termini i nuovi governi latinoamericani, e in particolare quelli dell’ALBA, costituiscono un blocco comune a livello regionale e internazionale? Quali strade stanno tentando per dare vita a nuove alleanze che, nell’ottica di un’economia globalizzata, si suppone

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possano contribuire tanto sul piano delle politiche interne che della politica estera alla risoluzione di squilibri secolari e al raggiungimento della stabilità e coesione necessarie per agire sulla scena internazionale autorevolmente, in modo duraturo, senza i condizionamenti che ne hanno contraddistinto la storia fino ad oggi? Promuovono una maggiore partecipazione democratica dentro e fuori le istituzioni? Stanno effettivamente realizzando politiche più attente all’equità sociale ed alla redistribuzione della ricchezza nazionale non in chiave meramente assistenziale, ma nell’ottica della sperimentazione di nuovi modelli di sviluppo capaci di riorientare realmente - nelle parole di Gambina - la direzione dell’ordine sociale vigente?

L’eredità economica, politica e sociale del neoliberismo; il rapporto con gli Stati Uniti, le nuove potenze emergenti e fra gli stessi paesi latinoamericani; le relazioni sul piano nazionale e internazionale fra vecchi e nuovi attori politici e sociali; e, infine, i tratti dominanti dei modelli di sviluppo che hanno contraddistinto la storia della regione e le strategie messe oggi in atto costituiscono gli ingredienti fondamentali della discussione.