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La continuità e la discontinuità del tempo e della durata fondate su

L’argomento della sovrapposizione del discreto sul continuo anche nella dimensione temporale, che ricorrere nella fisica e nella metafisica, funge da trait d’union con la fisica acustica: due o più corpi sollecitati devono vibrare per una certa durata, anche molto breve, prima di produrre una consonanza, la quale viene colta in un instans, ossia nel punto geometrico di congiunzione delle vibrazioni. Il punto temporale, come quello dello spazio cartesiano, è un’approssimazione e scaturisce dall’applicazione del metodo geometrico alla fisica. Inoltre, la differenza che Descartes delinea nei Principia tra durata e tempo permette di comprendere come il secondo possa intendersi anche come modo soggettivo di pensare la durata per quantità discrete o per quantità continue, senza che questo comporti una sua corpuscolarità, ma solo una discontinuità ontologica.

La nostra ricerca sulla continuità e discontinuità del tempo e della durata nasce dall’esigenza di fondare la distinzione instans-momentum sull’interpretazione dei Principia, discostandosi dalla tradizionale lettura metafisica basata sulle Meditationes e sull’impiego della definizione aristotelica di ‘parte’ e ‘istante’. Quest’ultima si è concentrata sull’esame dell’atto divino di conservazione continua della durata della res cogitans nelle Meditationes e in parte dell’epistolario: leggendo la struttura cartesiana del tempo a partire dalla temporalità dell’intuito, dalla natura del dubbio e dalla durata del pensiero, ha negato l’identità stabilita in precedenza tra instans e momentum.

Jean-Marie Beyssade e Jean-Luc Marion, assumendo la definizione aristotelica, ritengono che anche in Descartes momentum sia ‘parte’ di tempo455 e

454 Principia III, §47, pp. 102-103 (i corsivi sono nostri).

455 JEAN-MARIE BEYSSADE, La philosophie première de Descartes, Paris,

Flammarion, 1979, p. 136: «le présent de la pensée n’est pas un point dans le temps, il est une partie du temps ou un moment». Riprende la contrapposizione tra parte di tempo e istante,

dunque distinto da instans: ancorché brevissimo tempo, pur sempre dotato di una propria durata. Questa definizione è congeniale all’analisi che entrambi compiono sulla temporalità del motus cogitandi, dell’intuizione del cogito sum che avviene in un momento e non in un istante456. Gli esiti ai quali conducono i loro studi hanno il merito di ridefinire la questione della temporalità cartesiana, abbandonando la tradizionale definizione formulata nel quadro della discontinuità. Agli antipodi rispetto alla famosa interpretazione proposta da Jean Wahl457, già Jean Laporte458 aveva avanzato una tesi polemica nei confronti della lettura discontinuista del tempo, ma nella sua ricerca non distingueva instans e momentum (egli rovesciava i termini dell’identificazione attribuendo al primo una certa durata) e proponeva un approssimativo parallelismo tra negazione dell’atomismo spaziale e negazione dell’atomismo temporale. La definizione laportiana dell’istante era inconciliabile – come, d’altronde, aveva già rilevato Martial Gueroult459 – con la teoria della velocità istantanea della luce; inoltre, l’argomentazione concernente l’atomismo spaziale – negato da Descartes in virtù dell’onnipotenza divina – è del tutto differente da quello relativo alla divisione della durata in piccole parti, la quale non si appella mai esplicitamente a tale attributo divino e intende invece sottolineare da un lato la differenza tra durata divina (tota simul, istante indivisibile) e res create (durata discontinua e contingente), dall’altro lato il ricorso alla metafisica per fornire una garanzia divina all’esistenza del cogito e della res extensa, entrambe prive della capacità di auto-sussistenza. Ma neppure Gueroult aveva distinto momentum e instans, definendoli entrambi come punti temporali indivisibili e riducendo il movimento di un corpo nello spazio ad una serie di punti geometrici giustapposti, di «états géométriques» (come tali negazione di movimento), concezione a sua volta però inconciliabile – come sarà mostrato più avanti – con la definizione cartesiana di linea come movimento di un punto e di moto come ‘trasporto’ di un corpo460. Egli si appoggiava agli studi condotti da Koyré sul moto che, sviluppando la tesi di Wahl e insistendo sulla definizione di movimento come ‘stato’ – in contrapposizione al

evocando la definizione aristotelica di istante, anche ROBERTO RICCI, Verità e durata. La

teoretica del tempo in Descartes, «Annali della Scuola Normale», II, 1993, pp. 169-171. 456 Sulla certezza del cogito e la dimensione dell’intuito si vedano J.-M. BEYSSADE, op. cit., pp. 129-176; J.-L.MARION, Sur le prisme métaphysique de Descartes, Paris, Presses Universitaires de France, 1986, pp. 180-202.

