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Lo sguardo a Sud della resistenza venezuelana (inventando l’ALBA)

6. Il metodo

3.6. Lo sguardo a Sud della resistenza venezuelana (inventando l’ALBA)

Il progetto bolivariano, di cui l’attuale presidente del Venezuela Hugo Rafael Chávez Frías è stato sin dai tempi della costituzione del MBR-200 (Movimento Bolivariano Rivoluzionario) ideatore e infaticabile promotore, avanza una proposta di politica estera latinoamericanista in ambito regionale e multipolare in quello internazionale.

Come segnala Margarita López Maya (2007), “rivolgere nuovamente lo sguardo a Sud e rimodellare gli obiettivi di sviluppo per renderli compatibili a condizioni e richieste di paesi che, come il nostro, sono stati periferici nel sistema capitalista mondiale, rappresenta un cambiamento storico per la società venezuelana”. Non che il Venezuela fosse stato ai margini delle correnti politiche terzomondiste e dei processi di integrazione regionale negli anni ’60 e ‘70, tutt’altro, ma “sebbene la ricerca di legami più stretti con […] i vicini andini e caraibici abbia avuto degli antecedenti nel corso del XX secolo, e incluso del XIX, dati […] i vincoli storici derivanti da una cultura condivisa, tuttavia ciò non ha mai trovato la volontà politica ed economica necessaria che sostenesse nel tempo tale ricerca”. (idem)

Per la studiosa venezuelana esiste una ragione di fondo molto semplice in linea con quanto affermato nel paragrafo precedente: “Le nostre società – dice – furono costruite attraverso un processo di colonizzazione e, per questo, sono concettualmente orientate a guardare verso il Nord”.

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La nostra geografia umana è eloquente in questo senso, le nostre città sono vicine ai porti di imbarco che trasportano le merci in Europa e, nel XX secolo, negli Stati Uniti. In cambio, siamo condizionati, in particolar modo le nostre elite e classi dominanti, per ricevere da fuori i beni elaborati, siano essi materiali o immateriali, come le idee, la cultura, le innovazioni, le mode, i modelli, attraverso i quali cerchiamo di orientarci. (idem)

Nel caso specifico del Venezuela, dai primi del ‘900 importante Stato petrolifero, questa considerazione appare particolarmente indovinata. Anche in tempi recenti, infatti, a dispetto di una politica sviluppista di sostituzione delle importazioni perseguita almeno fino alla fine degli anni ’70, qualsiasi dato a disposizione mostra in modo eloquente un paese specializzato nell’esportazione di materie prime e importatore netto di manifatture e alimenti avendo come mercato “naturale” gli Stati Uniti. (Briceño; Linares, 2004)

Vinte le elezioni nel 1998, la coalizione bolivariana si trovava a dover declinare la propria proposta di politica estera concretamente, da una posizione di governo, in un momento in cui i negoziati per l’ALCA erano in piena marcia e verso i quali fino ad allora una seria opposizione da parte venezuelana, pur timidamente espressa dal presidente Caldera, era considerata improbabile se non addirittura impensabile.

Ricorda Judith Valencia (2008), che in quella fase ha svolto un importante ruolo politico come consulente della Cancelleria presidenziale, che i venezuelani devono molto alla resistenza messicana contro il TLCAN, perché a quell’epoca anche in ambito chavista non c’era piena coscienza e una linea chiara. “Non capivamo, non sapevamo. Dico noi, al plurale, non c’era coscienza di questa dimensione. Questo lo dicono le carte, perché ancora nel 2002 Chávez manifesta lodi all’ALCA, perché la gente che lavorava nella Cancelleria indirizzava lodi all’ALCA”. D’altronde, la mancanza di trasparenza e pubblicità nei negoziati è sempre stata denunciata da più parti. In effetti, solo nel 2001, dopo una forte pressione dei movimenti di base, è stata resa pubblica la prima bozza del Trattato, senza che però fosse possibile conoscere con precisione quali paesi avessero introdotto le singole disposizioni e quali fossero le strategie di negoziazione dei rispettivi governi. In più occasioni, inoltre, lo stesso presidente venezuelano dichiarerà come nei primi anni di mandato, le sue precoci critiche al Trattato di Libero Commercio rappresentassero una voce marginale e solitaria. La “svolta a sinistra” in un significativo numero di paesi della regione era ancora da venire. Ciononostante, proprio a partire dal 2001, il governo bolivariano inizia a tessere le fila di un abile lavoro politico-diplomatico.

