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Diverse tesi e ipotesi, anche se forse non sempre in maniera del tutto esplicita, sottendono l’analisi condotta nei primi due capitoli e in questo Intermezzo. Riassumendo sinteticamente alcuni punti che considero chiave ribadirei che:

1. Quello di «sviluppo» è un concetto oggi in crisi, però persistente e probabilmente impresso in modo indelebile nell’immaginario collettivo e nel linguaggio delle scienze sociali; è tanto malleabile da poter essere caricato e scaricato di contenuti e in nome del quale vengono intraprese politiche, progetti e, più concretamente, pratiche sociali che possono risultare assai differenti fra loro o addirittura antiteche. In qualunque caso, tali pratiche generano sempre un determinato livello di conflitto perché, in essenza, lo «sviluppo» comporta un processo di trasformazione delle relazioni di potere in una società.

2. La «cooperazione» in generale e non solo la concessione di “aiuti” era e continua ad essere guidata nella grande arena delle relazioni internazionali da criteri e obiettivi che rimandano in primo luogo a parametri politici, geopolitici, economici e strategici. Tanto nel caso della cooperazione Nord-Sud come in quella Sud- Sud, saranno questi a definire forse ancora di più che nel passato le direttrici del futuro sistema di aiuti allo sviluppo così come le forme di cooperazione che ad esso saranno associate. La solidarietà, che pure ne rappresenta una dimensione, date le attuali dinamiche del capitalismo come sistema mondiale, svolge inevitabilmente un ruolo sussidiario e subordinato.

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3. L’insieme di istituzioni, meccanismi e dispositivi che regolano le relazioni tra il Nord e il Sud globale continua a essere in termini generali sfavorevole per quest’ultimo, producendo e riproducendo in diversi campi – commerciale, finanziario, tecnologico, militare, ecc. - ciò che Llistar (2009) definisce “anticooperazione”, eclissando i pochi e perfino discutibili risultati raggiunti dal sistema ufficiale di aiuti allo sviluppo. In questo senso sono utili i concetti di “sviluppo auto-centrato” e “sganciamento” elaborati da Samir Amin, perché in una fase incerta come l’attuale aiutano a descrivere in modo flessibile gli strumenti e le strategie politiche che diversi attori del Sud hanno intrapreso per riequilibrare le relazioni di potere a livello mondiale alla ricerca di una interdipendenza negoziata e non imposta unilateralmente. La cooperazione Sud-Sud e l’integrazione regionale, anche se in nessun caso si intraveda in esse un orizzonte anticapitalista, sono senz’altro fra i più importanti di questi strumenti.

4. Senza ignorarne gli elementi specifici e caratteristici, la cui ricerca costituisce anzi la ragione ultima di questa tesi, l’ALBA deve essere considerata come una manifestazione del processo di riconfigurazione delle relazioni internazionali e dell’economia mondiale; un processo marcato, come sintetizza efficacemente Norman Girvan (2008b), “dal relativo declino del potere degli Stati Uniti e dall’emergere di nuovi poli geoeconomici di influenza”. I segnali di questo cambiamento - continua l’analista di Trinidad e Tobago - sono ovunque:

L’ascesa dell’Asia, e in particolare della Cina e dell’India, è tra i più significativi di questi cambiamenti; così come l’emergere di altri poteri regionali nel Sud Globale includendo il Sudafrica, il Brasile e il Venezuela. Una conseguenza notevole è la capacità decrescente degli Stati Uniti di controllare il corso degli eventi in America Latina e nei Caraibi. Così, d’accordo a un recente rapporto pubblicato dal Consiglio delle Relazioni Internazionali di Washington, “l’era dell’egemonia USA (nella regione) è finita”. (idem)

Tuttavia, alla luce delle trasformazioni regionali e mondiali in corso, non dovrebbe essere sottovalutato l’ammonimento del sociologo messicano John Saxe-Fernández (2009) quando afferma:

Al calore di questa crisi muta l’equazione di potere a livello mondiale con un percettibile deterioramento egemonico degli Stati Uniti […] in due dei fondamenti del loro potere: il dollaro e il Pentagono, la forza militare […]. Il protezionismo regionale in corso, tipo Trattato Americano di Libero Commercio, si accentua nel breve e medio periodo. Si tratta inoltre di regionalismi commerciali, monetari e anche di sicurezza […]. E’ in questo contesto di crisi e contraddizioni, di vincoli e svincoli, che è necessario avere presente la propensione degli Stati Uniti a usare l’America Latina non come “il cortile di casa”, perché è un concetto che non dà la reale dimensione del problema, ma come “riserva strategica” e piattaforma di rilancio dopo l’affossamento militare in Eurasia […]. Sarebbe un errore sottovalutare questa proiezione.