457 J. W

AHL, Du rôle de l’instant dans la philosophie de Descartes, cit..

458 JEAN MARIE FRÉDÉRIC

LAPORTE, Le Rationalisme de Descartes, Paris, Presses Universitaires de France, 1950².

459 M

ARTIAL GUEROULT, Descartes selon l’ordre des raisons, 2 voll., Paris, Aubier,

1953, vol. I, pp. 272-274.

460 Ivi, p. 277: «Il n’y a pas transport du corps, mais celui-ci est créé ici, puis il est

movimento come ‘processo’ negli antichi –, parlava di moti geometrizzati e atemporali461.

Malgrado i risultati concernenti la temporalità in Descartes raggiunti agli inizi degli anni Ottanta, gli studiosi della metafisica cartesiana non hanno problematizzato l’impiego del termine momentum nell’opera del filosofo francese. In primo luogo, in gran parte della tradizione scientifica cinque-seicentesca momentum temporis è sinonimo di istante ed è ritenuto equivalente al punto per la grandezza fisica e al nunc per il tempo462. In secondo luogo, né l’epistolario né, ancor meno, le Meditationes consentono di stabilire tale distinzione, possibile invece attraverso l’esame dei Principia che presentano numerose occorrenze di momentum e permettono una chiara differenziazione dall’instans – che compare invece solo quattro volte, tre delle quali in relazione al moto rettilineo.

La definizione cartesiana di tempo e durata è valida per entrambe le res poiché la durata è un ‘attributo’ della res che esiste e che dura, sia essa cogitante o estesa (Principia I, §§55-57), e il tempo è un ‘modo’ con cui pensiamo la durata di ogni cosa: «Ita, cum tempus a duratione generaliter sumpta distinguimus, dicimusque esse numerum motus, est tantum modus cogitandi; neque enim profecto intelligimus in motu aliam durationem quam in rebus non motis»463. È dunque improbabile che momentum, senza alcuna avvertenza da parte dell’Autore, sia impiegato, a seconda del contesto, in modi tra loro inconciliabili (breve durata per la res cogitans e punto inesteso per la res extensa). Inoltre, medesima è anche la temporalità con la quale concepiamo l’intervento di Dio nell’opera di conservazione continua di entrambe le res, le durate delle quali si differenziano poi dalla duratio Dei che è boezianamente tota simul.

Occorre premettere che in questo studio non intendiamo intraprendere una trattazione della temporalità sulla falsariga della concezione geometrica dell’estensione, e ciò per plurime ragioni. In primo luogo, sarà posta la distinzione tra il tempo come ‘modo’ e la durata come ‘attributo’ delle res. In secondo luogo, verrà discussa la semplificatrice riduzione dei fenomeni fisici a stati geometrici atemporali, la quale trascura la differenza tra concezione geometrica dello spazio (basata sulla continuità del moto) e approssimazione aritmetica delle coordinate (staticità accettata solo in quando funzionale alla descrizione delle curve). Infine, l’analisi del momentum temporis condotta non solo sul cogito ma anche sulla res extensa si fonda sulle definizioni cartesiane di ‘nozioni particolari’ e ‘nozioni generali’, le quali

461 Š.A. KOYRÉ, Studi galileiani, cit., p. 131.

462 Nelle traduzioni latine di Aristotele (Nova Translatio di Guglielmo di Moerbeke,

Argiropulo, Agostino Nifo, Giulio Pace), autori rinascimentali quali Francesco Patrizi e Francesco Piccolomini impiegano momentum per indicare l’istante e gli indivisibili. Per un’analitica ricostruzione del significato assunto da momentum anche come istante temporale da Aristotele a Galilei si veda P.GALLUZZI, Momento, cit., pp. 3-149.

accomunano tutte le res create in base alla durata e, al contempo, distinguono questa dall’estensione spaziale464.

Ex iis quae tanquam res consideramus, maxime generalia sunt substantia,

duratio, ordo, numerus, etsi quae alia sunt ejusmodi, quae ad omnia genera rerum se

extendunt. Non autem plura quam duo summa genera rerum agnosco; unum est rerum intellectualium, sive cogitativarum, hoc est, ad mentem sive ad substantiam cogitantem pertinentium; aliud rerum materialium, sive quae pertinent ad substantiam extensam, hoc est, ad corpus.