Nel III Summit delle Americhe dell’aprile di quell’anno, in Quebec, oltre a menzionare per la prima volta l’ipotesi di un progetto alternativo, Chávez firma la Dichiarazione finale con due riserve: non accetta la limitazione posta al carattere rappresentativo della democrazia (la Repubblica Bolivariana aveva da poco concluso un processo costituente nel quale, con l’introduzione nel nuovo testo di principi generali e istituti specifici, la democrazia è definita rappresentativa e partecipativa), e non approva la data fissata al 2005 per la chiusura dei negoziati.

Pochi mesi dopo, a dicembre, durante il III Vertice dell’Associazione degli Stati Caraibici nell’isola di Margarita, il discorso venezuelano diventa più esplicito. Qui Chávez pone chiaramente sul tavolo la necessità di pensare un’alternativa all’ALCA, richiamandosi al testamento politico del suo ispiratore Simón Bolívar.

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Questo modello neoliberale non può essere la base né il quadro per i nostri modelli di integrazione. Non può essere, è impossibile che per integrarci mettiamo al primo posto l’economia. Non è l’economia che ci farà integrare, e meno che mai le nostre economie piene di debolezze, di vulnerabilità. No, credo che si impone nuovamente ciò che potremmo chiamare la rivincita della politica, che la politica torni alla carica e assuma l’avanguardia nei processi di integrazione. Questa è l’idea di Bolívar. Ed è l’idea originale di molti altri uomini e donne del nostro Continente, dei nostri Caraibi, però proprio come la manifestava Bolívar nella Lettera di Giamaica, 1815 […]. Un patto politico è ciò che ci vuole oggi come era ciò che ci voleva allora, una integrazione alla bolivariana. L’ALCA, per esempio, è questo il cammino? No. Vogliamo un modello che ci integri veramente. Non un modello che ci disintegri, che integri alcuni a spese della disintegrazione degli altri, questo non può essere il cammino, pertanto con molta modestia e umiltà proponiamo dal Venezuela, ai caraibici e ai latinoamericani, di iniziare a pensare una buona volta ad un’altra alternativa perché crediamo che questa non sia possibile. E’ quando c’è venuto in mente di lanciare una proposta, che potrebbe chiamarsi ALBA, Alternativa Bolivariana per le Americhe. Un nuovo concetto di integrazione che non è per nulla nuovo, si tratta di far nascere o far nascere nuovamente un sogno che crediamo possibile, si tratta di un altro cammino, si tratta di una ricerca, perché certamente per noi l’integrazione è vitale: O ci uniamo o affondiamo. Scegliamo dunque le alternative. (cit. in Bossi, 2009)

Nella Dichiarazione finale del Vertice non rimane traccia scritta della proposta venezuelana, tuttavia si avanzano alcune richieste relative all’ALCA in merito al trattamento speciale e differenziato. Anche il presidente della Guyana, Bharrat Jagdeo, mette in questione il modello statunitense. Inoltre, la presenza di Fidel Castro, oltre a far sì che nel documento conclusivo fosse inclusa la condanna dell’embargo a Cuba, stimola la riflessione critica sui trattati di libero commercio. (Serbin, 2006) Soprattutto, in diversi punti vengono sottolineate le importanti azioni intraprese dalla Repubblica Bolivariana per creare un sistema di cooperazione solidale con la firma dell’Accordo di Cooperazione Energetica di Caracas, stipulato con dieci paesi dell’area centroamericana e caraibica il 19 ottobre del 2000, e il ruolo svolto durante i negoziati per l’individuazione di un meccanismo di cooperazione attraverso il quale l’AEC avrebbe avuto accesso alle risorse del Fondo OPEC per lo Sviluppo Internazionale. (Galanti, 2008)

Un anno e mezzo dopo, il 24 maggio del 2003, durante il XVII Vertice del Gruppo di Rio riunito a Cuzco, ex capitale dell’impero incaico in Perù, il leader venezuelano insiste per lasciare evidenza della riserva assoluta con cui sottoscriveva a nome del suo paese il documento finale, motivando tale scelta a causa delle divergenze sui criteri di governabilità democratica, difesa e consolidamento della democrazia stabiliti nell’ALCA e nell’OMC, e sul rispetto all’autodeterminazione dei popoli. (Valencia, 2005a) Appena un anno prima, il 12 aprile del 2002, in nome della democrazia il governo bolivariano era stato vittima di un colpo di Stato durato soltanto quarantotto ore che certamente, se non in modo esplicitamente diretto, aveva ricevuto il via libera e immediato riconoscimento dell’amministrazione statunitense.