6. Da qui nasce precisamente l’ALBA, come tentativo di dare proiezione regionale, dunque legittimità, voce e una più forte capacità negoziale alla costruzione di una alternativa politica ed economica al modello neoliberale in cui sono impegnati al proprio interno il Venezuela bolivariano e la Bolivia del Movimento al socialismo, recuperando e valorizzando in questo percorso gli aspetti qualitativamente migliori prodotti dalla rivoluzione cubana – l’eccellenza in campo medico ed educativo e un’esperienza cinquantennale di

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cooperazione Sud-Sud - , cercando attivamente l’appoggio di tutte quelle forze politiche e sociali del subcontinente che si riconoscano pienamente o parzialmente in questo progetto. Ciò, come si è detto, è reso possibile dal particolare momento vissuto oggi in America Latina dove si è in presenza, se non di una vera e propria transizione, certamente di un conflitto la cui posta in gioco è il riassetto degli equilibri di potere entrati in crisi negli anni ’90.

7. La maggiore novità rappresentata dall’ALBA consiste nel presentarsi come un meccanismo per coniugare aspetti relativi della cooperazione internazionale allo sviluppo con elementi propri dell’integrazione regionale, considerando insufficienti le risposte date dai modelli tradizionali in entrambi i campi per risolvere i problemi strutturali originati in America Latina dalla particolare forma di inserzione nell’economia-mondo capitalista, ed esasperati negli ultimi tre decenni dalla globalizzazione neoliberale: le asimmetrie tra paesi e le disuguaglianze al loro interno. Un obiettivo che dalla lettura dei documenti ufficiali appare prossimo allo “sganciamento” teorizzato da Amin, fondato non su un improbabile e inverosimile ripiegamento autarchico, ma sulla contrapposizione ai principi neoliberali di specializzazione, commercio competitivo e cooperazione

selettiva e verticale, di altri basati su diversificazione interna e complementarietà con l’esterno, commercio giusto, e cooperazione integrale e orizzontale (priva di condizionalità politico economiche). Questa, in

ultima analisi, costituirebbe una prima specificità dell’ALBA anche in relazione ad altre esperienze di cooperazione Sud-Sud e integrazione che, come si è detto, in più aspetti riproducono il modello squilibrato Nord-Sud.

8. Una seconda specificità riguarda i soggetti a cui si rivolge. L’Alternativa Bolivariana, cioè, ha puntato su una strategia che implica direttamente la partecipazione delle classi popolari, cercando di convertirle nelle principali beneficiarie dell’integrazione. Ciò, evidentemente, ha risvegliato nelle fasce di popolazione più penalizzate dalle politiche neoliberali la sensazione che, per la prima volta, l’integrazione si traduce per esse in benessere diretto ed immediato. Allo stesso modo, i movimenti sociali refrattari o comunque scettici a essere inquadrati negli schemi di partecipazione assegnati alla “società civile” dalla cooperazione ufficiale, trovano nella proposta dell’ALBA, se non una alleata, quantomeno un nuovo interlocutore.

9. L’interpretazione di chi vede in essa il tentativo di cristallizzare in nuove politiche le realtà frammentate di un ampio processo contro-egemonico è quindi sostanzialmente corretta. Come e quanto effettivamente ci riesca è il vero nocciolo della questione, il problema che deve essere e sarà analizzato. Un processo contro- egemonico può essere esemplificato schematicamente come un percorso che si snoda lungo tre fasi consecutive di resistenza e progressiva costruzione di reti alternative rispetto a un modello dominante, per culminare nell’istituzione di nuove politiche. L’ALBA sembra essere passata dal momento della resistenza, come progetto alternativo regionale a quello emisferico proposto dagli Stati Uniti con l’ALCA – i cui contenuti, però, erano ancora sostanzialmente indeterminati - , a quello della costruzione di reti alternative – le relazioni bilaterali Cuba-Venezuela come modello a cui poco a poco si sono associati altri paesi - , e si muove ora lentamente verso l’istituzione di nuove politiche. Il passaggio da una fase all’altra, in ogni caso, non è automatico, né implica il superamento o l’esaurimento delle fasi precedenti, per cui i tre momenti si sovrappongono e influenzano reciprocamente nella dialettica concreta fra gli attori coinvolti.