Sin dalle Regulae, infatti, la durata è definita come natura semplice comune, ossia né puramente intellettuale, né puramente materiale ma attribuibile senza alcun discrimine alle res corporee e spirituali: «Denique communes dicendae sunt, quae modo rebus corporeis, modo spiritibus sine discrimine tribuuntur, ut existentia, unitas, duratio et similia»465.

Attraverso l’esame e il confronto delle occorrenze dei termini momentum e instans (questo ultimo in minima parte perché il suo significato è univoco) nelle Regulae, ne Le Monde, nella Dioptrique, nelle Meditationes e, soprattutto, nei Principia, è possibile giungere ad una loro distinzione.

Nelle Regulae Descartes sembra differenziare instans da momentum, definendo il primo come privazione delle nature semplici e, in particolare, negazione della durata466:

Caeterum, inter has naturas simplices, placet etiam numerare earumdem privationes et negationes, quatenus a nobis intelliguntur: quia non minus vera cognitio est, per quam intueor, quid sit nihil, vel instans, vel quies, quam illa per quam intelligo, quid sit existentia, vel duratio, vel motus.

Instans ricorre nella trasmissione istantanea della potenza da un corpo ad un altro (Regula IX), ma non nella descrizione del moto di un corpo. Delle cinque occorrenze di momentum, sono pertinenti alla nostra analisi solo le tre contenute in una pagina della Regula XIV che lo identificano con una parte dell’ora, riprendendo la definizione di giorno e momento proposta nelle Etymologiae di Isidoro: «Si enim consideramus partes in ordine ad totum, tunc numerare dicimur; si contra totum spectamus ut in partes distributum, illud metimur: ver. gr., saecula metimur annis, diebus, horis, et momentis; si autem numeremus momenta, horas, dies et annos, tandem saecula implebimus»467.

464 Principia I, §48, pp. 22-23. 465 Regula XII, p. 419. 466 Ivi, p. 420.

467 Regula XIV, p. .448. Cfr. ISIDORO, Etymologiae sive origines, 2 voll., a cura di A.

Valastro Canale, Torino, Utet, 2004, libro V, cap. 29. Momentum viene poi definito «minimus atque angustissimum tempus, a motu siderum dictum». È stato rilevato (P. GALLUZZI,

Nel caso delle Regulae è comunque opinabile distinguere instans e momentum: l’identificazione di momentum con parte di tempo – che ricorre anche nelle Meditationes – non è sufficiente a differenziarlo da instans, come è possibile dedurre da un passo dell’epistolario. In una lettera del 1638, Mersenne – che accetta la distinzione aristotelica tra punto e parte468 – pone la questione della discontinuità di una linea tracciata dal moto di una sfera: questa, essendo tangente al piano in un punto della sua superficie, e non in una parte, genera con la sua rotazione una linea composta dalla somma di punti. Descartes non concorda con l’osservazione del Minimo poiché non distingue né una linea retta da una curva, né il punto dalla parte: «je ne sçaurais concevoir ce qu’on entend par les points d’un globe, lorsqu’on les distingue de ses parties, ni comprendre cette subtilité de la Philosophie»469. La prima definizione degli Elementi di Euclide stabilisce che il punto è privo di parti ma non nega espressamente che questo possa a sua volta essere considerato parte470. Descartes non recupera la posizione di Aristotele in base alla quale l’istante non è una delle parti in cui il tempo è divisibile, pur essendo limite del tempo e appartenente ad esso («i limiti appartengono solo a quelle cose di cui sono limiti»471); aristotelica è invece la sua lettura della continuità, che concepisce il tempo non composto da istanti ma scaturente dal movimento di un istante, proprio come la linea è data dal movimento del punto472.

Considerando il contenuto della lettera a Mersenne, l’impiego di momentum come ‘parte di tempo’, che ricorre anche nella terza Meditatio, nelle I e V Responsiones, non è funzionale alla nostra analisi. «Nam quemadmodum etiamsi fuissem ab aeterno ac proinde nihil me prius extitisset, nihilominus, quia considero temporis partes a se mutuo sejungi posse, atque ita ex eo quod jam sim non sequi me mox futurum, nisi aliqua causa me quasi rursus efficiat singulis momentis, non dubitarem illam causam, quae me conservat, efficientem appellare»473.

Momento, cit., p. 13) che il significato temporale del termine risente del riferimento al moto.

Questa accezione è assente nel passo delle Regulae, come anche l’identificazione esplicita con il terminus dell’ora.