Nella Dichiarazione di Nuevo León, firmata il 13 gennaio del 2004 a Monterrey, in Messico, durante il Summit straordinario delle Americhe, l’opposizione venezuelana diventa totale: “La Repubblica venezuelana pone riserva sul paragrafo relativo all’ALCA per ragioni di principio e differenze profonde riguardo i concetti e la filosofia contenuta nel modello proposto”. (idem)

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Ma già nella riunione straordinaria dei capi di Stato e di governo dell’ALADI, a Montevideo, il 16 agosto del 2003, il presidente Chávez aveva esposto alcuni concetti generali della proposta alternativa lanciata due anni prima nell’isola di Margarita.

Durante l’intervento sposta la tradizionale riflessione sull’integrazione, incentrata sull’economia ed il commercio, verso due temi a suo avviso irrinunciabili: un elemento endogeno, così lo definisce – “come si fa ad integrare in un corpo più grande un insieme disgregato?” si chiede, riferendosi alla necessità di ricostruire e restituire allo Stato un ruolo regolatore all’interno e pienamente sovrano all’esterno - ; e collegato al primo, uno sociale – “che fare con gli esclusi? Ha per caso l’ALCA qualche proposta verso gli esclusi di sempre, che sono milioni?” - . Proponeva queste due tematiche proprio nel Foro di un’organizzazione la cui missione, dal 1960 come ALALC e dal 1980 trasformata in ALADI, è esclusivamente l’integrazione commerciale. Quindi, dopo avere presentato i progetti allora appena agli inizi realizzati in Venezuela con l’apporto della cooperazione cubana in campo sanitario ed educativo, affermava: “Io propongo di cominciare a dibattere questo tema, aree libere da analfabetismo, aree libere da denutrizione infantile, aree libere da gente senza casa, aree libere da distruzione ecologica. Credo che il cammino sia questo […] molto prima di un cammino verso l’integrazione in zone di libero commercio, per affrontare con successo la sfida di un mondo multipolare, di questo si tratta, un mondo multipolare”, introducendo la tematica delle relazioni politiche internazionali ed esortando ancora una volta a prendere seriamente in considerazione l’idea di dare vita alla “Patria Grande” immaginata da Bolívar, da edificare sul potenziale umano e di risorse naturali possedute dai paesi latinoamericani.

Credo fermamente che in questo continente, Sudamerica e Caraibi, ci sia sufficiente potenziale: in primo luogo umano, in secondo luogo di ricchezze naturali, per fare diventare realtà quel sogno che Bolívar lanciò a Kingston. […] non è retorica e nient’altro, non sono solamente idee. Come sarebbe se noi – l’ho detto una e cento volte – con il Brasile, la Colombia, il Perù, l’Ecuador […] riuscissimo a formare Petroamerica. Che forza avremmo con una impresa petrolifera multistatale in Sudamerica […]. Per farlo, però, occorre un passo deciso verso un grado superiore di volontà politica, azzardiamoci a farlo! (Chávez, 2003a)

Un tema, come si è visto, che ritorna frequentemente, considerato che già in diverse altre occasioni aveva sostenuto la convenienza di avanzare in modo audace verso il “politico”. “Molto più importante, prioritario, molto più urgente della conformazione di un necessario spazio economico è la conformazione di un solido blocco, di un solido spazio politico” dichiarava già nel 1999. (Ministerio de Relaciones Exteriores, 2000) Adesso, però, facendo riferimento al petrolio, cioè all’integrazione energetica come uno dei possibili elementi di forza.

Coerente con il progetto di rifondazione del Venezuela e con il nuovo indirizzo impresso alla sua politica estera, l’Alternativa Bolivariana, più che un programma concreto di azione, è in questa fase di resistenza/gestazione il tentativo di stimolare un atteggiamento differente nei rapporti regionali per riaccendere il dibattito latinoamericano. Un atteggiamento caratterizzato dalla determinazione politica di interpretare l’integrazione come un processo multidimensionale, da guidare con gli strumenti di uno Stato

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riformato che, nella prospettiva di costruire un mondo multipolare di blocchi regionali di paesi indipendenti e sovrani, attraverso la valorizzazione comune del potenziale di risorse presenti in America Latina, ha come fine prioritario saldare il debito sociale contratto con le fasce di popolazione emarginate e maggiormente colpite da un ventennio di politiche ultra liberiste.