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10. L’ALBA sembrerebbe avere notevoli potenzialità di sviluppo nel sociale, come mostra il successo (non privo tuttavia di numerosi elementi da chiarire) degli accordi di cooperazione in campo medico ed educativo, tra l’altro non circoscritti ai soli paesi membri e che in termini generali sono apprezzati anche dai critici. L’utilizzo di risorse strategiche in chiave non strettamente mercantilista – il petrolio venezuelano e l’alto livello professionale cubano in diversi settori - per finanziare ed implementare programmi sociali rappresenta una modalità per superare alcuni dei limiti della tradizionale cooperazione allo sviluppo Nord-Sud. Fino a un certo punto, in effetti, elimina la tradizionale dicotomia donante/recettore. E anche rispetto all’integrazione classica, la priorità data al sociale deve essere sottolineata come un elemento specifico e positivo in quanto pare subordinare e posticipare gli interventi in campo commerciale ed economico ad obiettivi il cui fine è il soddisfacimento dei bisogni delle popolazioni più povere.

11. Tuttavia, la vera posta in gioco dell’ALBA riposa sulla possibilità di costruire un progetto alternativo e sostenibile (economicamente ed ecologicamente) non solo nella sfera sociale – cosa che con alcune novità andrebbe semplicemente ad affiancare la cooperazione tradizionale - ma anche a quella energetica, produttiva, commerciale e finanziaria, per incidere sugli ostacoli strutturali allo sviluppo rappresentati dalla partecipazione subordinata al sistema capitalista mondiale. Solo così sarebbe possibile superare la pericolosa dipendenza dal petrolio venezuelano attraverso cui oggi si finanzia la quasi totalità degli interventi.

12. Si tratta quindi di un progetto ancora incerto tanto nei contenuti quanto imprevedibile nell’implementazione e consolidazione delle nuove pratiche da istituire. In una parola, un modello embrionale in fase di definizione e sperimentazione che, muovendo da una cooperazione integrale, non condizionata e orizzontale, punta verso un’integrazione alternativa. In questo senso, la complementarietà, la

solidarietà e il commercio giusto fra Stati – cioè l’insieme dei principi che costituirebbero il fulcro di una

ragionevole alternativa - necessitano di un approfondimento teorico, la cui pratica, in ogni caso, già in modo intuitivo stride fortemente con le relazioni politiche ed economiche dominanti in un mondo integralmente strutturato dalla logica capitalista di accumulazione e scambio nella fase di globalizzazione.

13. E’ questo un aspetto essenziale che non sfugge agli analisti più attenti. Così, per esempio, ha precisato Atilio Borón (2008) che “di fronte a una novità carica di speranze come l’ALBA, è assolutamente necessario non cadere in pericolosi trionfalismi che possono compromettere l’imprescindibile realismo col quale sarà necessario stimolare e sviluppare queste iniziative”. Tale imprescindibile realismo è intimamente legato alla diversità di spazi già richiamata da Estay (2008b) “nei quali lo sviluppo dell’ALBA si trova ad affrontare condizioni, possibilità e difficoltà distinte”.

14. Concretamente, nell’analisi, è possibile individuare tre livelli fondamentali che costituiscono altrettante variabili o incognite: quello dei processi nazionali e di integrazione regionale da un lato, e l’incerto scenario economico politico internazionale dall’altro. Ognuno di essi presenta dimensioni specifiche manifeste o latenti di conflitto che orientano, rafforzando o indebolendo, in ogni caso influenzando in modo determinante il movimento reale dell’Alternativa Bolivariana.

15. Da qui si possono iniziare ad analizzare le convergenze tattiche e le divergenze di fondo su aspetti chiave dell’attuale momento storico – politica delle risorse, commercio, ruolo dello Stato ecc. – che rendono così

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frammentato e almeno in apparenza ancora carente di senso strategico il panorama dell’integrazione in America Latina. In questo senso, l’Alternativa Bolivariana potrebbe rappresentare un banco di prova per sperimentare politiche di cooperazione ed integrazione realmente differenti, raccogliendo il consenso e rappresentando gli esclusi dagli accordi tradizionali non solo all’interno dei paesi membri. Oppure, nel clima di incertezza dei processi locali, regionali e internazionali in cui sta muovendo concretamente i primi passi, diluirsi in una timida opzione riformista sussidiaria di altri schemi, per rispondere a interessi costituiti o a nuovi che vanno emergendo dal calderone in ebollizione delle diverse realtà nazionali che, tuttavia, poco avrebbero a che fare con le istanze di cambiamento proclamate.