468 La Vérité, libro I, cap. III, pp. 30-31. 469 Lettera CXXIII, AT II, p. 141.

470 Conferma tale lettura anche una citazione tratta da Le Monde, cap. VII, pp. 44-45. 471 ARISTOTELE, Physica, IV, 220 a 20. Cfr. CLAUDIO TUGNOLI, Tempo e istante in Aristotele, «Scienza e storia: bollettino del Centro internazionale di storia dello spazio e del

tempo», XIII, 2000, pp. 43-56.

472 A

RISTOTELE, Physica, IV, 220 a: «[…] se il tempo non fosse, l’istante non

sarebbe, e se non fosse l’istante, non sarebbe nemmeno il tempo. Come, infatti, sono insieme l’oggetto spostato e lo spostamento, così lo sono anche il numero dell’oggetto spostato e quello dello spostamento. E il tempo è il numero dello spostamento, invece l’istante, allo stesso modo che l’oggetto spostato, è come unità di numero. Dunque, il tempo è continuo a causa dell’istante, ma è anche diviso secondo l’istante».

473 Responsiones I, p. 109; Responsiones V, pp. 369-370; Meditatio III, pp. 48-49 (il

Nonostante le citazioni delle Meditationes e delle Regulae non consentano di distinguere con certezza momentum e instans, occorre rilevare che tali termini non vengono mai alternati all’interno della medesima trattazione, e dunque non sono considerati sinonimi.

Differente è la situazione delle opere scritte in francese o tradotte dal latino: ne Le Monde e ne la Dioptrique non compare moment, probabilmente perché nell’ambito fisico momentum temporis è unanimemente tradotto con istante474. Una particolare importanza è rivestita da un passo del settimo capitolo de Le Monde, soprattutto se comparato al Discours e ad un paragrafo affine dei Principia che presentano il medesimo argomento: l’azione continua di Dio conserva ogni cosa com’è nel momento in cui la conserva. Ciò che nei Principia475 è temporis momentum, poi tradotto nella versione francese con instant, ne Le Monde è instant: «Dieu conserve chaque chose par une action continuë, et par consequent, qu’il ne la conserve point telle qu’elle peut avoir esté quelque temps auparavant, mais précisément telle qu’elle est au mesme instant qu’il la conserve».

Diversa è la scelta lessicale del Discours de la Méthode, che permette di compiere una serie di importanti osservazioni: «s’il y avoit quelques corps dans le monde, ou bien quelques intelligences, ou autres natures, que ne fussent point toutes parfaites, leur estre devoit dependre de sa puissance [i.e. de Dieu], en telle sorte qu’elle ne pouvoient subsister sans luy un seul moment»476. L’Autore accomuna esplicitamente le res (corps e intelligences) sulla base del loro statuto ontologico, rimarcandone la dipendenza dall’unico Creatore sia riguardo all’essenza che all’esistenza. L’argomentazione prelude alla lettera dell’agosto 1641 all’Hyperaspistes ove Descartes sviluppa il tema dell’impossibilità di una qualche forma di indipendenza delle creature, le quali non sono neppure enti in grado di esistere o sussistere senza il concorso di Dio. Tutti i momenta della loro esistenza dipendono da Dio tanto quanto l’esistenza dipende dall’atto della creazione. Questo vale sia per la realtà fisica che per quella cogitante: in ogni momento dell’esistenza viene ribadito lo statuto ontologico creaturale mediante l’assimilazione della conservazione ad infiniti atti di creazione, e la negazione di qualsiasi genere di autosufficienza o di indipendenza. Quest’ultima si esplica, differenziando il mondo della mens da quello della materia, nella libertà della volontà umana che è, non solo per la sua infinità ma anche per la sua autonomia, immagine di Dio. Ma l’indipendenza colta nell’esercizio della volontà è, in ultimo, ricondotta sempre e

474 Cfr. supra p. 47.

475 Principia II, §39, p. 63. Il confronto tra il testo latino e la traduzione francese dei Principes è condotto, tra gli altri, anche in MICHELLE BEYSSADE, Des Principia aux Principes:

variations sur la liberté, in Descartes: Principia Philosophiae, cit., pp. 37-52; FRANCO

AURELIO MESCHINI, Materiali per un’analisi comparata del testo latino e francese dei

Principia, in ivi, pp. 577-602; VALENTINE WATSON RODGER, L’original latin de 1644 et la

version française de 1647: Descartes bilingue?, in ivi, pp. 603-623. 476 Discours, IV, pp. 35-36 (il corsivo è nostro).

comunque alla più generale dipendenza, anche ontologica: «L’independence que nous experimentons et sentons en nous […] n’est pas incompatible avec une dépendance qui est d’autre nature, selon laquelle toutes choses sont sujettes à Dieu»477.