E’ ora di ripensare e reinventare i deboli e agonizzanti processi di integrazione regionale e subregionale, la cui crisi è la più chiara manifestazione della carenza di un progetto politico condiviso. Fortunatamente, in America Latina e nei Caraibi soffia il vento a favore per lanciare l’ALBA come un nuovo schema integratore che non si limiti al mero dato commerciale ma che sulle nostre radici storiche e culturali comuni, punta lo sguardo verso l’integrazione politica, sociale, culturale, scientifica, tecnologica e fisica. (Chávez, cit. in Colussi, 2005)

L’insieme degli spunti tratti dai numerosi interventi di Chávez nei vari fori internazionali dall’inizio del primo mandato al 2003, sono raccolti e sistemati organicamente dopo l’incontro di Montevideo in un documento pubblicato dalla Presidenza della Repubblica intitolato De la Integración neoliberal a la

Alternativa Bolivariana para las Américas, e sottotitolato Principios rectores del ALBA.

Il documento si apre con un richiamo a José Martí, padre dell’indipendenza cubana, di cui si cita il suggestivo ammonimento del 1889:

Non c’è mai stata in America dall’indipendenza ad oggi, questione che richieda maggiore buon senso, né obblighi a più stretta vigilanza, né esiga esame più chiaro e minuzioso, dell’invito che i potenti Stati Uniti, carichi di prodotti invendibili e determinati a estendere il loro dominio in America, fanno alle nazioni americane meno potenti.

Nei dodici punti del documento vengono presentate le basi della proposta bolivariana, poi riprese e abbozzate secondo aree tematiche in uno schema comparativo preparato dal segretario esecutivo della Commissione “Venezuela frente al ALCA” dell’Assemblea nazionale.

Si afferma espressamente che l’ALBA centra la propria attenzione nella lotta alla povertà e all’esclusione sociale. Viene posto l’obiettivo di “attaccare alla radice gli ostacoli all’integrazione”, individuati proprio nella povertà, nelle diseguaglianze e asimmetrie tra paesi, nello scambio ineguale e nelle condizioni inique delle relazioni internazionali, nel peso del debito estero, nell’imposizione da parte del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale delle politiche di aggiustamento strutturale e delle regole dell’Organizzazione Mondiale per il Commercio, negli ostacoli frapposti dagli accordi di proprietà intellettuale per avere accesso all’informazione e alla tecnologia e, infine, nei problemi creati dai grandi monopoli sui mezzi di comunicazione al consolidarsi democratico. Quest’ultimo aspetto è da mettere in relazione con il tentato colpo di stato in Venezuela già menzionato, appoggiato dai grandi gruppi mediatici del Paese, la maggior parte dei quali fa capo o è partecipato da multinazionali straniere.

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Gli ultimi cinque punti si riferiscono al ruolo dello Stato. Modellati sulla base dell’esperienza in corso in Venezuela, viene sostenuta l’urgenza di affrontare ciò che nel vocabolario neoliberale è definita “riforma”, ma che in America Latina ha portato “a brutali processi di deregolamentazione, privatizzazione e scomposizione delle capacità pubbliche di gestione”, imponendosi, ora, la necessità di un loro rafforzamento “con alla base la partecipazione del cittadino negli affari pubblici”. (Chávez, 2003b)

Infine, si dice che per rendere più profonda l’integrazione, occorre “una agenda economica definita in modo sovrano dagli Stati”, poiché senza il loro intervento diretto “per ridurre le disparità tra paesi, la libera concorrenza tra diseguali non può che condurre al rafforzamento dei più forti pregiudicando i più deboli”. Quindi, uno degli aspetti più rilevanti della proposta venezuelana consiste nella creazione di Fondi Compensatori o di Convergenza Strutturale come meccanismo per ridurre le asimmetrie tra livelli di sviluppo e settori produttivi esistenti nella regione. Il trattamento speciale e differenziato, cioè, è considerato non solo su un piano nazionale, ma fra regioni e settori, produttivi e sociali. (idem)

Nello schema riportato di seguito, come si vede, vengono messe a confronto le due proposte accentuandone la contrapposizione in rapporto alle aree sensibili interessate o ignorate dall’ALCA, comunque ritenute pregiudizievoli per gli interessi dei paesi latinoamericani.

Dalla lettura risulta evidente che, parallelamente alle considerazioni di ordine geopolitico, le ragioni “tecniche” della bocciatura del progetto statunitense sono riconducibili fondamentalmente a tre fattori: l’opposizione ad ulteriori liberalizzazioni, il rifiuto di vedere limitato il potere di regolazione dello Stato e, infine, la necessità di armonizzare la relazione di quest’ultimo con il mercato. (Altmann, 2008; Briceño; Linares, 2004) La formula utilizzata infatti è “tanto Mercato quanto sia possibile, tanto Stato quanto è necessario”.

Il documento si chiude con la raccomandazione di posticipare la data fissata al 2005 per la conclusione dei negoziati, di dare maggiore trasparenza all’intero processo pubblicando i rapporti confidenziali, di vincolare espressamente il Trattato agli accordi vigenti in materia di protezione sui diritti umani e l’ambiente, e di creare dei Fondi di Convergenza Strutturale per la correzione delle asimmetrie.

In questa fase, nonostante emerga con estrema chiarezza l’inconciliabilità fra i due approcci, non è ancora chiaro se la posizione venezuelana aspiri realmente alla creazione di uno schema di integrazione antagonista all’ALCA o soltanto a una sua riforma.

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INTEGRAZIONE NEOLIBERALE ALBA

- Liberalizzazione del commercio e degli investimenti; - Promuove la lotta contro la povertà;

- Non tiene in considerazione le asimmetrie tra Paesi; - Non ci può essere un'area di libero commercio se non si correggono le asimmetrie;

- I diritti commerciali prevalgono sui diritti umani e delle persone;

- Preserva l'autonomia e l'identità latinoamericana;

Accesso ai mercati

- Eliminazione totale dei dazi come strumento per la difesa della produzione nazionale;

- Non è possibile eliminare i dazi mentre i grandi Paesi mantengono sussidi e aiuti interni;

- Eliminazione delle misure non tariffarie e altri meccanismi per proteggere l'apparato produttivo;

- Mantiene l'uso del dazio delle quote delle licenze e altre misure non tariffarie come strumenti per la promozione e protezione dell'agricoltura e dell'industria;

- Non offre appoggio per rafforzare la concorrenza;

Investimenti

- Eliminazione dei controlli e dei requisiti di adempimento sugli investimenti esteri;

- Rimangono condizionati a: l'acquisizione di materie prime, beni e servizi nazionali; il trasferimento tecnologico e l'assistenza tecnica; la formazione di risorse umane;

- Attribuisce diritti speciali al capitale per chiedere allo Stato interventi per l'applicazione di requisiti di adempimento, sul lavoro, sociali, ambientali e di qualsiasi natura che regoli l'investimento;

- L'investitore straniero non potrà fare richieste in deroga a leggi e regolamenti di interesse pubblico;

Servizi

- Liberalizzazione totale del commercio dei servizi (finanziari, telecomunicazioni, di consulenza, ingegneria, turismo, educazione, sanità, ecc.);

- Si manterranno come servizi pubblici tutti quelli indispensabili alla popolazione così come lo determina la Costituzione e le sue leggi;

- Eliminazione delle leggi nazionali e politiche del governo che influiscano sui meccanismi del mercato come principale regolatore;

- Si assicura un margine adeguato di protezione per questo tipo di servizi e si esclude la liberalizzazione che impedisca l'accesso a servizi strategici (salute, educazione, giustizia, sicurezza);

- Si assicura la potestà degli Stati per regolare, attraverso leggi

e regolamenti, i distinti settori dei servizi;

Commesse pubbliche

- Aprire il mercato pubblico alle imprese straniere: rinunciare a questa leva per riattivare l'apparato produttivo e l'occupazione;

- Hanno priorità le imprese nazionali come fornitrici degli enti pubblici;

- Trattamento nazionale alle imprese transnazionali: potrebbero partecipare a qualsiasi appalto con una quantità minima di restrizioni;

- Tutela dei settori strategici per il loro impatto moltiplicatore sugli altri settori economici e occupazionali;

Agricoltura

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- Si esige l'eliminazione dei dazi, licenze e quote in tempi perentori però le principali potenze si rifiutano di eliminare i rovinosi sussidi e aiuti interni che distorcono i prezzi internazionali;

- L'agricoltura è una attività fondamentale per la sopravvivenza della Nazione: è molto più della produzione di merci;

- I Paesi in via di sviluppo sono obbligati ad eliminare gli strumenti politici per proteggere i propri produttori il che amplifica gli effetti negativi dei sussidi che concedono le grandi potenze;

- E' il fondamento per la tutela di opzioni culturali, una forma di occupazione del territorio e relazione con la natura, riguarda la sicurezza e la sovranità alimentare;

- Sovranità e sicurezza alimentare, trattamento speciale e

differenziato, esclusione dei prodotti sensibili;

Proprietà intellettuale

- Privilegia l'interesse delle grandi corporazioni transnazionali; - Gli accordi non potranno ostacolare la diffusione del progresso scientifico e tecnologico;

- Impedisce l'appropriazione sociale dei risultati della ricerca scientifica e tecnologica. Ostacola il trasferimento di tecnologia;

- I governi mantengono il diritto di attribuire licenze