Nel passo del Discours si afferma che le nature create non posso sussistere un solo momento senza l’azione divina («ne pouvoient subsister sans luy un seul moment»), attribuendo così a moment una durata nella quale le res esistono, durano.

Anche i Principia presentano la medesima descrizione concernente la creazione continua, ma adottano «parti di tempo prossimo seguenti» in luogo di momentum478:

Nihilque hujus demonstrationis evidentiam potest obscurare, modo attendamus ad temporis sive rerum durationis naturam; quae talis est, ut ejus partes a se mutuo non pendeant, nec unquam simul existant; atque ideo ex hoc quod jam simus, non sequitur nos in tempore proxime sequenti etiam futuros, nisi aliqua causa, nempe eadem illa, quae nos primum produxit, continuo veluti reproducat, hoc est, conservet.

Nell’opera del ’44, tutti i momenta impiegati con accezione temporale riguardano il moto delle parti di materia nel pieno e la negazione del vuoto, mentre differente è il caso della velocità della luce. Nel §39 della seconda parte dei Principia, il contesto concerne la fisica e, precisamente, la seconda legge di natura sulla tendenza dei corpi a muoversi in linea retta. Nella discussione sull’opera di

477 Lettera CDXI, AT IV, p. 333. Assumendo invece il momentum come sinonimo di

istante indivisibile, alla contingenza dell’essenza e della sussistenza non sfuggirebbe neppure l’intuito. Dato che, secondo l’Entretien con Burman, nessuna cogitatio può avvenire in un istante (inteso come indivisibile), anche la proposizione «cogito, sum» perderebbe la certezza dell’istantaneità attribuitale da alcuni interpreti: implicando una durata (anche se minima), necessiterebbe di plurimi atti di conservazione. Dunque, sarebbe la certezza di riuscire a formulare tale proposizione a permettere all’uomo di risalire alla causa efficiente, la quale lo conserva durante tale cogitatio. Questa ipotesi, pur garantendo la conformità con la tradizionale interpretazione di momentum, non si concilia con altri luoghi delle opere cartesiane. In particolare, secondo l’interpretazione di Vincent Carraud, il cogito non è solo oggetto d’intuito ma può essere definito anche paradigma della conoscenza intuitiva propria dei beati. VINCENT CARRAUD, De la connaissance intuitive de Dieu selon A.T. V, pp. 136-

139, in La biografia intellettuale di René Descartes attraverso la Correspondance: atti del Convegno “Descartes e l’Europe savante”, Perugia 7-10 ottobre 1996, a cura di J.-R.

Armogathe, G. Belgioioso, C. Vinti, Napoli, Vivarium, 1999, p. 308: «Le je pense donc je

suis cartésien accomplit strictement le réquisit scotiste de la connaissance intuitive. Le cogito

est donc paradoxalement unique et paradigamtique: unique en régime de noétique ordinaire à faire coïncider intuitus et notitia intuitiva, et paradigmatique de la noétique des bienheureux, même quand Dieu devient object». Tale paradigmaticità verrebbe meno se la contingenza della proposizione cogito, sum dovesse reggersi su infiniti atti conservativi.

478 Principia I, §21, p. 13. La versione francese dei Principes traduce «in tempore

conservazione divina, il termine che compare è nuovamente momentum, come nel caso della conservazione del cogito, seguito a breve distanza da instans479.

Neque enim illum conservat, nisi praecise qualis est eo ipso temporis

momento quo conservat, nulla habita ratione ejus qui forte fuit paulo ante. Ac

quamvis nullus motus fiat in instanti, manifestum tamen est omne id quod movetur, in singulis instantibus quae possunt designari dum movetur, determinatum esse ad motum suum continuandum versus aliquam partem, secundum lineam rectam, non autem unquam secundum ullam lineam curvam.

Momentum viene così impiegato solo per la temporalità relativa alla conservazione dell’esistenza delle res, mentre l’instans alla geometrizzazione dell’ambito della fisica. In quest’opera Descartes definisce l’instans come punto minimo di tempo: «ac globi plumbei in hac figura depicti, hoc non nisi per minimum temporis punctum, quod instans vocant, durare potest»480.

Nei Principia vi sono anche tre occorrenze del sintagma in minimo momento temporis, sinonimo di instans. Le prime due riguardano il moto della luce: «Ex quibus clarè percipitur, quo pacto actio illa, quam pro luce accipio, a Solis vel